Magistratura democratica
Editoriali

A proposito di responsabilità civile dei magistrati

di Beniamino Deidda
direttore Questione Giustizia
La storia della prima volta nella quale un magistrato è stato citato in giudizio dall’imputato durante il processo
A proposito di responsabilità civile dei magistrati

A proposito del voto alla Camera sulla responsabilità civile dei magistrati*, desidero raccontare una storia, quasi un apologo.

E’ la storia della prima volta nella quale un magistrato italiano è stato citato in giudizio dall’imputato durante il processo. La legge sulla responsabilità dei magistrati era entrata in vigore nel 1987, ma per qualche tempo nessuno l’aveva utilizzata.

Finchè nel 1989 il Pretore di Firenze (che ero io), non portò a giudizio il padrone dell’Isochimica che si chiamava Graziano (quello del famoso scandalo delle “lenzuola d’oro”). Si era scoperto che migliaia di carrozze ferroviarie, piene di amianto, erano state affidate ad una ditta di Avellino, l’Isochimica appunto, per la “decoibentazione”.

Ad Avellino però venivano sommariamente ripulite e ritornavano alle Officine FS di Porta al Prato ancora piene di ciuffi di amianto, cosicchè i lavoratori fiorentini che dovevano rimettere in ordine le carrozze, rimontando i sedili, i pannelli, l’imbottitura, ecc., erano costretti a respirare le fibre di amianto che in quantità notevole ancora si trovavano sui treni.

Il Pretore volle approfondire: prese i suoi esperti (i dottori Carnevale, Merler, Silvestri, Ventura e Petrioli, il meglio della Medicina del Lavoro in Toscana e non solo) e si recò ad Avellino per vedere come si lavorava alla pulizia delle carrozze. Uno spettacolo incredibile si presentò all’improvvisa visita del Pretore: i lavoratori operavano senza nessuna protezione, in ambienti inidonei, intenti a grattare l’amianto dalle pareti delle carrozze che a ciuffi ricadeva sulla loro testa imbiancandola.

Non ci volle molto a capire che quel micidiale lavoro andava fermato. Il Pretore sospese i lavori, sequestrò i locali della ditta, fece apporre i sigilli e se ne tornò a Firenze. Il decreto di sequestro era così motivato che Graziano non ebbe modo di opporvisi. Chiese invece il dissequestro puntando sulla necessità di continuare a lavorare, di evitare il licenziamento degli operai, ecc. Il Pretore di disse subito d’accordo a condizione che il lavoro riprendesse in ambienti di assoluta sicurezza per i lavoratori: fece preparare ai suoi esperti un ‘decalogo’ idoneo a garantire la salute degli operai e lo consegnò a Graziano. Ma le condizioni furono giudicate troppo onerose e la ditta non riaprì. Non restava che andare a giudizio e il processo fu fissato per un giorno dell’ottobre 1989.

Il giorno prima dell’udienza, all’ora di pranzo, un ufficiale giudiziario bussò alla porta dell’abitazione del pretore. Consegnò una citazione in giudizio, con la quale Graziano chiedeva quattro miliardi di lire per i danni a lui provocati dal sequestro dell’Isochimica, a suo dire pretestuosamente disposto per “motivi politici”. Il giorno dopo in udienza i difensori di Graziano ricusarono il Pretore. Il ragionamento non faceva una grinza: l’imputato ha chiesto i danni al Pretore, non importa che la richiesta sia giustificata (lo vedranno i giudici della causa civile), il Pretore è ora diventato la ‘controparte’ di Graziano, dunque non può giudicarlo. Per fortuna la ricusazione non fu accolta e il processo proseguì oltre. Come andò a finire lo racconterò un’altra volta.

L’episodio che ho raccontato non ha bisogno di commenti. Solo vorrei che questa storiella istruttiva fosse letta dagli onorevoli deputati del PD, i quali con il loro voto hanno fatto passare l’emendamento leghista che consente di citare direttamente in giudizio il magistrato che ti sta giudicando. Credo che non si rendano ben conto delle conseguenze che la norma potrebbe avere.

Hanno assimilato senza pensare gli slogan berlusconiani del tipo ‘ingegneri, medici, notai e architetti quando sbagliano pagano; perché i magistrati no?’ Non risulta che medici e ingegneri debbano decidere tra due parti scontentandone inevitabilmente una, alla quale la legge consentirebbe ora di rifarsi sul giudice.

Ho sentito dire da un parlamentare che ha votato l'emendamento leghista che bisogna evitare un nuovo caso Tortora e che i giudici devono pagare per i loro errori. Ci sono stati errori giudiziari anche più gravi del caso Tortora, ma nessuno ha mai pensato di porvi rimedio spazzando via l’indipendenza dei giudici e quel po’ di giustizia che rimane in questo Paese.

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*si fa riferimento al voto dell'11 giugno 2014, con cui la Camera dei Deputati, durante l'esame della legge comunitaria, ha approvato un emendamento, a firma di Gianluca Pini, che introduceva la responsabilità diretta dei magistrati

28/06/2014
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