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La clinica legale veronese: riflessioni epistemologiche sulla Clinica legale di diritto della famiglia, dei minori e delle persone

di Alessandra Cordiano
Il lavoro è teso a illustrare i profili organizzativi della Clinica legale attiva presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Verona, in materia di diritto delle persone, della famiglia e dei minori. Dall’esplicitazione degli scopi e delle modalità concrete, connesse alla costruzione di un percorso didattico atipico, si giunge a elaborare l’esperienza didattica attraverso una riflessione teorica, in termini di categorie dogmatiche coinvolte e di conseguenze epistemologiche interessate.

1. Premessa: la clinica veronese e la costruzione di un percorso didattico atipico

 L’esperienza didattica della clinica legale veronese è piuttosto giovane; eppure essa ha trovato, sin da subito, un gruppo tanto ristretto quanto entusiasta, che ha condotto abilmente la costruzione del percorso didattico secondo delle linee direttrici condivise: la didattica dedicata alla clinica legale, 36 ore per 6 crediti formativi, è stata volutamente sciolta dai vincoli tipici della collocazione nel campo degli insegnamenti a libera scelta, collocazione che avrebbe certamente giovato in termini organizzativi, ma che avrebbe d’altro canto sofferto il necessario ancoramento a un preciso e definito settore scientifico disciplinare[1].

Questa modalità alternativa, vale a dire l’inserimento della clinica nelle attività formative senza caratterizzazione scientifica, senza il tradizionale accertamento finale e senza attribuzione di un voto, ha – a dispetto di alcuni pronostici infausti – un doppio vantaggio: il primo, quello di consolidare, fra gli studenti e fra gli operatori giuridici coinvolti, l’idea della clinica come esperienza formativa in sé ricca di valore, a prescindere degli esiti in termini di profitto; questo primo effetto favorevole è stato inaspettatamente realizzato, tanto che, in alcuni semestri, è apparso necessario attivare altri percorsi clinici per il numero consistente di iscrizioni.

In secondo luogo, una modalità siffatta ha potuto tener conto di innumerevoli profili formativi degni d’attenzione e di approfondimento: così come è costruita, infatti, la clinica legale veronese non è identificata secondo un preciso settore scientifico disciplinare; non è appannaggio di alcuni, ma è, per così dire, una casa aperta a tutti quanti desiderino accogliere e osservare lo “statuto giuridico-ideologico” della clinica. Essa, infatti, prevede una sorta di tronco comune di insegnamenti che tutti gli iscritti frequentano e che concernono la deontologia professionale (in linea di massima, della professione forense), il linguaggio giuridico e l’argomentazione giuridica; successivamente, gli iscritti scelgono un’area tematica, differente a seconda delle contingenti disponibilità, ma sempre tendenzialmente nei settori del diritto civile, del diritto del lavoro e del diritto penale.

L’esperienza della clinica legale nell’area del diritto di famiglia, dei minori e delle persone del Dipartimento di Scienze giuridiche veronese ha messo nella condizione di dover costruire un percorso didattico in un ambito scientifico fortemente sensibile sotto il profilo etico e con una vocazione (potenzialmente) solidaristica; al contempo, vista una certa arretratezza della materia, la didattica è stata sovente interessata da modifiche consistenti, che hanno reso ancor più stimolante un lavoro come quello della clinica legale.

Questa complessa costruzione ha provocato numerose riflessioni, alcune di tipo teorico-epistemologico, altre di tipo meramente pratico e organizzativo, ma con numerose e interessanti conseguenze sotto il profilo teorico.

2. Riflessioni teoriche nell’area del diritto di famiglia, dei minori e delle persone

Venendo alle prime questioni di ordine squisitamente teorico, è parso sin da subito evidente che un percorso didattico di clinica legale nell’area del diritto di famiglia, latamente inteso, con la sua inedita metodologia didattica, ha posto in luce numerosi profili critici del sistema giuridico italiano.

La spiegazione di un siffatto rilievo si può trovare in diversificate ragioni, delle quali la prima è certamente quella per cui il codice civile italiano, quindi pure nella parte del diritto della famiglia e delle persone, è stato costruito sulle basi del diritto delle obbligazioni e dei contratti. Sovente, tuttavia, quei modelli dogmatici di riferimento appaiono inadeguati all’area di cui si tratta: un’area che mal soffre alcune categorie fondamentali – valga per tutti l’esempio dell’invalidità e dell’annullabilità[2] –, che sempre più va a dimostrare una propria specifica dogmatica di riferimento e dove le categorie di responsabilità, autoresponsabilità e autosufficienza comprendono evocazioni anche simboliche e un fondamento comunque e sempre equitativo. Inoltre, è ben evidente che tutta l’area del diritto delle persone e della famiglia esige un approccio case by case, rendendo talvolta inefficienti regole aprioristicamente costituite.

Quanto detto può apparire facilmente comprensibile, avendo in mente, ad esempio, il celebre caso dell’Ospedale “Pertini”, dove è avvenuto uno scambio di embrioni fra due coppie che avevano entrambe fatto accesso alla tecnica di procreazione medicalmente assistita omologa.

Il tipico modello del learning by doing della clinica legale mostra con chiarezza – si può dire, quasi, con spietatezza – questa sorta di distorsione del sistema; e questa presa di consapevolezza per gli studenti (ma la riflessione vale per tutti gli studiosi del diritto: dottorandi, avvocati, magistrati) è effettivamente molto significativa, perché la clinica legale mostra loro, in una misura che neppure il corso di diritto di famiglia più esperienziale e casistico può soddisfare, le difficoltà che sicuramente incontreranno come professionisti, dovendo trattare con regole giuridiche qualche volta insufficienti a questa specifica area.

Un’altra riflessione dalle molteplici connessioni epistemologiche, che l’insegnamento clinico aiuta a rivelare, è quella per cui il diritto italiano della famiglia, dei minori e delle persone è per tradizione basato e costruito su dogmi e categorie “naturalistiche”, fondato su un concetto di “natura”. L’ingresso del diritto di famiglia all’interno di un omnicomprensivo diritto privato, tutto confluito nel codice civile del 1942 è, infatti, un’idea piuttosto recente, che tuttavia succedeva a una tradizione sostanzialmente pubblicistica del settore, rimesso in larghissima misura al diritto canonico e, in linea con la tradizione ottocentesca, con una particolare attenzione alle ragioni di una famiglia gerarchica e patriarcale, sul modello delle istituzioni pubblicistiche.

Abbandonata una visione esclusivamente patrimonialistica, grazie all’avvento della Carta costituzionale, e nonostante i numerosi progressi culturali in materia, tutta l’area del diritto delle persone e della famiglia rimane ancorata a concetti di tipo squisitamente biologistico: l’eterosessualità come presupposto implicito della relazione matrimoniale; la derivazione biologica e genetica nella filiazione; la dicotomia escludente del binarismo sessuale; lo stesso concetto di indisponibilità degli status, ancora descritto come uno dei fondamenti della materia, stenta a mantenere una sua autonomia prescrittiva[3].

Tuttavia, l’esperienza concreta non ha mancato di dimostrare più volte come la visione biologista tenda a semplificare la realtà, decodificandola con costrutti molto più semplici di quanto essa non sia[4]. È a tutti noto come la realtà sia sovente molto più complessa da decodificare e da comporre, e come essa sia fortemente connessa con i progressi della scienza e della tecnica rispetto alle possibilità di manipolare il proprio corpo e di disporne: la crescente acquisizione di tecniche scientifiche è in grado, infatti, di investire potentemente gli aspetti relativi alla sessualità, alla maternità e alla genitorialità[5], e di cambiare profondamente la relazione dell’individuo con la propria corporeità e, soprattutto, con la propria identità anche in una prospettiva più generale, su un piano antropologico di esseri di genere[6]. Valga, in questo caso, l’esempio della surrogazione di maternità che, oltre a confliggere con la norma di cui al terzo comma dell’art. 269 cc, in virtù del quale la madre è colei che partorisce, mette fortemente in discussione il paradigma dominante e tradizionalmente ordinatore della genitorialità biologica, composta di eterosessualità, derivazione genetica, gestazione e parto[7], restituendo una realtà incapace di essere assorbita dalle disposizioni di riferimento.

Questi aspetti, messi in luce nell’insegnamento clinico, rivestono particolare importanza nella prospettiva dell’acquisizione da parte degli studenti degli obiettivi formativi prefissi, mostrando loro le complessità che potranno incontrare nell’uso di concetti giuridici che non si accordano, né sono compatibili, con le specifiche e concrete fattispecie e neppure con un diffuso sentire sociale.

Infine, la formazione clinica efficacemente dimostra, e perciò insegna agli studenti (ma, anche qui, la riflessione è idonea a valere per tutti gli studiosi del diritto), che, nonostante le più recenti riforme legislative, il diritto italiano della famiglia e delle persone rimane una disciplina vecchia e spesso lontana dalla realtà, dal progresso scientifico, dall’evoluzione sociale e culturale[8]. Per tutte queste ragioni, evidentemente, il diritto della famiglia e delle persone è stato così profondamente ridisegnato e riscritto: ma non solo e non tanto da parte del legislatore, che sovente ha apportato modifiche senza tarare il sistema alle nuove misure, quanto soprattutto da parte delle corti superiori, nazionali e internazionali, con particolare riferimento alla Corte Edu. In questo senso, una profonda rilettura del sistema proposta da una corte non nazionale, con le sue categorie e metodologie di approccio alla risoluzione del conflitto, appare estremamente significativa in questa materia, che appare più di altre connotata da un metodo casistico, sopravanzando e in qualche misura imponendo una forte riflessione sul nostro modello di civil law[9].

3. Aspetti organizzativi e conseguenze epistemologiche

Proseguendo con la seconda tipologia di considerazioni, concernenti la costruzione e la programmazione del corso, da un punto di vista eminentemente pratico è possibile rilevare alcuni profili degni di attenzione: in questo senso, il disegno del corso ha evidenziato la necessità di trovare un buon punto di equilibrio, anche in termini di ore dedicate sulle residue del corso, fra teoria, pratica e aspetti professionali non giuridici.

Ciò ha significato fornire ai discenti non solo (1) nozioni teoriche e propriamente giuridico-normative, avendo in mente anche le più recenti riforme legislative che hanno profondamente riformato la materia durante l’erogazione del corso; ma anche (2) abilità legali di tipo strettamente pratico, fornite da avvocati o magistrati; infine, per quanto possibile, (3) competenze riguardanti settori non giuridici, che gravitano nell’orbita della giustizia della famiglia e delle persone, prevedendo un contributo didattico di consulenti tecnici, assistenti sociali, psicologi.

Questa peculiare mescolanza, che si associa a una modalità didattica già di per sé atipica, ha concorso a dimostrare almeno due caratteristiche dell’insegnamento clinico nell’area del diritto di famiglia: innanzitutto, una rilevante attitudine per l’interdisciplinarietà che caratterizza – che ha sempre caratterizzato – l’area di riferimento, ma che nel contesto clinico si mostra in tutta la sua dimensione.

Questo non può che sollecitare tutti gli studiosi del diritto a confrontarsi, e quindi a prendere dimestichezza, con le discipline non giuridiche di area psicologica, sociologica e medica. Ciò può, al contempo, aiutare a superare quella tradizionale idea di “supremazia” della norma e, più in generale, della scienza giuridica rispetto alle altre discipline. Nel contesto del diritto di famiglia e delle persone, infatti, non vi è una disciplina più rilevante di altre: posto che il diritto segna la cornice giuridica di riferimento, una struttura edificata per garantire i diritti delle persone e per risolvere un conflitto solo giuridico, è pur tuttavia da considerare che una fruttuosa collaborazione fra operatori legali e non legali è la sola chiave per perseguire e realizzare la miglior scelta possibile per le parti, il provvedimento presuntivamente migliore per i minori coinvolti nel conflitto[10].

In secondo luogo, le peculiarità di costruzione della didattica clinica hanno consentito pure di trasmettere agli studenti il messaggio in considerazione del quale, quando saranno avvocati, giudici, tutori e curatori dei minori o dei soggetti adulti incapaci, essi dovranno, per un verso, cercare di rimanere sempre equilibrati e lucidi nei riguardi della situazioni in cui verranno chiamati a operare, poiché il rischio di un eccessivo coinvolgimento emotivo e, con questo, l’adozione di condotte adesive e collusive con i propri assistiti è concreto e nient’affatto remoto: essere eccessivamente coinvolti non solo non è un approccio efficace, ma evidentemente compromette l’equilibrio nelle scelte e nelle strategie difensive e processuali. Per altro verso, strettamente connesso, gli studenti sono, per la prima volta nel loro percorso formativo, messi di fronte alla complessità di comprendere i comportamenti delle parti e dei soggetti coinvolti nelle decisioni e nei procedimenti: una buona capacità empatica, che non scivoli però in atteggiamenti collusivi, senza pregiudizi di sorta, consentirà loro, a prescindere dalla professionalità che rivestiranno, di adottare le migliori scelte difensive o le migliori decisioni possibili, soprattutto quando come professionisti dovranno tentare di perseguire il miglior interesse del minore.

4. Conclusioni

Gli esiti di queste brevi riflessioni confermano gli obiettivi che inizialmente ci eravamo prefissi nella costruzione del percorso formativo della clinica legale, che ha avuto e tuttora ha un effetto largamente positivo, anche sugli studi e sulle personali ricerche di chi scrive: lo scopo principale della clinica legale è formare giuristi che non possono essere competenti solo da un punto di vista strettamente giuridico; questi hanno l’onere di essere altresì professionisti sensibili, nella giusta misura empatici, senza essere eccessivamente coinvolti sotto il profilo emotivo.

Si può dire che l’obiettivo della clinica, di là dai suoi evidenti benefici in termini di acquisizione della competenza “primaria”, sia essenzialmente quello di condurre gli operatori del diritto (attuali e potenziali) verso la consapevole necessità di essere giuristi “in ascolto”, perché gli interessi e le materie che, come professionisti, andranno a gestire sono, nell’ambito di cui si tratta in questa sede, eticamente significativi e deontologicamente peculiari nel complessivo panorama giuridico.

In questo senso, la clinica legale ha reso evidente a tutta la componente docente il nostro dovere e la nostra responsabilità non solo di garantire l’erogazione di una formazione che sia tecnicamente eccellente, ma anche di fornire gli strumenti per perseguire e garantire le istanze di giustizia sociale, che sono il fondamento e il fine del sistema giuridico e, se si può dire, a maggior ragione, dell’ambito del diritto della famiglia e dei minori.

[1] Mentre si scrive, è in via di verifica la revisione della Laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza, che prevede l’inserimento della clinica in alternativa allo stage, come attività obbligatoria in lettera E, con l’attribuzione di 6 CFU.

[2] S. Viciani, Strategie contrattuali del consenso al trattamento dei dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1999, p. 161.

[3] P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia (1796-1975), Il Mulino, Bologna, 2002, passim.

[4] Sulla critica alla visione biologista, F. Bilotta, Omogenitorialità, adozione e affidamento famigliare, in Dir. fam. pers., 2011, pp. 908 ss.

[5] Si consenta il rinvio ad A. Cordiano, Identità della persona e disposizioni del corpo, Aracne, Roma, 2011, pp. 235-246.

[6] Così J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino, 2002, pp. 31 ss.

[7] I. Corti, La maternità per sostituzione, Giuffrè, Milano, 2000, passim; L. Rossi Carleo, Maternità surrogata e status del nato, in Familia, 2002, p. 377; P. Zatti, Maternità e surrogazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, p. 193.

[8] D. Messinetti, Diritti della famiglia e identità della persona, in Riv. dir. civ., 2005, p. 137.

[9] J. Long, Il diritto italiano della famiglia alla prova delle fonti internazionali, Giuffrè, Milano, 2006.

[10] Per tutti, vds. diffusamente V. Cigoli, Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna, 1998.