Magistratura democratica

Introduzione.
Guardando all’interno della magistratura:
verso un nuovo associazionismo e una nuova etica della responsabilità

di Vincenza (Ezia) Maccora
Siamo di fronte a una magistratura frammentata, individualista e in parte anche corporativa, a un governo autonomo attraversato da una crisi profonda, a un associazionismo in preda a tensioni opposte che impediscono l’elaborazione di una efficace politica associativa. La finalità di questo obiettivo è analizzare tutto ciò da diversi angoli visuali (la legittimazione dell’interpretazione, la formazione dei magistrati, l’etica professionale, l’associazionismo, la ricostruzione di una forte identità collettiva, il processo penale) per meglio descrivere quanto si agita nel corpo della magistratura e nei suoi organi rappresentativi.

Avevo appena concluso di scrivere l’articolo per il numero 1 della Trimestrale, Populismo, associazionismo giudiziario e Consiglio superiore della magistratura, quando è venuto alla ribalta delle cronache giudiziarie lo scandalo delle nomine che ha coinvolto il Consiglio superiore della magistratura, l’associazionismo giudiziario, e ha ferito profondamente la magistratura, incrinando la stessa fiducia che i cittadini nutrono per una istituzione fondamentale per la democrazia. Un sondaggio del giugno 2019 ha evidenziato infatti che, dopo quei fatti, la fiducia nei magistrati ha raggiunto il minimo storico (35 per cento), dato che il 55 per cento degli italiani non crede più nella magistratura e nel suo ruolo[1].

Eppure, quando scrivevo che «la complessità che [era] sotto i nostri occhi», a far data dalla attuazione del nuovo ordinamento giudiziario, «[richiedeva] una paziente opera di ricostruzione, senza la tentazione di cedere a semplificazioni o ammiccamenti con atteggiamenti populisti per ottenere un facile, ma aleatorio, consenso»[2], non potevo minimamente immaginare la valanga che, da lì a poche settimane, avrebbe travolto il Consiglio superiore della magistratura e l’associazionismo giudiziario e dalla quale, ancora oggi, la magistratura fa fatica a riemergere.

Ma andiamo con ordine e analizziamo gli accadimenti occorsi dalla primavera del 2019 e le risposte, interne alla magistratura, che essi hanno prodotto.

Quello che Nello Rossi ha definito «lo scandalo romano delle nomine»[3], emerso grazie alle indagini della magistratura perugina, rappresenta un salto di qualità negativo assoluto e non comparabile rispetto al fenomeno ben più conosciuto della “lottizzazione” delle nomine, se si considera che alcuni componenti del Csm hanno accettato di ritrovarsi in un albergo romano in tarda serata a discutere della nomina del procuratore della Repubblica di due importanti uffici – Roma e Perugia – con imputati e indagati di quelle stesse Procure, ammessi a interloquire su strategie complessive utili a influenzare chi doveva esprimere un voto per consentire quelle nomine. Soggetti anche esterni alla magistratura e appartenenti al mondo della politica. Un vulnus senza precedenti per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, che ha comportato le dimissioni in tempi diversi di tutti i consiglieri che a quell’incontro hanno partecipato e l’indizione, da parte del Presidente Mattarella, di nuove elezioni. Quelle per ricoprire le qualifiche dei pubblici ministeri (due posti) si sono tenute nella prima settimana di ottobre, mentre a dicembre si terrà quella per ricoprire un posto di giudice.

La gravità dell’accaduto risuona nelle parole del Presidente Mattarella, pronunciate il 21 giugno 2019 all’assemblea plenaria straordinaria del Csm: «Il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato, si manifesta in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’Ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendano dalla Magistratura».

Parole doverosamente nette e dure, che hanno dato voce alla ferita profonda che quei fatti hanno provocato in un corpo comunque sano, composto da donne e uomini che quotidianamente sono impegnati a rendere giustizia tra mille difficoltà, credendo profondamente nella funzione svolta e nei doveri conseguenti.

Quei magistrati, sgomenti per quanto appreso dai media, si sono riuniti in partecipate e vivaci assemblee locali dell’Anm e, da più parti, si è alzata la richiesta di dimissioni immediate di tutti i consiglieri coinvolti, indipendentemente dall’accertamento di specifiche responsabilità, al fine di salvaguardare l’Istituzione Consiglio superiore, nella consapevolezza che le istituzioni prescindono dai soggetti che momentaneamente le abitano[4].

Gli organismi centrali dell’Anm hanno fatto propria quella richiesta con il deliberato del Cdc del 5 giugno 2019. Nelle tappe successive, fino alla relazione generale del presidente dell’Anm all’assemblea generale tenutasi il 14 settembre 2019, in vista delle elezioni suppletive indette per ricoprire due posti nella categoria del pm, sono stati invitati sia i singoli magistrati sia i gruppi associativi a favorire una pluralità di candidature per restituire agli elettori la scelta di indicare i propri rappresentanti a fronte di una legge elettorale che, di fatto, per più elezioni, ha imposto di avere tanti candidati quanti erano i posti da ricoprire, consegnando così la scelta dei designati/eletti ai gruppi organizzati.

Alle elezioni di ottobre vi sono state 16 candidature per 4 posti, diversamente da quella di luglio 2018, dove si erano avute 4 candidature per 4 posti: di fatto, una non elezione. La richiesta dell’Anm di favorire più candidature è stata seguita solo dal gruppo di AreaDG, dato che si sono candidati più magistrati espressamente appartenenti o solo appoggiati da questo gruppo, mentre gli altri gruppi, quantomeno quelli che sostengono il governo della Giunta centrale dell’Anm, non hanno seguito l’indicazione che la stessa Associazione si era data e, infatti, non hanno favorito una pluralità di candidature e hanno concentrato i loro voti su un solo candidato. Una delegittimazione evidente della rappresentanza associativa, se si considera che nemmeno i gruppi che compongono la Giunta esecutiva centrale hanno ritenuto di rispettare le indicazioni decise per le elezioni suppletive. Una delegittimazione che, ad oggi, non ha comportato alcuna conseguenza nel governo dell’Associazione: come se disattendere le linee politiche che caratterizzano il programma di una giunta sia ininfluente per la vita stessa del governo dell’associazione. Nessuna richiesta di verifica politica è stata avanzata neanche dall’unico gruppo che oggi esprime la Presidenza dell’Associazione e che ha attuato quella linea politica, senza peraltro eleggere alcun candidato proprio a causa della naturale dispersione dei voti conseguente alla pluralità di candidature in un sistema elettorale maggioritario a collegio unico nazionale[5].

I due pubblici ministeri eletti hanno avuto il sostegno espresso di Magistratura indipendente (per Antonio D’Amato), paradossalmente il gruppo a cui appartenevano tre dei consiglieri che si sono dimessi dal Csm avendo partecipato all’incontro serale emerso dall’inchiesta perugina, e di Autonomia & Indipendenza (per Antonino Di Matteo)[6].

Il risultato elettorale ci indica chiaramente che almeno uno dei due gruppi (Magistratura indipendente e Unicost) coinvolti nelle vicende che hanno terremotato il Consiglio, mantenendo in parte il consenso già ricevuto nelle elezioni di luglio 2018[7], è riuscito a eleggere un componente e, sostanzialmente, non ha riportato alcuna effettiva sanzione dall’elettorato di riferimento.

Complice di tale risultato è sicuramente il sistema elettorale, che favorisce la concentrazione del voto, unitamente alla scelta di AreaDG di rispondere allo scandalo che ha investito il Consiglio favorendo la pluralità di candidature per le elezioni suppletive; soluzione astrattamente e indiscutibilmente positiva [8], ma che di fatto, andando in rotta di collisione con l’attuale sistema elettorale e non essendo stata seguita anche dagli altri gruppi associativi, è stata penalizzante in termini di risultati.

Di ciò AreaDG si è dimostrata essere assolutamente consapevole, rivendicando la scelta in termini positivi nel comunicato del 9 ottobre 2019: «Constatiamo che la nostra scelta, coerente e innovativa, è stata premiata dai tanti voti ottenuti dai candidati che pubblicamente si sono riconosciuti nei valori di AreaDG (…). La linea indicata dall’Anm, seguita nei fatti solo da alcuni, ha consentito, per la prima volta da quando l’attuale pessimo sistema elettorale è in vigore, l’ampliamento della platea dei candidati; ha incentivato la partecipazione al voto che altrimenti sarebbe stato ampiamente disertato e ha posto i magistrati nella possibilità di scegliere; ha restituito all’opinione pubblica ed alle altre istituzioni un’immagine della magistratura vitale, reattiva verso gli scandali ed il malgoverno, desiderosa di cambiamento e proiettata verso il futuro».

Non vi è dubbio che la linea politica proposta dall’Anm e attuata da AreaDG ha avuto il merito di favorire in parte la partecipazione effettiva; non è un caso, infatti, che nelle elezioni suppletive si siano registrate solo 301 schede bianche, mentre in quelle di luglio, nella categoria dei pm, le schede bianche erano 785, quindi più del doppio.

Restano, però, alcuni interrogativi di fondo: l’aver in parte favorito la partecipazione al voto può considerarsi di per sé un risultato soddisfacente e, soprattutto, esaustivo? Quanto accaduto evidenzia la crisi di rappresentanza di un’associazione che non rispetta e non attua le linee politiche che delibera, peraltro nel momento di massima crisi per il governo autonomo della magistratura?

A questi due interrogativi se ne aggiunge un terzo. Il messaggio che l’Associazione, nelle prime esternazioni pubbliche, ha veicolato come reazione allo scandalo che ha colpito il Consiglio è stato l’ormai noto “passo indietro delle correnti[9]. Si è trattato di un messaggio politico adeguato? Può aver rafforzato la convinzione, già molto estesa nel corpo della magistratura, che quanto accaduto rappresenta l’apice di un sistema di gestione di potere che tutti conoscevano e di cui le correnti sono state la culla che ha alimentato “quel metodo occulto” scoperchiato dall’inchiesta perugina?

Sono tutti interrogativi importanti, a cui l’associazionismo dovrebbe dare risposte.

Un dato possiamo ritenere ormai acquisito: il tratto caratterizzante la candidatura dei magistrati cd. “indipendenti” si è concretizzato, da un lato, nel rivendicare la “discesa in campo” per la loro qualità di soggetti che non hanno mai partecipato in prima persona all’attività associativa; dall’altro, nella richiesta di fiducia rivolta agli elettori sulla base essenzialmente della propria storia professionale. Come ci ricorda in questo obiettivo Mariarosaria Guglielmi, gli incontri elettorali si sono svolti «proponendo una competizione non più fondata sul confronto fra idee e visioni diverse» – sui temi del governo autonomo – «ma sulla comparazione fra qualità morali e storie professionali dei singoli»[10]. Un mutamento importante, soprattutto per la storia della magistratura progressista e per il valore positivo da sempre attribuito all’impegno associativo e alla valorizzazione di una identità collettiva, che richiede oggi una analisi approfondita del sentire della magistratura e soprattutto delle nuove generazioni di magistrati.

Il 4 ottobre 2019, approvando un documento specifico, la Giunta dell’Associazione ha confermato, anche per l’elezione suppletiva di dicembre 2019 per la categoria del merito, il percorso politico proposto per le elezioni suppletive del pm.

Questa volta, però, dalle sezioni distrettuali dell’Anm non sono emerse le auspicate plurime candidature, né da parte dei singoli gruppi associativi né da parte dei magistrati cd. indipendenti, con la conseguenza che vi saranno solo 3 candidati per un posto di consigliere da ricoprire[11].

Anche AreaDG ha preso atto dell’emergere di una sola disponibilità riferibile alla sua area culturale, mentre il gruppo di A&I non ha presentato alcuna candidatura ed ha espressamente invitato i suoi aderenti a esprimere una preferenza verso il candidato o la candidata ritenuto/a individualmente più affine culturalmente e più stimato/a.

I risultati elettorali di dicembre saranno molto importanti, sia in termine di partecipazione al voto sia per la concreta scelta del rappresentante. Si aggiungerà un’altra chiave di lettura per comprendere questa nuova fase che l’associazionismo sta attraversando e dalla quale, ancora oggi, non sembra emergere una politica efficace; basti pensare, come è stato già detto, che nessuna conseguenza in termini di responsabilità politica è scaturita dalla mancata attuazione, da parte di alcuni gruppi associativi, della linea indicata dall’Anm per affrontare le elezioni suppletive.

Se si guarda con attenzione e con sguardo libero alla situazione sopra descritta, peraltro in continua evoluzione, non può non constatarsi che, a fronte della crisi profonda che attraversa il circuito del governo autonomo, nell’associazionismo dei magistrati permangono spinte contrapposte che generano una politica estemporanea, che sembra inseguire ciò che, nell’immediato, crea più consenso o che consente reazioni necessitate senza, in entrambi i casi, costruire prospettive di lungo respiro.

E soprattutto, in questo contesto non emerge con chiarezza alcuna possibile via di uscita dalle spinte individualistiche, populiste e corporative sempre più stringenti che stanno abbracciando la magistratura e che rendono difficile rappresentarla unitariamente.

Di tutti questi temi si occupa Questione giustizia in questo obiettivo, affrontandoli da più angoli visuali, per analizzare l’inquietudine e la trasformazione della magistratura del 2019, che tocca più aspetti cruciali: dalla legittimazione dell’interpretazione (Luciani) alla formazione dei magistrati (Silvestri); dall’etica professionale (Rossi) al valore dell’associazionismo (Castelli); dalla necessità di ricostruire una forte identità collettiva (Guglielmi) allo strumento del processo penale come risposta principale all’illegalità (Patarnello). 

Attraverso tutti questi temi, la Rivista, oggi come ieri, cerca di guardare all’interno della magistratura cogliendo gli aspetti negativi e i punti di forza, analizzando di rimando ciò che attraversa anche il nostro stesso Paese e le sue istituzioni, di cui la magistratura non è che lo specchio più immediato.

Ed è per questo che, se serve un processo profondo di rifondazione del sistema politico e del Paese, come da più parti auspicato, ancor di più servono un nuovo associazionismo e una nuova etica della responsabilità capace di dare risposte efficaci alla crisi che ha investito la giurisdizione, la magistratura e i suoi organi di rappresentanza, a partire dal governo autonomo.

[1] Vds. www.corriere.it/politica/19_giugno_21/fiducia-minimi-35percento-il-61percento-scandalo-che-avra-conseguenze-58f46582-9464-11e9-bbab-6778bdcd7550.shtml.

[2] Vds. V. Maccora, Populismo, associazionismo giudiziario e Consiglio superiore della magistratura, in questa Rivista trimestrale, n. 1/2019, p. 134, www.questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2019-1_18.pdf.

[3] Vds. N. Rossi, Lo scandalo romano: un bubbone maligno scoppiato in un organismo già infiacchito da mali risalenti, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2019, pp. 4-6, www.questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2019-2_01.pdf.

[4] Di seguito, il documento approvato all’unanimità dall’assemblea dell’Anm, Milano, 3 giugno 2019:

NON NEL NOSTRO NOME
«Le recentissime notizie della stampa nazionale circa le indagini relative a vicende di inaudita gravità che coinvolgono consiglieri del Csm e altri magistrati, e che fanno emergere l’esistenza di una questione morale nella magistratura, hanno suggerito l’urgente necessità della convocazione dell’assemblea plenaria della magistratura del distretto milanese.
I magistrati del distretto di Milano, all’esito della partecipata assemblea e dell’ampia discussione:

  • ESPRIMONO CON FORZA il proprio sdegno rispetto a condotte che, ove confermate, gettano il discredito sull’istituzione che ha assicurato per 60 anni la autonomia e l’indipendenza della magistratura, E CHE CONTEMPORANEAMENTE LEDONO GRAVEMENTE IL RUOLO DI GARANZIA DEL NOSTRO ORGANO DI AUTOGOVERNO, E CON ESSO DI TUTTI I SINGOLI MAGISTRATI CHE NELL’ISTITUZIONE SONO RAPPRESENTATI;
  • RIBADISCONO che la scoperta delle vicende censurate si è dovuta proprio alle indagini della magistratura e che l’autonomia del Csm è imprescindibile baluardo costituzionale delle garanzie e dei diritti dei cittadini;
  • RITENGONO ESSENZIALE per l’esercizio della loro altissima funzione che I CITTADINI possano CONTINUARE AD AVERE RISPETTO e FIDUCIA nella MAGISTRATURA, fatta di donne e di uomini che quotidianamente svolgono la loro funzione con sacrificio e dedizione, senza obiettivi di carriera, mentre queste condotte suggeriscono l’idea di una magistratura corrotta, vicina, se non parte, di centri di poteri occulti, che pretendono di pianificare dall’esterno le nomine dei direttivi;
  • CHIEDONO che i consiglieri e tutti i magistrati, come espressamente previsto dall’art. 10 del codice etico, non abbiano alcun rapporto con centri occulti di potere politico o affaristico, da chiunque rappresentati;
  • Chiedono che, PER SALVAGUARDARE e non coinvolgere LE ISTITUZIONI, I CONSIGLIERI che sono o dovessero risultare COINVOLTI DIANO IMMEDIATAMENTE LE PROPRIE DIMISSIONI».

[5] Già solo la somma dei voti di preferenza conquistati da Anna Canepa, Gabriele Mazzotta e Fabrizio Vanorio, soggetti sicuramente riconducibili al gruppo di AreaDG, avrebbe permesso di conquistare un seggio (1350 voti).

[6] I risultati delle elezioni sono pubblicati sul sito del Consiglio superiore della magistratura (www.csm.it/web/csm-internet/-/elezioni-suppletive-ottobre-2019): Antonio D’Amato: 1460; Antonino Di Matteo: 1184 voti; Francesco De Falco: 950 voti; Fabrizio Vanorio: 615 voti; Anna Canepa: 584 voti; Tiziana Siciliano: 413 voti; Simona Maisto: 163 voti; Gabriele Mazzotta: 151 voti; Alessandro Milita: 146 voti; Grazia Errede: 134 voti; Andrea Laurino: 127 voti; Alessandro Crini: 105 voti; Francesco Vittorio Natale De Tommasi: 79 voti; Anna Chiara Fasano: 51 voti; Lorenzo Lerario: 25 voti. Totale schede scrutinate: 6799; schede bianche: 301; schede nulle: 0.

[7] Nelle elezioni del luglio 2018 per la categoria del pm, Antonio Lepre, sostenuto da Magistratura indipendente, è stato eletto con 1997 voti di preferenza. Tra le elezioni di luglio e quelle di ottobre, Mi registra, nella categoria del pm, una perdita di 537 voti.

[8] Si ricorda che il 23 novembre 2013 il Comitato direttivo centrale dell’Anm approvò (27 voti a favore e 2 astenuti) l’indizione di consultazioni primarie per le elezioni del Csm, proprio per restituire la scelta dei rappresentanti agli elettori a fronte di una legge elettorale che dava tale potere solo alle correnti: «È approvata la proposta di svolgimento di consultazioni primarie gestite dall’Anm con la partecipazione di tutti i magistrati aventi diritto di voto alle elezioni del Csm, anche se non iscritti all’Anm. Il sistema elettorale sarà a collegio unico nazionale sul modello delle regole ora vigenti per l’elezione dei componenti dei Consigli giudiziari, e quindi: numero di candidati non superiore a quello dei componenti da eleggere per ciascuna categoria (4 pm, 10 giudici merito, 2 giudici legittimità); una scheda di voto per ciascuna categoria, con la possibilità di esprimere per ognuna il voto di lista ed una sola preferenza. A tali consultazioni potranno concorrere liste presentate da almeno 25 magistrati aventi diritto di voto per il Csm. La Giunta esecutiva centrale dovrà organizzare la consultazione in tempi utili; le singole liste, se alla votazione avrà partecipato almeno il 70% degli aventi diritto, saranno tenute a rispettare l’esito di tali consultazioni, presentando alle successive elezioni esclusivamente candidati che abbiano partecipato alle “primarie” nell’ordine delle preferenze ricevute»(vds. www.associazionemagistrati.it/doc/436/il-comitato-direttivo-centrale-sulle-consultazioni-primarie-per-elezioni-del-csm.htm).

[9] Caos procure: Area, no candidati di correnti in elezioni suppletive Csm, Agi, Roma, 16 giugno 2019: «Le correnti facciano un “passo indietro” e non avanzino candidature alle elezioni suppletive che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha indetto per il prossimo ottobre per eleggere due rappresentanti dei pm al Csm, in sostituzione dei dimissionari Antonio Lepre e Luigi Spina. Questa la proposta avanzata dai magistrati progressisti di Area, e in particolare dal pm di Roma Eugenio Albamonte: “non vogliamo due candidati per due posti vacanti, ma neanche quattro candidati, uno per ogni corrente. Questa sarebbe la prova che i gruppi associativi non hanno minimamente compreso cosa sta accadendo. Vogliamo che sia restituita alla magistratura la possibilità di riconoscersi nel procedimento di selezione degli eletti e questo non è possibile se le candidature e la campagna elettorale vengono ancora una volta monopolizzate dalle correnti”. Per questo le toghe di Area chiedono che “le correnti non avanzino proprie candidature: questo – rilevano– può consentire la presentazione spontanea ed autonoma di candidature dal basso di colleghi anche estranei al circuito della militanza associativa, che potranno competere con una possibilità di successo che gli è altrimenti preclusa”».

[10] Così M. Guglielmi, Crisi dell’autogoverno, crisi della magistratura: la necessità di ricostruire una forte identità collettiva, in questo numero (par. 2).

[11] Elisabetta Chinaglia, presidente di sezione presso il Tribunale di Asti; Pasquale Grasso, giudice presso il Tribunale di Genova; Silvia Corinaldesi, presidente di sezione presso il Tribunale di Ancona.