Magistratura democratica

Uno sguardo oltre i confini.
Principi ed esperienze della comunicazione giudiziaria in Europa

di Mariarosaria Guglielmi

I principali network delle magistrature europee hanno elaborato articolati documenti di indirizzo in tema di comunicazione giudiziaria, che rappresentano un insostituibile quadro di riferimento per una componente sempre più rilevante del rapporto tra magistratura e società, con implicazioni importanti nel contesto della crisi dello Stato di diritto. L’analisi dell’esperienza di altri Stati membri dell’Unione europea, e in particolare della Romania, aggiunge ulteriori elementi che depongono nel senso della necessità di un approfondito dibattito anche in Italia sul tema, svolto a partire da quanto elaborato nelle sedi transnazionali.

1. A che punto è il dibattito sulla comunicazione giudiziaria in Europa?
Dal dovere di comunicare alla responsabilité d’explication

L’analisi dei documenti elaborati nell’ambito dei principali network giudiziari europei (Rete europea dei Consigli di giustizia, Consiglio consultivo dei giudici europei, Consiglio consultivo dei procuratori europei) evidenzia la crescente importanza che la comunicazione, finalizzata ad una maggiore trasparenza e al rafforzamento dell’immagine della giustizia, ha assunto nell’elaborazione di comuni linee di azione ed obiettivi della governance giudiziaria.

Il punto di vista europeo espresso attraverso pareri, progetti di lavoro e report manifesta la consapevolezza che, contribuendo ad una corretta informazione, i sistemi giudiziari si rendono partecipi delle dinamiche del dibattito democratico, si confrontano con le aspettative di giustizia dei cittadini e alimentano, in un “percorso circolare”, la fiducia che la collettività deve ricevere dalla magistratura e che alla magistratura può restituire attraverso la comprensione e l’accettazione delle sue decisioni.

La rilevanza che la comunicazione giudiziaria ha assunto nella riflessione in ambito europeo come strumento per rafforzare la legittimazione della magistratura ha comportato un mutamento  dell’approccio al tema che potremmo definire essenzialmente “reattivo” e “difensivo”, attento alle possibili “interferenze” della comunicazione e dell’informazione con l’esercizio imparziale ed indipendente della giurisdizione e al corretto bilanciamento fra diritti e valori potenzialmente confliggenti[1],  verso la promozione della comunicazione come strumento dell’agire democratico del potere giudiziario: l’obiettivo della trasparenza richiede un’assunzione di responsabilità della magistratura rispetto alla comprensibilità del suo operato e delle sue decisioni; le prerogative di indipendenza che le spettano devono trovare il necessario contrappeso nel «dovere di rendere conto» alla collettività (accountability) .

La comunicazione giudiziaria in quanto funzionale alla trasparenza e al controllo sociale, dunque,  come esigenza della democrazia: «l’attività giudiziaria è una componente essenziale delle società democratiche»; «l’inserimento della giustizia nella società richiede che l’istituzione giudiziaria si apra all’esterno e sappia farsi conoscere»; lo sviluppo della democrazia implica che i cittadini ricevano un’informazione adeguata sull’organizzazione di tutti i poteri pubblici, compreso il funzionamento delle istituzioni giudiziarie e le loro regole. Il parere del Ccje 7(2005) «Justice et société» formula sulla base di queste considerazioni una serie di raccomandazioni specifiche anche sulla relazione con le parti processuali per far sì chetutte possano comprendere il ruolo del potere giudiziario. Questo obiettivo, precisa il Ccje, impone che si «agisca» per garantireche la rappresentazione della giustizia di chi vi entra in contatto sia esatta e coerente con gli sforzi delle giurisdizioni volti a guadagnare la fiducia dei cittadini.

La cd. dichiarazione di Bordeaux, adottata congiuntamente dal Ccje e dal Ccpe a Brdo il 18 novembre 2009, riafferma l’interesse della società a che i mezzi di comunicazione possano informare il pubblico sul funzionamento del sistema giudiziario, «l’obbligo per le autorità competenti di fornire informazioni» e «l’importanza per i giudici ed i magistrati del pubblico ministero di redigere, per ciascuna professione, un codice di buone prassi o delle linee-guida in ordine ai loro rapporti con i mezzi di comunicazione» (par. 11).

Di un “dovere” di comunicazione parla il parere 8(2013) del Ccpe con riferimento al pubblico ministero:la trasparenza nell’esercizio delle funzioni del pubblico ministero è una componente essenziale dello Stato di diritto e al tempo stesso una delle importanti garanzie del giusto processo; l’applicazione del principio di trasparenza al lavoro del pubblico ministero è un modo per assicurare la fiducia e l’affidamento del pubblico, con la diffusione delle informazioni sui loro poteri e funzioni, e l’immagine dell’attività svolta dalla Procura costituisce un importante elemento della fiducia nel corretto funzionamento del sistema giudiziario. «Il più ampio accesso possibile dei media all’informazione sulle attività del pm serve anche a rafforzare la democrazia e a sviluppare un’interazione aperta con il pubblico» (par. 31).

La riflessione sulla comunicazione giudiziaria come strumento di dialogo con la collettività e sulla trasparenza della giustizia come fattore di coesione democratica appare ulteriormente sviluppata nel parere del Ccje 18(2015) «Il ruolo dei sistemi giudiziari e i rapporti con gli altri poteri dello Stato in una democrazia moderna», nel contesto di una più ampia analisi degli elementi che sono alla base della legittimazione del potere giudiziario: all’autorità giudiziaria spettano decisioni di importanza fondamentale per la società, per gli individui e per l’attesa di giustizia; l’“autorità” e il “potere” riconosciuti alla magistratura sono esercitati in nome della società e per questo i cittadini devono poter riconoscere che i giudici, considerati individualmente e collettivamente, come tutti coloro che sono investiti di autorità e di poteri, hanno “legittimazione” ad esercitarli in nome della collettività; la legittimazione “costituzionale o formale”, che discende dalla separazione dei poteri, dall’assetto di indipendenza dell’ordine giudiziario e dall’investitura di ciascun giudice conforme alle norme costituzionali e ai principi dello Stato di diritto, deve essere sostenuta ed accompagnata dalla legittimazione “funzionale”, che discende dal rapporto di fiducia con i cittadini e dal dover rendere conto alla collettività dell’esercizio dei propri poteri e delle prerogative di indipendenza; la “responsabilità” che è alla base della legittimazione deve essere intesa non solo come “responsabilità giudiziaria” rispetto al merito delle decisioni assunte (che devono essere pubbliche, motivate e appellabili), e come responsabilità “individuale”(con previsioni di sanzioni disciplinari e penali), ma nel più ampio significato di accountability : «i giudici sono tenuti a rendere un servizio trasparente e decisioni motivate interagendo con il pubblico  e con gli altri poteri pubblici».

Il Ccje individua quindi nella responsabilité d’explication (explanatory accountability) un aspetto essenziale per la legittimazione di ogni potere pubblico: «un organismo pubblico è responsabile se fornisce spiegazioni sulle decisioni che assume»; a condizione che sia salvaguardato il giusto equilibrio, il principio di indipendenza dell’autorità giudiziaria e di responsabilità non sono inconciliabili; l’autorità giudiziaria si esercita in nome del primato del diritto e di coloro che avanzano domanda di giustizia e la magistratura deve per questo dar conto agli altri poteri dello Stato e alla società nel suo insieme dell’uso che fa del suo potere e delle sue prerogative di indipendenza.

La responsabilité d’explication richiede che sia assicurata la pubblicità delle decisioni e dei processi e una motivazione comprensibile dei provvedimenti; accanto all’osservanza delle regole formali e procedurali che garantiscono l’acceso del pubblico alle aule di giustizia e la conoscibilità degli atti, è rilevante «l’esperienza concreta dell’osservazione del potere giudiziario in azione»; «il dialogo con il pubblico», che ha luogo direttamente o con la intermediazione dei media, è di un’«importanza decisiva perché i cittadini possano conoscere i loro diritti e perché cresca la loro fiducia nel potere giudiziario».

2. Dai principi alla messa in opera di una strategia comune della comunicazione. Le nuove sfide nel contesto europeo di crisi dello Stato di diritto

In parallelo all’elaborazione dei principi e delle raccomandazioni, il confronto in ambito europeo ha prodotto progetti di lavoro sempre più articolati per sostenere, sulla base delle esperienze concrete, la conoscenza, la diffusione e l’aggiornamento delle buone prassi, e un approccio “propositivo” e “proattivo” della magistratura e delle istituzioni di autogoverno alle problematiche della comunicazione giudiziaria: il dovere di comunicare, correlato al diritto della collettività di essere informata in maniera corretta e trasparente e al necessario controllo sociale sull’operato della magistratura, richiede un’assunzione di responsabilità anche rispetto alla qualità dell’informazione, e una strategia della comunicazione giudiziaria, con individuazione di obiettivi, programmazione delle attività, utilizzo di strumenti adeguati e formazione di professionalità specifiche; alla crescita delle aspettative di giustizia e della capacità critica rispetto alla risposta giudiziaria devono corrispondere l’impegno della magistratura per rendere comprensibile la complessità delle sue decisioni e del ruolo della giurisdizione e, di fronte ai rischi che, con l’attesa di giustizia non soddisfatta, si consolidi un senso di distanza dalle istituzioni giudiziarie, la comunicazione deve contribuire a diffondere e a tener viva la comune consapevolezza dei valori della giurisdizione e dell’importanza che l’indipendenza dei sistemi giudiziari riveste per la tutela dei diritti.

I gruppi di lavoro e i progetti pluriennali costituiti dalla Rete dei Consigli di giustizia hanno funzionato negli ultimi anni da laboratori nei quali, attraverso il confronto fra le esperienze dei vari Paesi e l’individuazione e l’analisi di buone prassi, è stata portata avanti un’azione di armonizzazione delle politiche in materia di comunicazione basata su una strategia di comunicazione “proattiva” e “intensiva”.

Il primo gruppo di lavoro Judiciary and Media (2005-2006), promosso dal Consiglio olandese, prendendo atto delle diversità delle situazioni nazionali e dei rischi insiti nell’apertura ai media, si proponeva l’obiettivo limitato di identificare e di diffondere  buone prassi.

Un significativo passo in avanti si realizzava con il progetto 2011/2012 Judiciary, Society and the Media che formulava specifiche raccomandazioni: 1) strutturare un sistema di comunicazione affidato a un portavoce (nella forma del giudice addetto stampa) e a un consulente della comunicazione, con competenza e professionalità specifiche per svolgere un’attività di informazione per il pubblico con linguaggio comprensibile e per l’uso corretto dei media; 2) adottare chiare linee guida per disciplinare i rapporti con la stampa in ordine all’utilizzo dei mezzi di comunicazione nei tribunali; 3) sviluppare una strategia per un utilizzo corretto dei social media da parte degli addetti alla comunicazione giudiziaria, con individuazione degli obiettivi e dei destinatari di questo tipo di informazione; 4) garantire strumenti per un accesso alle informazioni relative ai Consigli di giustizia (come i siti web); 5) introdurre linee guida per i rapporti con la stampa, come parte di una strategia della comunicazione nazionale, con individuazione degli obiettivi e dei reciproci interessi dei media e dei sistemi giudiziari (cosa i mezzi di informazione possono attendersi dagli addetti stampa, come i sistemi giudiziari possono confrontarsi con queste esigenze); 6) sviluppare un proactive media approach sia rispetto alle decisioni di singoli casi che al più generale funzionamento dei sistemi giudiziari (con attività di formazione specifica dei magistrati sulle modalità per accrescere la trasparenza dell’attività e dei sistemi giudiziari e sulle modalità di funzionamento dei media e meeting periodici con la stampa per illustrare il funzionamento della giustizia).

L’ultimo report 2017-2018 «Public Confidence and the Image of Justice», approvato dall’Assemblea generale di Lisbona del giugno 2018, è un articolato documento  che sintetizza i risultati dell’attività svolta dal working group attraverso la raccolta e l’analisi di informazioni su tutti gli aspetti rilevanti per il raggiungimento dell’obiettivo: contenuti, metodi e finalità della strategia comunicativa, uso dei media, ruolo e competenze del portavoce, formazione specifica alla comunicazione, importanza dei simboli e dei segni, uso dei protocolli e gestione delle situazioni di “crisi” (consistenti negli eventi che chiamano in causa la responsabilità dei sistemi giudiziari dinanzi all’opinione pubblica, con rischi per la sua immagine o effetti negativi sul piano simbolico o per il regolare svolgimento dell’attività giudiziaria), metodi di comunicazione “proattiva”, con azioni positive finalizzate a promuovere il contatto con il pubblico, la conoscenza dei sistemi giudiziari e il loro funzionamento, e ad avvicinare i cittadini ai luoghi della giustizia.

Rispetto a ciascuno di questi obiettivi, il report formula raccomandazioni e, in particolare: il monitoraggio periodico e regolare del livello di fiducia della collettività; l’utilizzo dei media non solo per diffondere le informazioni d’interesse pubblico ma anche per rilevare gli effetti (positivi o negativi) della comunicazione ed informazione giudiziaria; l’adozione di una strategia della comunicazione integrata (non limitata ai Consigli di giustizia, ai portavoce e ai soggetti rappresentativi degli uffici giudiziari ma estesa alla comunicazione da parte dei singoli giudici) e “intensiva” rispetto ai contesti e alle situazioni in cui si registra un calo di fiducia verso la magistratura; lo sviluppo di strumenti di comunicazione e buone pratiche anche per i rapporti con gli altri soggetti istituzionali, avvocatura e tutti gli interlocutori nel dibattito pubblico sulla giustizia; l’istituzione di una struttura interna di comunicazione (con la figura del portavoce, di un ufficio stampa integrato con esperti di  comunicazione); la formazione sulla comunicazione estesa a tutti i magistrati e ai dirigenti degli uffici;l’uso dei social media per favorire una comunicazione “diretta”; l’utilizzo delle immagini e dei simboli per identificare le istituzioni giudiziarie; le iniziative mirate a favorire il dialogo con l’opinione pubblica.

L’attuale contesto segnato da processi di regressione dello Stato di diritto, e di attacco all’indipendenza della magistratura in corso anche in paesi fortemente ancorati alla tradizione giuridica europea come la Polonia[2], pone nuove sfide anche sul piano della comunicazione giudiziaria.

La dichiarazione dell’Encj adottata all’Assemblea generale di Lisbona del giugno 2018, On leading positive change, traccia le future linee di azione dei Consigli di giustizia che, in questo contesto,  devono assumere un “nuovo” ruolo, di orientamento in senso democratico dei cambiamenti nei rapporti fra magistratura e Paese e fra istituzioni giudiziarie e sfera politica, concorrendo a mantenere un corretto equilibrio fra i poteri e a rafforzare la posizione di indipendenza dei sistemi giudiziari.

La comunicazione giudiziaria dovrà essere strumento di questa azione di guida “positiva” delle istituzioni giudiziarie, favorendo la condivisione dei valori della giurisdizione e la comprensione dell’importanza “vitale per ogni democrazia” della sua indipendenza e per lo Stato di diritto: un obiettivo che richiede un impegno specifico per rendere il ruolo dei sistemi giudiziari «più visibile, rilevante e comprensibile» per tutti i cittadini.

3. La rilevanza delle esperienze nazionali, tra individuazione di “buone pratiche” e comprensione delle dinamiche interne dei singoli sistemi

I documenti di indirizzo prodotti dalle Reti europee di giudici e pubblici ministeri nascono e si sviluppano nell’humus rappresentato dalle esperienze nazionali, a partire da una grandissima varietà di culture giuridiche, contesti istituzionali, realtà sociali e contingenze politiche. È quindi certamente importante osservare come i singoli Stati hanno reagito alla pressione nel senso di una maggiore apertura verso l’esterno dell’amministrazione giudiziaria. Questo “sguardo oltre i confini” può essere alternativamente rivolto alla ricerca di “buone pratiche” o alla comprensione delle dinamiche attraverso le quali l’apertura concretamente avviene e quali ostacoli eventualmente incontra, particolarmente quando l’osservatore ha la possibilità di approfondire la realtà di ordinamenti con coordinate di base relativamente simili al proprio.

Fra gli esempi di “buone pratiche” è frequentissimo il rinvio all’esperienza olandese, e non a caso magistrati e accademici olandesi hanno svolto un ruolo importante nei molti programmi europei che hanno sostenuto i Paesi candidati all’accesso nell’Ue e i Paesi membri di più recente accessione a migliorare i propri standard in tema di comunicazione giudiziaria. L’esperienza olandese è caratterizzata da un “sistema di comunicazione” strutturato a vari livelli, con una pluralità di ruoli e di competenze: ne fanno parte giudici con il ruolo di press judge (figura istituita presso ogni Corte di appello e a livello distrettuale); gli addetti in qualità di portavoce (spokeperson) ai rapporti con i media; consulenti (communication advisor) esperti non giuridici di comunicazione, con un ruolo e funzioni complementari a quelle del press judge; è previsto il national pool of judges per sector, i cui componenti si occupano – nel settore penale e in quello della famiglia – della comunicazione sui singoli casi in ambito nazionale; sono previsti protocolli che regolano i rapporti con la stampa e riunioni periodiche della Commissione degli uffici stampa (Committee of Press judges ) per un confronto sulle esperienze di relazione con i media, sulle possibili innovazioni nell’attività di comunicazione e delle linee guida, e sull’analisi dei casi critici che si sono verificati; il Consiglio di giustizia, che ha una sua struttura di comunicazione, organizza una volta all’anno una conferenza sul rapporto judiciary and media, alla quale possono partecipare anche giornalisti.

L’esperienza olandese ha un grande interesse anche per il lungo arco di tempo nel quale essa è stata sperimentata in concreto, visto che i primi interventi al riguardo risalgono agli anni ’70. Già oltre un decennio fa uno studio empirico concluse riconoscendone la capacità di riequilibrare utilmente la dialettica giurisdizioni/media, dando alle istituzioni della giustizia la possibilità di una “difesa preventiva” (un pre-emptive strike) contro attacchi mediatici[3].

Abbiamo deciso, tuttavia, in questa sede di presentare più in dettaglio un’esperienza nazionale partendo dalla seconda prospettiva, ossia quella dell’interesse per le concrete dinamiche di sviluppo, comprese le criticità, in presenza di dati strutturali relativamente simili a quelli del nostro Paese.

Lo scritto di Daniela Lecca, magistrato già portavoce del Consiglio superiore della magistratura rumeno, ci introduce a un’esperienza più recente nell’ambito di un ordinamento con istituzioni giudiziarie e organi di garanzia familiari all’osservatore italiano, che prima della lunga chiusura totalitaria aveva conosciuto un’interessante fase di modernizzazione giuridica avviata con la costituzione liberale del 1923 (che già prevedeva ad es. un controllo di costituzionalità delle leggi) e, nell’ambito della giustizia, con una legge di ordinamento giudiziario del 1925 particolarmente innovativa. Al momento di rientrare tra le democrazie liberali, la Romania ha mantenuto una grande comunicazione con i più avanzati modelli costituzionali e legislativi europei, sempre con particolare attenzione all’area franco-italiana, ma non solo. Quanto descritto da Daniella Lecca conferma questa permeabilità della cultura giuridica rumena ed evidenzia lo sforzo che nell’ambito di essa si compie per far fronte a contesti politici spesso molto complessi, con la capacità di mettere sotto tensione i valori dello Stato di diritto. La nascita e l’evoluzione del sistema rumeno, del quale non si nascondono le difficoltà, è particolarmente interessante perché pone in luce un dato significativo per l’osservatore italiano. Come l’autrice specifica, l’attenzione della giustizia rumena per la comunicazione pubblica è una risposta alla necessità di far fronte a obblighi informativi imposti dal legislatore «piuttosto che l’espressione di un bisogno di comunicazione organica interno al sistema», come invece appare nell’esperienza olandese o in genere in quelle nordeuropee. Il punto di partenza dell’esperienza rumena è stato infatti la legge sull’«Informazione di pubblico interesse» del 2001, che dà attuazione a quanto previsto dall’articolo 31 della Costituzione sul diritto del cittadino a ricevere informazioni corrette dalle autorità. Gli obblighi informativi introdotti dal legislatore del 2001 gravano anche sulle Corti, e hanno posto la magistratura di fronte a scelte forzate, obbligandola a identificare soluzioni per l’introduzione delle quali la Romania ha ottenuto l’assistenza delle istituzioni europee. La netta costituzionalizzazione del diritto a ottenere informazioni da parte delle autorità pubbliche, comprese quelle giudiziarie, che ha una fortissima tradizione nel nord Europa (con punte estreme nei paesi scandinavi) e che è da noi un fattore di pressione assente, in Romania è stato poi alimentato e moltiplicato dal processo di integrazione europea. Come ricordano gli autori di un interessante studio della Banca mondiale sull’accesso all’informazione pubblica in Romania[4], se non c’è infatti un preciso acquis comunitario in materia di diritto generale all’informazione pubblica, si è andata tuttavia formando (anche per l’influenza dei Paesi con più tradizione al riguardo) una soft law che ha avuto grande peso nelle negoziazioni sull’accessione.

Anche le specifiche vicende rumene confermano che i documenti dei network internazionali sopra richiamati, in cui le spinte innovative interne alle magistrature hanno potuto alimentarsi (come plausibilmente nel caso di concetti come quello di external accountability) di una diffusa sensibilità per gli obblighi di trasparenza e comprensibilità per i cittadini dell’operato di tutte le istituzioni, forniscono un prezioso quadro di riferimento.

Nel caso italiano, l’assenza di stimoli esterni paragonabili a quelli che hanno operato in Romania, come l’introduzione di obblighi informativi ex lege, certamente fa gravare sulla magistratura una responsabilità ancora maggiore, obbligandola a sviluppare autonomamente una consapevolezza della posta in gioco in tema di comunicazione giudiziaria e ad elaborare modelli comunicativi adeguati alle esigenze e compatibili con il quadro normativo proprio del nostro ordinamento.

La conoscenza e l’approfondimento di quanto elaborato nelle Reti europee e delle lezioni nazionali è, in questa fase di crisi dello Stato di diritto e di crescente importanza nel suo ambito degli strumenti mediatici, un obbligo ineludibile per tutta la magistratura e non solo per quella parte da sempre più “incuriosita” dalla dimensione “transnazionale”.

[1] Vds. Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 del Comitato dei ministri agli Stati membri sui giudici: Indipendenza, efficacia e responsabilità, adottata dal Comitato dei ministri il 17 dicembre 2010 (par. 19 «I procedimenti giudiziari e le questioni relative all’amministrazione della giustizia sono di pubblico interesse. Il diritto all’informazione in materia deve però essere esercitato tenendo conto delle limitazioni imposte dall’indipendenza della magistratura. Deve essere incoraggiata la creazione di posti di portavoce giudiziario o di servizi stampa e comunicazione sotto la responsabilità dei Tribunali o sotto il controllo dei Consigli superiori della magistratura o di altre autorità indipendenti. I giudici devono dar prova di moderazione nei loro rapporti con i media») e i «Principi base per l’indipendenza dei sistemi giudiziari» delle Nazioni unite, 1985, par. 2, «I giudici devono poter assumere le loro decisioni in modo imparziale, sulla base di fatti e in conformità con la legge, senza restrizioni, influenze improprie, incentivi, pressioni, minacce o interferenze, dirette o indirette, provenienti da qualsiasi parte o per qualsiasi motivo».

[2] L’Assemblea generale dell’Encj il 19 settembre 2018 ha deciso di sospendere il Consiglio di giustizia della Polonia (Krs), membro fondatore della Rete, prendendo atto degli effetti negativi, e per ora irreversibili, prodotti dalle riforme sull’indipendenza del sistema giudiziario e sulla funzione del Consiglio di giustizia: il Krs non può più essere considerato una istituzione indipendente dal potere esecutivo e legislativo né un organo in grado di sostenere il sistema giudiziario nell’esercizio indipendente della giurisdizione.

[3] L. Gies, «The Empire Strikes Back: Press Judges and Communication Advisers in Dutch Courts», in Journal of Law and Society, Vol. 32, n. 3 (Sep., 2005), pp. 450-472.

[4] Implementing right to information. A Case study of Romania, World Bank, Washington DC, 2012.