Magistratura democratica

Libertà e umanità del giudice: due valori fondamentali della giustizia.
La giustizia digitale può garantire nel tempo la fedeltà a questi valori?

di Simone Gaboriau

Nel tempo della rivoluzione digitale, l’idea di affidare agli algoritmi una parte consistente del contenzioso in base alla sua “limitata” entità riposa su strategie non sempre trasparenti che eludono la pubblicità e la terzietà connaturate alla funzione giurisdizionale e ai suoi soggetti. Oltre a una risposta alle esigenze di ordine giudiziario e di riduzione dei costi – promossa dal Ministero della giustizia francese – cosa presuppone e quali effetti comporta un’automazione – ancorché parziale – della giustizia?

Ripercorrendo alcune esperienze francesi, le opinioni contrastanti espresse da diverse “voci” ufficiali e collocando il fenomeno in prospettiva storica allargata (compreso un richiamo, in tema di validità dei dispositivi, alle derive applicative generate da una soi-disant “polizia predittiva”), si analizzano le dinamiche strutturali della giustizia digitale guardando ai risultati finora raggiunti e alla natura degli interessi che essa serve. Al netto di considerazioni ideologiche, si ripropone oggi, con inedita urgenza – e indubbia necessità –, la rilevanza dei valori intangibili della giustizia e di una qualità connaturata al magistrato: l’umanità, dalla quale non tanto la tecnologia in sé, quanto le logiche – tutte umane – ad essa sottese sembrano, talvolta e in misura crescente, prendere le distanze.

Premessa

«Vi furono giudici prima che esistessero leggi», affermava Portalis, uno dei padri del codice civile francese del 1804.

In effetti, il bisogno di “giustizia” risale a tempi remoti: una giustizia, allora, non istituzionale che, tuttavia, si è andata trasformando – nel divenire storico, differenziato per Paesi e culture - in una funzione essenziale per le società democratiche.

Da principio ne furono incarnazione i poteri (politico, reale, religioso o di altra natura), finché la giustizia non si è “disconnessa”, almeno formalmente, dal potere in quanto tale. Dico “formalmente” poiché il potere politico, qualunque esso sia, tende sempre a interferire nella sfera riservata al potere giudiziario.

Ora, si ricorderà come, in Francia, il potere giudiziario sia qualificato «di autorità giudiziaria» dalla nostra Costituzione “golliana” del 4 ottobre 1958. Domani – o dopodomani – si tratterà di un’autorità algoritmica?

In ogni caso, dopo la Seconda guerra mondiale e il trauma dei crimini contro l'umanità e delle gravi violazioni dei diritti umani, s’impose la necessità di erigere a diritto fondamentale il diritto a un giudice indipendente e imparziale, espressa nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata il 10 dicembre 1948, nonché nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.

Ogni epoca ha avuto il suo paradigma di giustizia.

Per la prima volta, le nuove tecnologie stanno mettendo alla prova, in modo imprescindibile, il “modello” di giustizia raggiunto, dopo lunga maturazione, nel secolo XX.

1. La giustizia dei tempi moderni. Un post-umanesimo?

1.1. L’emergere della giustizia digitale in Francia ovvero l’industria del diritto in un mondo 2.0

Quanto descritto qui di seguito è sicuramente vissuto in molti Paesi con tempi e modalità più o meno distinte, ancorché con indubbia coerenza negli obiettivi. Presentata come una sorta di nuovo “Graal tecnologico”, l'intelligenza artificiale applicata alla giustizia tende, come mai prima, a “ottimizzare” le sue modalità operative, spingendosi fino a evitare la giustizia stessa.

Gli open data[1] delle decisioni giudiziarie, associati alle tecnologie di analisi linguistica, di data mining e di estrazione delle informazioni, costituiscono la base delle nuove pratiche investigative inerenti alla produzione delle corti e dei tribunali, equivalente a 4 milioni di decisioni l'anno e provvista – occorre sottolinearlo – di un’attitudine disomogenea a fare giurisprudenza.

Queste pratiche “innovative” dovrebbero fornire l'accesso, in misura pressoché esaustiva, alla conoscenza delle decisioni emesse a ogni livello, e costituiscono una questione centrale sia per la ricerca sia per il mondo della giustizia e dei suoi utenti.

 

A) La “governamentalità” algoritmica nella giustizia

Gli sviluppi suaccennati hanno portato all'idea di una “governamentalità” algoritmica nel campo della giustizia, basata sul postulato dell'uniformità delle decisioni rese in situazioni a priori comparabili. Si è pensato, così, di offrire strumenti di supporto alla decisione utilizzabili nella sfera giurisdizionale: ne è una riprova la comparsa dei sistemi cd. di «legaltech», che offrono ai professionisti nuovi servizi (ricerca di un’informazione giuridica adeguata, valutazione e prevedibilità delle decisioni, etc.). Oggi esistono più di 75 start-up legaltech. Ad esempio, «Predictice» è specializzata nell'analisi delle decisioni giudiziarie, con l’obiettivo di offrire, grazie all’impiego degli algoritmi, uno strumento di supporto decisionale per i professionisti del diritto.

Numerosi rapporti, colloqui, seminari, forum si sono accostati alla questione, e ciò trova riscontro nella stampa più o meno specializzata.

«Vivificare la giustizia attraverso il digitale»: ecco il discorso ufficiale[2]. Si tratta di far entrare, in misura molto più larga, la tecnologia digitale nel funzionamento della giustizia: dall'accesso a quest’ultima alla produzione risultante dall’attività giurisdizionale. In particolare, il digitale sarà molto presente nel favore accordato alla composizione amichevole delle controversie. È in corso, inoltre, un progetto di procedura penale digitale.

In materia civile, una simulazione elaborata, a partire da frammenti di conoscenza, da Emmanuel Jeuland[3], apre la seguente prospettiva fittizia (per quanto tempo ancora?): dopo il deposito di un singolo modulo di ricorso e un’istruzione informatizzata della causa, si arriverebbe a una decisione previamente redatta dal computer concernente i fatti e i mezzi impiegati in base a una cornice prestabilita; alcune frasi della motivazione sarebbero scritte dal giudice e il tutto potrebbe compiersi entro termini ristretti; un algoritmo potrebbe anche aiutare a verificare che siano presenti tutti gli elementi necessari al giudizio e, in particolare, tutte le regole applicabili ai fatti. Nulla impedisce di immaginare che al giudice sia proposta un’elaborazione dei punti di motivazione.

 

B) Il fallimento degli esperimenti di supporto alla decisione

Grazie a Predictice, esperimenti di aiuto informatizzato alla decisione hanno già avuto luogo dimostrandone, tuttavia, l’insuccesso. Su iniziativa del Ministero della giustizia, le Corti d'appello di Douai e di Rennes sono state invitate, nella primavera del 2017, a testare volontariamente uno degli strumenti di ausilio decisionale di Predictice, ma pochi mesi dopo se ne è constatato il fallimento.

 

Focus 1 - Il fallimento dell'esperimento di supporto informatizzato alla decisione

Ecco il resoconto del primo presidente della Corte d’appello di Rennes:

«Le nostre due Corti d'appello e il Ministero della giustizia hanno concluso che l’esperimento non è riuscito. Abbiamo ritenuto l’assenza di un valore aggiunto per il lavoro dei magistrati, poiché eravamo già in possesso di banche dati e quindi in grado, in ambito civile, di accedere a tutte le decisioni. Inoltre, disponiamo di strumenti di ricerca per rintracciare le decisioni partendo da parole chiave. Per quanto riguarda l'approccio quantitativo – che ci mancava – ci saremmo aspettati un approccio rinnovato, con una migliore leggibilità delle tabelle. Tuttavia, su un certo numero di test, abbiamo considerato come vi fossero effettive distorsioni di ragionamento, derivanti da una confusione interna all’analisi del testo non normato: si confondevano causalità – che informa il dispositivo – e circostanza. Ci siamo, quindi, ritrovati frustrati dal fatto di non poter disporre di una vera analisi quantitativa della giurisprudenza, e le nostre corti hanno deciso di non dar seguito al monitoraggio di questo software, aspettando i giorni felici di una migliore qualità analitica».

 

C) Giustizia digitale, giustizia iniqua?

Per alcuni, la giustizia digitale corrisponderebbe a un ideale, in particolare perché il suo utilizzo eliminerebbe la soggettività dei giudici e il “disordine giudiziario”. Essa ridurrebbe anche il costo complessivo della giustizia (che grava sulle finanze pubbliche), concentrando l’attività dei giudici sui casi più difficili. Per il momento, nessuno osa proporre la regolamentazione di tutte le controversie mediante la “giustizia digitale”.

Come ha sottolineato l'etnografa Tricia Wang[4], «gli algoritmi possono sbagliare. Possono essere ingiusti. Possono perpetuare uno stato di fatto indesiderato» e, aggiungerei, indesiderabile. «Gli algoritmi riflettono le scelte dei loro creatori, “neo-scribi” le cui produzioni ci colpiscono, ogni giorno, in misura maggiore».

La giustizia digitale, come si legge nell’opera di Antoine Garapon e Jean Lassègue[5], «alimenta un nuovo mito: organizzare la convivenza umana senza intermediari e senza legge, con un semplice gioco di scrittura, e con il rischio di dimenticare che l'uomo è un animale politico», come diceva Aristotele[6], per il quale l'uomo trova la sua realizzazione soltanto vivendo e agendo nella polis. In questo processo si intaccano i fondamenti della democrazia, mettendo in discussione la legittimità del diritto, produzione della volontà di “vivere insieme” attraverso il processo democratico, a favore di un “soluzionismo” caso per caso, consistente nel voler trovare una soluzione a tutti i costi, senza alcun riferimento a una regola prestabilita. In una società democratica, quest’ultima dovrebbe definirsi a valle di un dibattito assistito dalla ricerca dell'interesse generale e/o della tutela dei soggetti più vulnerabili.

Dalla riflessione che l’opera suscita, è possibile trarre diversi insegnamenti.

Intanto, la rivoluzione digitale che conosciamo presenta, senza dubbio, più ripercussioni sul diritto che in altri ambiti e costituisce un fatto sociale totale: scuote l'intera società e le sue istituzioni. La pratica tradizionale della giustizia ne esce profondamente sconvolta, trattandosi di un processo che, in maniera sostanziale, mette in questione l'identità professionale degli attori della giustizia e – peggio – la legittimità stessa del diritto.

Inoltre, con la rivoluzione digitale, la giurisprudenza non è il bene comune direttamente accessibile a tutti i cittadini, come promesso dall'avvento della “Repubblica digitale”. Essa finisce, necessariamente, per rientrare nell’attività di gestione dei big data fatta propria da start-up specializzate, private e capitalistiche, che vanno – inevitabilmente – in cerca di profitti.

 

D) Il fascino pericoloso del digitale

Per il Ministero della giustizia, che ha proposto una riforma ad ampio raggio (il ddl «di programmazione 2018-2022 e di riforma per la giustizia» (Plpj) 2018-2022, tuttora in discussione) fortemente criticata dal Sindacato dei magistrati[7] e dagli avvocati, la digitalizzazione rappresenta una panacea. Ciò equivale a dimenticare che un’alta percentuale della popolazione, non avendo accesso alla rete e/o non avendone la “cultura”, non usa internet; ancora, si dimenticano i freni e gli ostacoli all’accesso al diritto che comporta la diffusione di sportelli automatici per i servizi pubblici o para-pubblici, in particolare quelli deputati ad assicurare l’attribuzione dei diritti sociali (indennità di disoccupazione e altre prestazioni sociali). È questa la direzione che si intende imprimere all’evoluzione della giustizia?

Oltre ai casi in cui l’azione in giudizio potrebbe realizzarsi esclusivamente online, nel testo del citato disegno di legge il legislatore estende le ipotesi in cui il tentativo di composizione amichevole costituisce una condizione preliminare necessaria alla soluzione della controversia. In questo settore, si è assistito a una considerevole crescita di importanza di start-up private ​​e capitalizzate – logicamente in cerca di profitto –, che sostengono di offrire online una risoluzione amichevole delle liti.

Di fatto, il Governo applica una logica che rende la razionalizzazione della spesa pubblica la sola risposta alle carenze del sistema giudiziario francese, respingendo costantemente un serio esame delle questioni cruciali che interessano il suo funzionamento. Poiché considera di non disporre più dei mezzi per gestire il volume del contenzioso, l’Esecutivo organizza circuiti funzionali a una riduzione del carico, ritenendo che lo sviluppo della conciliazione e della mediazione possa, alla fine, produrre un impatto decongestionante sul gratuito patrocinio[8], riducendo il numero dei contenziosi a spese dello Stato. Questo rimane, beninteso, da dimostrare. Inoltre, il Governo prevede, entro il 2021, un taglio ulteriore che potrebbe interessare, per la “fascia alta”, le posizioni di 43 magistrati e 65 cancellieri.

 

Focus 2 - Parere del Difensore dei diritti, 27 settembre 2018

Il Difensore dei diritti è preoccupato per la mancanza di garanzie relative all'operatività di piattaforme per la composizione amichevole, le quali non saranno tenute all’obbligo di certificazione. Il Difensore dei diritti si mostra sorpreso del carattere facoltativo di quest’ultima, il cui ottenimento è subordinato alla verifica del rispetto degli obblighi in materia di protezione dei dati personali, riservatezza, indipendenza, imparzialità, competenza e diligenza, che costituiscono uno standard minimo di protezione delle persone.

Queste piattaforme possono ricorrere a forme di automazione dei dispositivi, inclusa l'intelligenza artificiale, che utilizza dati giuridici per prevedere situazioni future e offrire agli utenti una risposta plausibile. Sembra necessario avere le dovute garanzie e un controllo umano sulla qualità delle soluzioni apportate.

Per quanto riguarda il supporto della mediazione, sembra altresì necessario mantenere, a titolo opzionale, un accesso telefonico e postale. L'indagine del 30 marzo 2017 sui rapporti degli utenti con i servizi pubblici, condotta dal Difensore dei diritti su un campione di circa 5.200 utenti, conclude che la smaterializzazione dei servizi pubblici, che si traduce in prestazioni talvolta accessibili solo via internet, può compromettere il principio di uguaglianza nell’accesso ai servizi stessi, soprattutto per coloro che ne hanno più bisogno.

Nel Rapporto annuale di attività - 2016, il Difensore menziona l’Inchiesta sull’accesso ai diritti[9], uno studio approfondito realizzato dalla sua équipe di ricerca e dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), che mostra come il 27% degli intervistati non abbia accesso a internet o incontri serie difficoltà, una volta in rete, a completare le procedure amministrative.

 

Focus 3- Le modalità di risoluzione online.Rinuncia alla certificazione

Afferma il Ministero della giustizia, nella persona del «Direttore degli affari civili e del sigillo» (Dacs), in risposta alla domanda di un giornalista: «Non Le sarà sfuggito che l’intera riforma contenuta nella proposta di legge di programmazione 2018-2022 si concentra sulla volontà di modernizzare e smaterializzare la procedura civile [sic]. Il sostegno, da parte del Ministero della giustizia, dello sviluppo di piattaforme di risoluzione online cristallizza in sé questa duplice volontà»[10].

In effetti, l'offerta di assistenza per la risoluzione amichevole delle controversie si è sviluppata in modo spettacolare grazie allo strumento digitale e all’uso degli algoritmi.

A uno sviluppo della mediazione online, si sono parimenti affiancati meccanismi di arbitrato. Questi nuovi dispositivi di risoluzione, considerati dal Governo utili per il privato in quanto «semplici e veloci», offrono servizi a pagamento con corrispettivi compresi tra 400 e oltre 14.000 euro (in base alla complessità del caso), cui può essere aggiunto un costo supplementare relativo al numero dei documenti prodotti, all'uso della videoconferenza, all'esistenza di una domanda riconvenzionale presentata dal convenuto.

Tali modalità non sono sempre sicure e non è possibile garantire i potenziali utenti sulla qualità dei servizi offerti.

Non si può continuare a negare agli utenti la reale incertezza connessa al costo e alla qualità di questi servizi; occorre porvi rimedio.

Data la varietà delle piattaforme proposte e delle soluzioni tecniche dedicate a risolvere controversie evitando di adire il giudice, il Ministero della giustizia aveva, dapprima, ritenuto necessaria la creazione di un sistema di garanzie mediante un processo di certificazione obbligatorio (in base al quale sarebbero stati esclusi i siti che offrivano soluzioni esclusivamente derivanti da elaborazioni algoritmiche o automatizzate). Tuttavia, questa ambizione è stata abbandonata in favore di una certificazione facoltativa. Ne consegue che non è offerta al cittadino alcuna sicurezza, specie in merito al rispetto della riservatezza delle informazioni in possesso di chi opera nell’ambito di questi servizi online.

A dire il vero, a differenza della giustizia “tradizionale”, di pertinenza esclusiva – o, almeno, in gran parte – dello Stato, la mediazione e in generale le modalità di composizione amichevole non rientrano nella sfera del monopolio, basandosi sulla libertà d’impresa degli attori privati e sulla libertà contrattuale delle parti. Nondimeno, è ragionevole interrogarsi sulla fondatezza delle scelte compiute.

Come si è detto sopra, sono nate molte piattaforme di mediazione e risoluzione online, sviluppate da professionisti legali (avvocati, ufficiali giudiziari, notai) o da privati​ (legal tech[11]), che offrono una soluzione amichevole “a monte” del ricorso al giudice, soluzione che il Governo vuole incoraggiare fortemente. Non riuscendo a creare un servizio pubblico per tali modalità risolutive[12], per dare credibilità a questi nuovi attori e alla procedura che mettono a disposizione, sarebbe stato quantomeno auspicabile che, a livello istituzionale, le piattaforme fossero certificate, al fine di assicurare l’effettività delle garanzie essenziali (sul piano della competenza e della deontologia delle piattaforme). Questa scelta non è stata fatta, e l’esito è assolutamente deplorevole.

Di seguito, la motivazione del Dacs presso il Ministero della giustizia: «Sarebbe stato imprudente imporre una certificazione obbligatoria che avrebbe portato alla regolamentazione di un mercato emergente. Si è optato, perciò, per la certificazione opzionale»[13]. Tuttavia, le aziende saranno incoraggiate a richiedere la certificazione. «Si tratta, anzitutto, di un incentivo al mercato. In effetti, la certificazione orienterà i cittadini nella scelta di affidare la loro controversia a questa o a quella piattaforma. Siamo consapevoli di come la certificazione contribuisca a migliorare la fiducia delle parti in causa verso queste tecnologie di gestione. In proposito, è forse necessario ricordare che la certificazione è un processo di valutazione della conformità che porta all'asseverazione scritta del fatto che le piattaforme soddisferanno i requisiti stabiliti dalla legge di programmazione? Pertanto, se queste aziende desiderano aumentare la propria clientela, avranno tutto l’interesse a essere certificate (…). L'organismo che accorda la certificazione dovrà verificare che siano soddisfatte le condizioni necessarie a ottenerla, vale a dire:

  • rispetto degli obblighi in materia di riservatezza e protezione dei dati personali, salvo diverso accordo tra le parti;
  • attività svolta da una persona fisica con la dovuta diligenza, indipendenza e imparzialità, nel quadro di una procedura efficiente ed equa;
  • assenza di un’attività condotta per mezzo di un’elaborazione totalmente algoritmica o automatizzata»[14].

 

L’effetto è quello di un rinvio alla legge del mercato, là dove converrebbe che la sovranità dei principi democratici ed etici fosse mantenuta.

Possiamo scommettere che le “piattaforme certificate” offriranno tariffe più elevate e che le altre risulteranno più appetibili in termini di prezzo.

L'unica soluzione non a pagamento per l’interessato, la sola compatibile con il principio di gratuità della giustizia e con la posizione della Corte di giustizia dell’Unione europea (sulla quale si veda infra), sarà il ricorso gratuito ai conciliatori di giustizia, il cui numero è - in ogni caso - largamente insufficiente ad affrontare i nuovi bisogni imposti dall'estensione del campo della ricerca preliminare e obbligatoria di una soluzione amichevole. Ne consegue la volontà di reclutare almeno 600 conciliatori di giustizia, ossia quasi un terzo in più rispetto alla forza lavoro attuale; ma un tale reclutamento di ausiliari di giustizia – dei quali, peraltro, si impone una diversificazione - è realmente possibile?

Varrà anche la pena ricordare che, secondo la legge francese – art. 21 cpc –, «rientra nella missione del giudice conciliare le parti». Nel corso degli anni questo compito è stato, a differenza di altri Paesi – ad esempio, il Québec –, trascurato, specie per effetto di una gestione manageriale dell’istituzione giudiziaria. Ora, patendo dalla mia esperienza professionale, posso dire che tale pratica è non solo possibile, ma anche capace di ravvivare e arricchire la qualità della giustizia, e ciò nell'interesse del cittadino.

 

Focus 4 - Cosa dicono i principi dell’Unione europea?

A tale riguardo, vale la pena menzionare una decisione della Cgue[15] sulla natura obbligatoria di una procedura di «mediazione o conciliazione». La Corte di giustizia ha convalidato la «mediazione» obbligatoria, purché non vi siano ostacoli all'accesso alla giustizia, il costo per i consumatori interessati sia minimo o marginale e il procedimento sia sufficientemente regolamentato per non ritardare l'accesso al diritto. Un'altra decisione[16] molto recente, resa - come la precedente - su un rinvio pregiudiziale del giudice italiano, afferma inoltre che la direttiva 2013/11/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativa alla risoluzione in via stragiudiziale delle controversie in materia di consumo, deve essere interpretata nel senso che essa non si oppone alla creazione di un ricorso alla mediazione quale condizione di ricevibilità della domanda giudiziale relativa alle stesse controversie, dal momento che un tale requisito non impedisce alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al giudice.

Quest'ultima pronuncia sottolinea che, ai sensi dell'art. 8, lett. a, della direttiva 2013/11, «la procedura ADR [alternative dispute resolution] deve essere disponibile e facilmente accessibile online e offline a entrambe le parti, a prescindere dalla loro ubicazione» (punto 12).

Pertanto, la necessità di una procedura di conciliazione stragiudiziale quale condizione di ricevibilità di un ricorso giurisdizionale può essere compatibile con il principio della tutela giurisdizionale effettiva, «a condizione che tale procedura non conduca a una decisione vincolante per le parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale, sospenda la prescrizione dei diritti in questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, e purché la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone» (si veda, in tal senso, il punto 67 della sentenza Alassini e altri, citata in nota).

 

E) Le questioni invisibili della giustizia digitale

Se oggi l'economia 2.0 è una delle principali leve di crescita internazionale, nondimeno essa solleva interrogativi sulla sostenibilità economica, politica e sociale del modello su quale è strutturata, ossia la piattaforma digitale, che consente di centralizzare, estrarre e controllare quantità astronomiche di dati, spesso senza il consenso esplicito degli utenti interessati.

 

1) Questioni economiche

Nick Srnicek, autore di Capitalismo digitale[17], sostiene che, nonostante il “marchio di fabbrica” dell’innovazione, il capitalismo 2.0 riproduce - in diversi casi, esasperandole - le classiche disfunzioni dell'economia di mercato. Talvolta presentata come parte integrante una “quarta rivoluzione industriale”, l'economia digitale abbraccia le «imprese il cui modello gestionale si basa in misura crescente sulla tecnologia dell'informazione, le banche dati e internet». La tendenza oligopolistica del settore appare come una realtà inconfutabile agli occhi di Srnicek, il quale rileva che «le piattaforme sono portatrici di una tensione naturale al monopolio». Attori chiave dell'economia internazionale, queste piattaforme digitali, nonostante il loro rapido sviluppo nel corso dell’ultimo ventennio, si fanno una feroce concorrenza e le fusioni/acquisizioni in questo settore sono innumerevoli.

È nel contesto descritto da Nick Srnicek che si sta sviluppando il mondo delle startup legal tech. La nuova economia ha condotto una tale offensiva da diventare ineludibile, rendendo l’approccio digitale un bisogno in tutti i settori della vita. Il diritto e la giustizia non potevano sfuggire – o non hanno voluto farlo – a tale attrazione.

In Francia, il settore giuridico ha pesato oltre 31,1 miliardi di euro nel 2017, secondo uno studio dell’«Osservatorio degli attori economici del mercato del diritto»[18]. Attualmente operano, nell’Esagono, 75 imprese francesi di legal tech (166, secondo alcune fonti[19]). 400 miliardi di dollari è, invece, la cifra rappresentativa del “mercato del diritto” negli Stati Uniti; le startup legal tech statunitensi sono oggi circa 300 e, già nel 2014, rappresentavano più di 254 milioni di dollari di investimenti. In Francia, nel 2017, sono stati destinati a queste aziende fondi per 12,8 milioni di euro, con un sicuro aumento nel 2018: per citare un esempio significativo, dopo una raccolta fondi iniziale (nell'autunno del 2016) di 2 milioni di euro, nel mese di giugno 2018 la società Doctrine si è aggiudicata una nuova tornata di finanziamenti per 10 milioni di euro[20].

La forte concorrenza e la tendenza monopolistica prevalente in questo settore dell'economia non possono non preoccupare (si veda, in nota, il riferimento alle pressioni concorrenziali che condizionano l’attività dell’azienda sopra citata).

Si noti che Nick Srnicek chiede una maggiore regolamentazione del settore da parte degli Stati, suggerendo anche la creazione di «piattaforme pubbliche post-capitaliste» per «collettivizzare» l’innovazione digitale e metterla al servizio dei cittadini e della democrazia. Tale non è, come si è visto sopra, il percorso che la Francia ha scelto nel campo del diritto e, particolarmente, in quello della risoluzione amichevole delle controversie.

 

2) Questioni sociali

Nel suo ultimo saggio, Antonio A. Casilli[21] rivela l'esistenza delle «piccole mani» dell’intelligenza artificiale: lavoratori – forse milioni – pagati solo una monetina per clic; è quello che chiama «digital labour». Ad esempio, Casilli spiega come il lavoro degli autisti di Uber si svolga meno al volante che davanti allo schermo del loro smartphone, dove gestiscono informaticamente la propria attività (selezione delle opzioni, arricchimento dei percorsi GPS, riempimento di tabelle, etc.). Inoltre, l’autore sottolinea che l'utilizzo di big data, estratti a partire dalle esigenze specifiche di autisti e passeggeri, è di fatto destinato a modellare un particolare tipo di “robot intelligenti”: i veicoli autonomi, candidati certi a un avvenire economicamente redditizio.

È impossibile riassumere qui l'analisi dell'autore, ma il suo contributo dimostra che:

  • da un lato, dietro “l'intelligenza artificiale” c’è un popolo di lavoratori invisibili e sfruttati, che effettuano materialmente le ricerche di dati per definire, in modo opaco, profili di persone da rivendere ad aziende interessate a proporre loro un’offerta;
  • dall’altro, che la ricerca di profitto di una startup non appare necessariamente in prima linea: il successo commerciale dell'azienda potrà sopraggiungere in una seconda fase (programmata in anticipo), senza visibilità immediata.

 

Evitando di cadere in eccessi di carattere paranoico, c’è ragione di temere che il legal tech ricorrerà, in misura sempre maggiore, a mezzi diversificati nella raccolta a basso costo – e sfruttando una forza lavoro precaria sparsa in tutto il mondo – di una grande quantità di dati, aumentando così l’offerta di una risoluzione “automatizzata” delle liti, nonché di altri servizi di natura giuridica e/o paragiudiziaria.

In realtà ritroviamo, sotto diversa forma, il problema sollevato da Cathy O’Neil[22]. Cosa c'è di più neutrale di un computer[23]? Cos’è più aprioristicamente oggettivo di una serie di calcoli o di operazioni matematiche? Cosa può essere più lontano da un’opinione di un algoritmo? Ebbene, secondo O’Neil, per il semplice fatto che sono programmati da persone in carne e ossa, anche i dispositivi saranno oggetto di distorsioni. Mentre si tentano di oggettivare realtà assai più complesse di quelle che può descrivere una singola successione matematica, è essenziale considerare che dietro ogni algoritmo sta un’intenzione e che un’intenzione non è neutrale.

Negli Stati Uniti ci si è accorti di come la “polizia predittiva” rafforzasse prospettive orientate: nell’esempio della vigilanza dei quartieri neri da parte delle polizie di Chicago e Oakland, ciò ha provocato un aumento della discriminazione razziale (come evidenziano gli studi effettuati dalla criminologa Jessica Saunders e, rispettivamente, da un’équipe dell’Università di Stato del Michigan)[24].

 

3) Questioni rituali

Nel libro prima citato, Antoine Garapon e Jean Lassègue sottolineano l'importanza di quella che chiamano la «quarta dimensione dell’udienza», vale a dire il “rituale” che gravita intorno a ogni procedura e che richiede un incontro fisico tra le parti estremamente codificato.

«La giustizia non significa soltanto applicare la legge», spiega Jean Lassègue[25]. «È riuscire a raggiungere, attraverso un'operazione molto ritualizzata e altrettanto complessa, l’accordo sull'esito di una certa disputa. Tutto ciò richiede tempo. Questo è il motivo per cui un processo è lungo e complicato, e comprende ogni sorta di ritualizzazione collettiva. Se si dimentica l'intera dimensione antropologica del diritto per conservarne solo la dimensione algoritmica - per alcuni giuristi, un sogno formalista -, si perde di vista l’obiettivo fondamentale: rendere giustizia».

Si noterà che la dimensione rituale è importante anche nei “piccoli contenziosi” (che non sono mai tali per le parti): benché più sobrio, il rituale resta un attributo della giustizia, caricando di efficacia simbolica la sua funzione di “terzo potere” e la sua capacità di dire il diritto, di rendere giustizia in modo indipendente e imparziale, dopo l'ascolto attento delle parti.

 

4) Questioni etiche

L’aspetto etico è stato prontamente evidenziato e in Francia molte «carte» sono state elaborate a seguito di iniziative private ​​(professioni legali o legal tech).

Un’iniziativa europea ha visto la luce: la «Carta etica europea per l'uso dell'intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e in ambiti connessi»[26], adottata dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) del Consiglio d’Europa in occasione della sua trentunesima sessione plenaria (Strasburgo, 3-4 dicembre 2018). I principi della «Carta» sono: il rispetto dei diritti fondamentali; il principio di non discriminazione; la trasparenza, qualità e sicurezza del trattamento dei dati; la garanzia della neutralità e la tutela dell’integrità intellettuale; infine, il principio del controllo delle proprie scelte da parte dell'utente.

Ma come far vivere e, soprattutto, far rispettare questi principi?

 

Le considerazioni finora esposte dimostrano che la questione nodale ha natura politica. L'etica potrà fare il suo ingresso unicamente sulla scia delle scelte politiche da compiere in nome dei principi fondamentali, senza sostituirsi a esse.

1.2. Che tipo di giustizia è necessario al tempo presente?

Questa domanda dovrebbe preoccupare i politici, i giuristi e la società civile. Come ha sottolineato[27] Benoit Bastard[28], sociologo specializzato in questioni di giustizia, «dovremmo pensare di più alla giustizia che vogliamo e che stiamo costruendo».

 

A) In quale mondo viviamo? Crisi di fiducia nelle istituzioni, crisi sociale, crisi politica, ascesa di poteri “forti”

 Dopo la fine della Seconda guerra mondiale e, successivamente, con la caduta del Muro di Berlino, c’erano tutti i motivi per credere che l'evoluzione democratica degli Stati europei fosse irreversibile, sia a Est che a Ovest. Tuttavia, quel processo ha lasciato il posto alla stagnazione, se non alla regressione. Al consenso sui valori democratici, sancito nei testi fondatori delle istituzioni europee, è seguita una crisi di fiducia dei cittadini, non solo nei confronti di quelle, ma anche delle istituzioni nazionali. La giustizia non sfugge a queste dinamiche.

Ci troviamo in un contesto che vede crescere i poteri “forti”, i nazionalismi e le chiusure identitarie di ogni genere, connotato da un appello diretto al “popolo” e tuttavia privo di riflessioni e di un dibattito approfondito.

La sfiducia si accompagna, del tutto naturalmente, a una negazione del ruolo democratico della giustizia e delle «forze immaginanti del diritto»[29] (prendo in prestito questa bella formula da Mireille Demas-Marty, Professore al Collège de France). Questi poteri proclamano l’egemonia della legittimità delle urne, che darebbe loro carta bianca per governare, accompagnata da una totale immunità.

Come fa notare Pierre Rosanvallon (storico e sociologo, Professore al Collège de France), «i regimi populisti (...) vogliono vedere ai loro piedi le corti costituzionali, sopprimere gli organismi indipendenti e considerare nemici le facoltà di analisi e di giudizio (...). Oggi si può ascoltare questo discorso in tutto il mondo: in Turchia, in Russia, negli Stati Uniti, per bocca di Putin o Orban, Trump o Erdoğan. A essere in gioco è una certa concezione della democrazia (...). Dobbiamo difendere l'idea che la democrazia non è solo il popolo elettorale, ma anche i suoi contro-poteri»[30].

Nessun Paese è immune dalle derive appena descritte.

Mentre si scrivono queste righe, la Francia sta attraversando una crisi sociale drammatica di cui solo la storia, senza dubbio, ci darà la chiave, tanto è difficile da cogliere la diversità dei fattori sottostanti a questo movimento e alle correnti, piuttosto contraddittorie, che lo attraversano. Certamente, la crisi attuale rivela una seria sfiducia nelle istituzioni proveniente da una parte della popolazione e tutto porta a credere che la giustizia non ne sia immune, anche perché alcuni membri di questo movimento hanno a che fare con la giustizia penale nel momento della repressione degli atti commessi durante le manifestazioni. Questa sfiducia proveniente “dal basso” dev’essere tenuta in debita considerazione. A scanso di errori, si può affermare che tale considerazione – contrariamente al piano di riforma della giustizia – impone, per la giustizia e i diritti, un’esigenza di accessibilità uguale per tutti. Questo movimento, in ogni caso, rivendica la sconfitta dei tecnocrati di tutti i partiti: il loro tradimento rispetto ai valori dell'umanesimo è costoso per la nostra democrazia e la nostra Repubblica. Bisogna ricordarlo.

In tale contesto, più che mai, la giustizia dovrà mostrarsi degna della fiducia in essa riposta dai cittadini o, quantomeno, di quella che dovrebbero accordarle in una società democratica: una fiducia non meramente di facciata, ma che rifletta un’adesione profonda alle modalità operative e d’intervento della giustizia, che dovrà anche essere all’altezza delle nuove esigenze e aspettative sociali nei suoi confronti.

 

B) I due volti della giustizia

Complessivamente, stanno emergendo due concezioni della giustizia su cui è opportuno portare l’attenzione, nella ricerca del tipo di giustizia necessario al nostro tempo:

  • una concezione positivista, nella quale la giustizia è solo una performance di tecnica giuridica che – magari compiacendo i commentatori “eruditi” – non realizza necessariamente il dono effettivo del “giusto” che la società ha il diritto di attendersi dall'istituzione giudiziaria;
  • una concezione sociale rispondente alla filosofia di Paul Ricoeur, che intendeva rendere giustizia alla giustizia e fare spazio al diritto. Ricoeur spiegava che la finalità “breve” di ogni atto giudiziale è risolvere un conflitto, mentre la finalità “lunga” è la ricerca della pace sociale. È la coesione sociale a essere chiamata in causa. L'atto giudiziale non è, pertanto, un atto di pura tecnica giuridica, ma un atto di coscienza: la coscienza del “giusto”. Esso è rivolto a una comunità umana e, allo stesso tempo, la impegna. La priorità conferita alla ricerca del “giusto” significa che le idee sociali, nella misura in cui coinvolgono le relazioni degli uomini tra loro, sono al centro dell'atto giudiziale.

Le seguenti osservazioni tendono a identificare i valori intangibili che la giustizia del nostro tempo ha il dovere di rispettare. La chiara necessità di trovarsi in rispondenza con il mondo attuale non significa, per la giustizia, estraniarsi da anni di storia e di esperienze talvolta segnate da momenti difficili, che le hanno permesso di fissare questi principi intangibili. Si tratta di garantire a tutti l'esistenza di un sistema giudiziario indipendente, imparziale, efficace e socialmente giusto: il solo capace, nel rispetto dei principi sottesi a un equo processo, di garantire l'effettiva protezione dei diritti fondamentali.

2. I valori intangibili della giustizia

2.1. Libertà: che cosa significa per il giudice?

 

A) Imparzialità e indipendenza

Per il giudice, la libertà può essere descritta così: dopo un attento ascolto delle parti, spetta a lui condurre ed esporre liberamente la sua analisi, pervenendo a una decisione assunta nel rispetto di un corpus di regole e valori che stanno a fondamento del suo ufficio, compresi quelli derivanti da convenzioni internazionali come la Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, la Carta dei diritti fondamentali dell'Ue e altri principi dell’ordinamento europeo. Tale libertà presuppone, per statuto, l'indipendenza del giudice, il quale dovrà sempre collocarsi alla giusta distanza dal contenzioso a lui sottoposto, senza alcuna influenza indebita: per queste stesse ragioni, il giudice è libero.

La libertà del giudice è formata da due principi:

  • imparzialità: come può il giudice riconoscere a ciascuna parte la propria parte di giustizia?
  • indipendenza: come far sì che il giudice sia tale a pieno titolo?

Non si tratterà, in questa sede, di riprendere le considerazioni abitualmente fatte su tali componenti essenziali della giustizia, che con il principio del contraddittorio caratterizzano il processo “equo”, nel senso fatto proprio dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Cercheremo, invece, di far luce su alcuni elementi che il concetto di giustizia digitale mette alla prova.

Ricordiamo che il controllo del rispetto dei suddetti requisiti, nel loro insieme, avviene attraverso la pubblicità (fatte salve giustificate eccezioni). Lo sguardo di soggetti terzi – dei cittadini, della stampa – sul funzionamento della giustizia, specialmente nelle aule di tribunale, è una garanzia indispensabile a una giustizia democratica.

Come possiamo osservare il funzionamento di un algoritmo? Il problema è che questo sistema è una “scatola nera” e contiene profili di valutazione ai quali il comune mortale non ha accesso.

Quale indipendenza potrà valere per le società di legal tech, soggetti privati i cui finanziatori possono avere interesse a favorire una particolare giurisprudenza nella selezione delle sentenze di riferimento? Quale imparzialità? Quale uguaglianza tra le parti, ogni volta che il loro rapporto sia marcato da una specifica asimmetria?

Ecco una breve sintesi delle domande che sorgono e qualche elemento di risposta, prima di approfondire alcune componenti di questa libertà.

 

B) La dittatura del precedente non costituisce una garanzia per le parti

Non solo la supremazia del precedente pregiudica l'indipendenza del giudice nella misura in cui egli non eserciti pienamente il suo ufficio, ma mina anche il suo dovere di imparzialità, in quanto la parte cui la giurisprudenza non è favorevole si trova in una posizione di inferiorità istituzionale.

La legittima preoccupazione per una giurisprudenza coerente e per la certezza del diritto si basa sulla necessità, per chiunque si trovi dinanzi alla giustizia, di una prospettiva sull'esito del processo avviato o subito. Questo non può, tuttavia, essere un modo per negare a qualsiasi soggetto la propria legittima opportunità: una giurisprudenza consolidata non equivale a una giurisprudenza paralizzata.

Un sistema di giustizia digitale aprioristicamente basata sulla giurisprudenza dominante, sul “quantitativismo” giudiziario[31], non è accettabile: una giurisprudenza oggi minoritaria potrebbe essere la giurisprudenza maggioritaria di domani. I revirement della giurisprudenza sono salutari; quello che la Corte europea dei diritti dell'uomo esige è la motivazione[32] di un revirement o il rispetto del principio di prevedibilità[33].

Si può immaginare che i dati giurisprudenziali, nei sistemi di legal tech, si concentreranno sulla giurisprudenza delle corti superiori - che non è, peraltro, intangibile. Accade, infatti, che le corti d’appello e i tribunali di primo grado “resistano” alla giurisprudenza della Corte di cassazione: talvolta, anche questa giurisprudenza evolverà o potrà essere smentita da un’istanza europea (Corte Edu o Cgue).

 

I lettori di Emmanuel Carrère conoscono, grazie a Vite che non sono la mia[34], la lotta dei «piccoli giudici» che hanno portato la loro giurisprudenza, in conflitto con la Corte di cassazione, davanti alla Cgue. Si trattava di valutare se un giudice può sollevare d’ufficio - vale a dire, ove non gli sia richiesto - la questione della validità di una clausola contrattuale. La Cgue, contrariamente alla posizione della Corte suprema francese, ha affermato che «una protezione efficace del consumatore può essere raggiunta solo se al giudice nazionale è riconosciuta la facoltà di valutare ex officio la natura abusiva di un clausola».

 

La questione dello squilibrio, dell'asimmetria tra le parti, deve costituire un’ossessione per il giudice, nel rispetto e nell’efficacia del principio di parità delle armi, per riconoscere a ciascuna delle parti in causa la propria parte di giustizia. È possibile attribuire la medesima ossessione a un algoritmo?

Allo stesso modo, il giudice francese ha il potere e, talvolta, il dovere di situare la controversia entro un quadro giuridico diverso da quello considerato dalle parti (a condizione, naturalmente, che il principio del contraddittorio sia rispettato). Cosa farà l'algoritmo?

 

C) L'estensione del dominio della libertà del giudice

 

1) La valutazione dei fatti

«È il fatto a fare il diritto», recita un vecchio adagio di Loysel, giureconsulto del XVI secolo. Fatti salvi i casi, relativamente rari, in cui i fatti sono estremamente semplici, non si immagina in quale misura l’accertamento dei i fatti di una causa civile (e, certamente, penale), assistito da una relazione dettagliata, permette di arrivare alla sua soluzione giuridica. Il fatto non è il diritto, ma nel processo di elaborazione della decisione è un “attore” decisivo.

I fatti sono spesso stabiliti grazie alla perspicacia del giudice, solerte nella ricerca della verità e privo di esitazioni nel farla emergere dietro alle apparenze, talvolta basandosi su una concezione attiva del proprio ufficio (indagini, audizioni delle parti, etc.).

Dei colleghi portoghesi mi hanno detto che il loro Ministro della giustizia, intenzionato a promuovere la “giustizia predittiva”, aveva inviato nei tribunali diversi esperti informatici, i quali non riuscivano a capire come e perché i fatti non corrispondessero a dati certi e prestabiliti, ma fossero oggetto di discussione. Questo aspetto ha completamente sconvolto il loro ragionamento.

 

2) L’importanza crescente dei diritti fondamentali

Ci sono voluti oltre trent’anni perché la Francia, ratificata il 3 maggio 1974 la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il 2 ottobre 1981 aderisse alla garanzia giurisdizionale dei diritti proclamati da quella Convenzione, affidata alla Corte europea dei diritti dell'uomo, riconoscendo il ricorso individuale presentato dinanzi a quest’ultima. Si è potuto, così, sviluppare il principio di proporzionalità, di grande aiuto nel considerare l'asimmetria tra le parti all’interno del processo.

Progresso fondamentale nell’attenzione rivolta ai diritti umani, questo principio permette - nell’ambito dei suoi diversi ambiti applicativi - di bilanciare il diritto del proprietario con il diritto alla tutela della vita privata delle persone minacciate di allontanamento forzato da un luogo “illegalmente” occupato.

La Corte di Strasburgo ha affermato che «la perdita di un'abitazione costituisce una delle più grave violazioni del diritto al rispetto del domicilio» e che «ogni persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, essere in grado di far esaminare la proporzionalità di tale misura da un tribunale»; insiste, inoltre, sulla necessità di tenere conto dell’«appartenenza» delle persone interessate «a un gruppo socialmente svantaggiato»[35]. La Francia è stata ripetutamente condannata per espulsioni di individui e famiglie Rom, misure che risultavano prive di tali requisiti.

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo consente, quindi, al giudice nazionale – lungi da un'applicazione meccanica della legge – di fornire risposte giudiziarie che favoriscano un maggiore rispetto della persona umana.

È inimmaginabile che l'intelligenza artificiale sia in grado di effettuare un efficace bilanciamentio tra il diritto all’abitazione e il diritto di proprietà.

 

3) Riconoscimento del ruolo sociale del giudice

Ripeterò qui le parole di Marc Verdussen, Docente di diritto costituzionale all’Università cattolica di Lovanio, che afferma: «Il giudice odierno non è più il giudice di ieri. Non si accontenta più di dire il diritto e, nemmeno, d’interpretarlo. La modernità lo ha elevato al grado di arbitro dei valori sociali. Naturalmente, i conflitti di valore esistono da sempre e la giustizia vi ha preso parte. Tuttavia, sempre più sistematicamente, quei conflitti sono definiti nelle aule dei tribunali anziché negli emicicli dei parlamenti. Inoltre, il giudice non dovrebbe deciderli in modo categorico e perentorio, ma con sottili adattamenti e raffinati compromessi. Nel considerare tali conflitti, i giudici devono conoscere il limite entro il quale mantenersi (...). La responsabilità sociale traccia un legame positivo tra la comunità dei giudici e la società dei cittadini. In questo senso, la responsabilità sociale si riferisce alla necessaria cultura giudiziaria che ogni giudice ha il dovere di possedere e alimentare. Questa cultura giudiziaria è il prodotto di diversi fattori convergenti verso un requisito fondamentale: nel rispetto dell’indipendenza e dell'imparzialità che fanno di loro un terzo potere, i giudici devono avere una quotidiana attitudine di apertura verso la società civile e di dialogo con i cittadini»[36].

In una società sempre più frammentata e ineguale, è necessario offrire a questo ruolo una possibilità di sviluppo. Come scrive François Ost, «in simili circostanze, è importante che il giudice, prima di decidere, sia adeguatamente informato - nella loro portata estensiva - sulle questioni inerenti alla controversia della quale è competente a conoscere: chi sono esattamente le persone, i gruppi, o anche le categorie di persone coinvolte? Come articolare i loro rispettivi interessi? Come ponderare le prerogative di cui ogni soggetto si fa portatore?»[37]. Quale algoritmo è in grado di operare in modo simile?

Al riguardo, dovrà tenersi in ampia considerazione il ruolo dei principi fondamentali, sia nazionali che internazionali. Al giudice spetta l’utilizzo di tutte le risorse giuridiche, compreso – e soprattutto – l’insieme dei diritti fondamentali. La garanzia derivante dai diritti riconosciuti dall’art. 8 Cedu – vita privata e familiare, domicilio –, così spesso messa in discussione dagli effetti della crisi (espulsione dalle abitazioni, separazione delle famiglie, etc.), dovrà costituire un punto fermo. Questa osservazione è in linea con quanto considerato precedentemente.

Un esempio recente merita di essere menzionato: una decisione della Corte costituzionale francese, datata 6 luglio 2018, sarà un punto di riferimento per il riconoscimento del valore costituzionale al «principio di fraternità» e a uno dei suoi corollari: la «libertà di aiutare gli altri per motivi umanitari», divenuta così una nuova libertà fondamentale, che i giudici dovranno tenere in dovuta considerazione (décision n. 2018-717/718QPC, 6 luglio 2018).

Chi può ammettere che l'intelligenza artificiale assumerà il ruolo sociale del giudice, con la inerente capacità di conoscere la realtà sociale che quel ruolo impone?

2.2 Umanità

A) Il senso dell'umanità: un obbligo deontologico, componente indispensabile dell’agire del giudice

In un documento redatto dalla Rete europea dei Consigli di giustizia (ENCJ), che illustra gli obblighi deontologici dei giudici, è scritto:

«Il senso di umanità del giudice si manifesta attraverso il rispetto delle persone e della loro dignità, in tutte le circostanze della sua vita professionale e privata.

La sua condotta si basa sul rispetto della persona umana, considerandone tutte le caratteristiche: fisiche, culturali, intellettuali, sociali, nonché relative alla razza [sic] e al genere.

Il giudice mostra rispetto nel suo rapporto con le parti in causa, ma anche nei confronti di coloro che compongono il suo ambiente professionale, gli avvocati, il personale amministrativo, etc.

Questa umanità, che comprende una sensibilità per le situazioni sottoposte al suo giudizio, permette al giudice di considerare la dimensione umana delle sue decisioni. Spetta a lui, nella valutazione dei fatti come nella fase decisionale, trovare un equilibrio tra empatia, compassione, comprensione, rigore e severità, in modo che la sua applicazione del diritto sia avvertita come legittima e giusta»[38].

Sappiamo che la mancanza di umanità è un’accusa spesso avanzata contro la giustizia, che in più circostanze appare - dobbiamo riconoscerlo - spaventosa ai suoi diretti destinatari e alla cittadinanza in genere.

Il rispetto di questo requisito è importante per stabilire o restaurare la fiducia tra i cittadini e la giustizia.

Vorrei dire – è il mio parere – che la giustizia, in Francia, ha diversi progressi da compiere. Ma sarà un algoritmo a risolvere queste carenze?

 

B) Una forte componente dell'umanità: l'emozione.

Di solito, si domanda al giudice di mettere l’emozione da parte. La questione delle emozioni non è generalmente affrontata né abbordata dai magistrati, che ne parlano poco o nulla. Non se ne parla alla Scuola nazionale di magistratura (Enm), fatto salvo un riferimento: pur non essendo oggetto di negazione, il giudice dovrà prendere le distanze dalle emozioni. Eppure, Emmanuel Jeuland, in uno studio sul giudice e l'emozione, ricordando un seminario tenuto all'Università di Nanterre nel febbraio 2017, si chiede: «Non è pericoloso mettere le proprie emozioni a distanza fino a chiamarsi fuori dalla loro sfera per raggiungere il giudizio?».

«Sembra acquisito», prosegue, «alla luce delle scoperte delle neuroscienze, che Descartes abbia sbagliato nel distinguere tra corpo e mente, ragione ed emozione (…). Una ragione senza emozione porta a cattive decisioni, laddove una gestione incontrollata delle emozioni porterà a cattive intuizioni»[39].

In un saggio ormai famoso, L'errore di Cartesio[40], Antonio Damasio, medico neurologo, descrive la relazione tra ragione ed emozione basata sullo studio neurologico dei pazienti: l'emozione partecipa della ragione e può aiutare il processo di ragionamento - anziché necessariamente disturbarlo, come a lungo si è pensato.

Damasio si è mostrato scettico sulla possibilità di costruire computer o robot dotati di coscienza[41].

Personalmente, nemmeno io nasconderò il mio scetticismo in merito alla possibilità, per un algoritmo, di provare emozioni.

Conclusione

«Il diritto è troppo umano per aspirare all’assoluto della linea retta», ha scritto Jean Carbonnier[42].

Il sogno – o l'incubo – della giustizia digitale che verrà è la pericolosa illusione di una “macro giustizia” capace di autoregolarsi. Il cuore della giustizia deve essere il sensibile e il singolare. Che ne sarà di questa concezione nella giustizia digitale?

Certo, si adduce che tale modalità sarebbe riservata soltanto a cause di entità limitata. Ma le “piccole questioni” sono spesso molto importanti, nonché fonte di ansia, per chi le vive. È facile scommettere che le persone coinvolte preferiranno avere a che fare con una giustizia umana, ancorché imperfetta.

 Varrà la pena sottolineare che la lotta dei “piccoli giudici” per il riconoscimento della facoltà di rilevare d’ufficio la natura abusiva di una clausola in un contratto di consumo riguardava proprio quei “piccoli dossier” dei quali si desidera accelerare la trattazione mediante elaborazione digitale.

[1] La legge per una Repubblica digitale del 7 ottobre 2016 ha stabilito, negli artt. 20 e 21, il principio di una «disponibilità pubblica gratuita, nel rispetto della vita privata» dell’insieme delle decisioni giurisdizionali. Queste disposizioni richiedono la pubblicazione di un decreto che specifichi, in particolare, le condizioni di anonimizzazione delle decisioni – ciò che, a causa dei vivaci dibattiti sull'argomento, non è ancora avvenuto.

[2] Cfr. l’intervento del Ministro della giustizia al primo forum parlamentare di informatica giuridica, organizzato dalla Commissione leggi del Senato francese il 18 giugno 2018.

[3] Justice numérique, justice unique?, in Analyse, opinion, critique (Aoc), 24 aprile 2018 (https://aoc.media/analyse/2018/04/24/justice-numerique-justice-inique/).

[4] Citata da H. Allouche e A. Touati, Les algorithmes, juges de demain?, in Les Echos, 2 gennaio 2017 (www.lesechos.fr/02/01/2017/lesechos.fr/0211651191702_les-algorithmes--juges-de-demain--.htm).

[5] A. Garapon e J. Lassègue, Justice digitale. Révolution graphique et rupture anthropologique, Presses universitaires de France (PUF), Parigi, 2018.

[6] Aristotele, La Politica.

[7] Tra le diverse critiche a questa riforma, possiamo dire che essa tende ad allontanare il giudice dal cittadino, inscrivendo il primo in una posizione umanamente inaridita, capace di sottrarre alla sua attenzione le preoccupazioni sociali e umane del secondo.

[8] Il gratuito patrocinio («aide juridictionnelle») è un istituto assistito da un fondo pubblico che consente un sostegno totale o parziale, da parte dello Stato per le spese legali e processuali a garanzia dei cittadini provvisti di risorse limitate. Il budget ammonta a poco meno di 5 milioni di euro.

[9] Entrambi i documenti sono disponibili online:

[10] Estratto dell’intervista di Gaëlle Marraud Des Grottes a Thomas Andrieu e Nathalie Fricero, Professore all’Università di Nizza Sophia-Antipolis, in Actualités du droit, 15 ottobre 2018, disponibile online: www.actualitesdudroit.fr/browse/tech-droit/start-up/16685/thomas-andrieu-et-natalie-fricero-la-certification-des-plateformes-proposant-des-conciliations-mediations-ou-arbitrages-en-ligne-devrait-contribuer-a-creer-un-climat-de-confiance.

[11] Questi soggetti non praticano una effettiva risoluzione amichevole delle controversie, ma non si può negare che questo tipo di offerta possa aumentare costantemente. Si passa, così, facilmente da un sistema di informazioni giuridiche a un sistema di “previsione” della probabile soluzione giuridica in caso di giudizio, quindi allo sviluppo di un accordo fondato, di fatto, sull'accettazione di una soluzione definita in base a tale previsione.

[12] Di seguito, la giustificazione addotta da Thomas Andrieu, «Direttore degli affari civili e del sigillo» presso il Ministero della giustizia francese: «questa opzione avrebbe richiesto notevoli investimenti tecnici, anche se molti operatori privati ​​si stanno sviluppando in questo campo, proponendo soluzioni digitali innovative» - intervista apparsa su Dalloz actualité, 24 aprile 2018, disponibile online: www.dalloz-actualite.fr/interview/plpj-2018-2022-reforme-n-est-pas-encore-cle-en-main-mais-train-est-lance#.XEDFfFxKjIU.

[13] Estratto dell’intervista di Gaëlle Marraud Des Grottes a Thomas Andrieu e Nathalie Fricero, cit.

[14] Ibidem.

[15] Cgue, sez. IV, 18 marzo 2010, Alassini e altri c. Telecom Italia Spa (C-317/08, C-319/08, C-320/08) e Califano c. Wind Spa (C-318/08), Ecli:Eu:C:2010:146.

[16] Cgue, sez. I, 14 giugno 2017, Menini e Rampanelli c. Banco Popolare – Società cooperativa (C-75/16), Ecli:Eu:C:2017:457.

[17] N. Srnicek, Capitalismo digitale. Google, Facebook, Amazon e la nuova economia del web, Luiss University Press, Roma, 2017.

[18] Dati disponibili online: www.dynamique-mag.com/article/legaltech-quand-start-up-francaises-bousculent-marche-droit.10656.

[19] Dati disponibili online: www.village-justice.com/articles/infographie-les-chiffres-cles-2018-legaltech-france,30171.htm.

[20] Secondo quanto comunicato dalla stessa società: «La più grande raccolta di fondi di un legal tech in Europa, realizzata grazie agli investimenti di Otium Venture e Xavier Niel. Doctrine vuole assumere 160 dipendenti nei prossimi 18 mesi per continuare a sviluppare la propria tecnologia e intensificare le relazioni con i propri clienti», (https://doctrine.pr.co/167186-doctrine-realise-la-plus-grande-levee-de-fonds-d-une-legaltech-en-europe).

Specie con riguardo ai suoi metodi di ricerca e di ottenimento delle decisioni, questa startup è in conflitto con i suoi concorrenti, che le rimproverano di fare uso di nomi di dominio falsi e di flussi di richieste alle cancellerie comunicate con mezzi fraudolenti, (www.lemonde.fr/economie/article/2018/06/28/piratage-massif-de-donnees-au-tribunal_5322504_3234.html;www.lemonde.fr/economie/article/2018/10/05/reglement-de-comptes-chez-les-editeurs-juridiques_5365405_3234.html). Doctrine è anche in lite con l’Ordine degli avvocati di Parigi. (https://business.lesechos.fr/entrepreneurs/actu/0302305086735-doctrine-attaquee-par-l-ordre-des-avocats-de-paris-323612.php).

[21] A.A. Casilli, En attendant les robots. Enquête sur le travail du clic, Éditions du Seuil, Parigi, 2019.

[22] C. O’Neil, Armi di distruzione matematica. Come i Big Data aumentano la diseguaglianza e minacciano la democrazia, Bompiani-Giunti Editore, Firenze, 2017.

[23] Si invita all’ascolto e alla lettura della recensione (qui in gran parte ripresa) su France Culture (31 dicembre 2018): www.franceculture.fr/emissions/la-methode-scientifique/cathy-oneil-pour-une-ethique-des-algorithmes.

[24] www.humanite.fr/lechec-des-outils-predictifs-aux-etats-unis-652933.

[25] www.mediapart.fr/journal/france/020119/la-justice-se-prepare-l-arrivee-des-algorithmes?onglet=full.

[26] www.coe.int/fr/web/cepej/cepej-european-ethical-charter-on-the-use-of-artificial-intelligence-ai-in-judicial-systems-and-their-environment.

[27] Cfr. F. Trécourt, La giustizia al tempo degli algoritmi e dei bigdata [tdR], in CNRS le journal, 28 aprile 2017, disponibile online: https://lejournal.cnrs.fr/articles/la-justice-a-lheure-des-algorithmes-et-du-big-data.

[28] Directeur de recherche emerito presso il Cnrs e membro dell’«Institut des sciences sociales du politique» presso la Scuola normale superiore di Cachan (Università di Parigi-Saclay). Dal gennaio 2017, è Decano del polo didattico «Environnement judiciaire» della Scuola nazionale della magistratura.

[29] M. Demas-Marty, Les forces imaginantes du droit, voll. I-III, Éditions du Seuil, Parigi, 2004, 2006 e 2007.

[30] Da un colloquio con Nicolas Truong, Le Monde, 2 marzo 2017, disponibile online: www.lemonde.fr/affaire-penelope-fillon/article/2017/03/02/pierre-rosanvallon-les-propos-de-francois-fillon-marquent-un-tournant-populiste-dans-la-campagne-presidentielle_5088104_5070021.html.

[31] Tale tendenza conduce a errori di apprezzamento: così, in una giurisdizione, si danno talvolta decisioni rese in serie (ad esempio, in caso di licenziamento di molti dipendenti di un'azienda, ogni dipendente essendo il destinatario di una singola decisione), il volume delle quali provoca distorsioni nella ricerca statistica.

[32] Troviamo riferimento all’obbligo di motivare i revirement giurisprudenziali e alla certezza del diritto in Corte Edu, Atanasovski c. ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, ric. n. 36815/03, 14 gennaio 2010, in merito al requisito della giustificazione delle decisioni giudiziarie: «nelle circostanze della caso in esame (...) l'esistenza di una giurisprudenza consolidata imponeva alla Corte suprema di giustificare in modo più sostanziale le ragioni di tale rottura», in particolare «fornendo [al ricorrente] spiegazioni più dettagliate».

[33] Secondo la Corte di Strasburgo, l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di cassazione, che in questo caso ha portato all'irricevibilità di una citazione direttamente proposta dalla ricorrente, non è contraria alla Cedu quando tale giurisprudenza non sia basata su circostanze imprevedibili (Corte Edu, Allègre c. Francia, ric. n. 22008/12, 12 luglio 2018).

[34] E. Carrère, Vite che non sono la mia, Einaudi, Torino, 2011.

[35] Si vedano i seguenti casi, decisi dalla Corte Edu: McCann c. Regno Unito, ric. n. 19009/04, 13 maggio 2008, § 50, e Rousk c. Svezia, ric. n. 27183/04, 25 luglio 2013, § 137.

[36] M. Verdussen, Des juges socialement responsables, in La Libre, 13 luglio 2007, disponibile online: www.lalibre.be/debats/opinions/des-juges-socialement-responsables-51b89422e4b0de6db9b00c32.

Marc Verdussen è Professore di diritto costituzionale all’Università cattolica di Lovanio.

[37] F. Ost, De l’obéissance à la collaboration: une nouvelle déontologie des juges?, in Éthique publique, vol. 3, n. 2, 2001, disponibile online: https://journals.openedition.org/ethiquepublique/2524.

[38] ENCJ, Report di deontologia giudiziaria 2009-2010, pp. 12-13, disponibile online:  www.encj.eu/images/stories/pdf/ethics/judicialethicsdeontologiefinal.pdf.

[39] E. Jeuland, Le juge et l’émotion, paper presentato in data 31 agosto 2018, disponibile online sull’archivio elettronico ad accesso aperto HAL: https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01790855v2/document. Emmanuel Jeuland è Professore alla Scuola di diritto della Sorbona presso l’Università «Paris 1 Panthéon-Sorbonne» di Parigi.

[40] A. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995.

[41] Si veda, in proposito, l’intervista rilasciata a Yann Verdo (Les Echos, 1 dicembre 2017), disponibile online: www.lesechos.fr/idees-debats/sciences-prospective/030937743474-antonio-damasio-antonio-damasio-je-ne-crois-pas-a-des-ordinateurs-doues-de-conscience-2134990.php.

[42] J. Carbonnier, Flessibile diritto: per una sociologia del diritto senza rigore, Giuffrè, Milano 1997 (prima edizione: Lgdj, Parigi, 1969).