Magistratura democratica

Il Corpo come limite dinamico all’autodeterminazione.
Il passaggio dal naturale al biologicamente possibile

di Giuseppe Aprile e Gianclaudio Malgieri

I concetti giuridici di “naturale” e “biologico” necessitano di una reinterpretazione a partire dalle sfide della tecnologia e dei profondi cambiamenti sociali degli ultimi anni.

Lo sviluppo biotecnologico ha infatti ampliato le frontiere del biologicamente possibile, evidenziando la matrice essenzialmente socio-culturale dell’idea di natura così come proposta dalla dottrina giusnaturalista. D’altro canto, la nuova espansione del principio di autodeterminazione (in virtù di un concetto dinamico di salute, identità di genere, famiglia) è sia presupposto che conseguenza di una valorizzazione legislativa del nuovo concetto di “biologicamente possibile”. In questo ambito, luogo privilegiato di incontro-scontro tra il “possibile” e il “naturale” è proprio il corpo umano.

Il contributo, frutto di un lavoro interdisciplinare tra diritto e medicina, mira a dimostrare come la giurisprudenza e la legislazione recenti sembrino essere in lenta acquisizione di tale sensibilità, cercando di mediare tra una visione decisamente personalistica di natura come identità dei singoli e un più dinamico criterio storico-evolutivo di conformità al “sentire comune”. Tale trasformazione non implica una liberalizzazione incondizionata delle azioni dei corpi sul Corpo, ma impone piuttosto il riconoscimento della neutralità giuridica del Corpo nella battaglia per la piena realizzazione di ciascun individuo.

1. Introduzione

Lo scontro dei corpi-soggetto sulla semantica dei corpi-oggetto è stato sempre molto acceso. Luogo di incontro tra staticità del naturale e dinamismo del possibile, il Corpo ha rappresentato spesso una vera e propria barriera socio-ideologica[1], percepito come limite intrinseco all’autodeterminazione e alla libertà degli individui.[2]

Eppure, nonostante quella che sembra una associazione immediata tra natura e vita, il concetto di natura è molto lontano dalla biologia (che è letteralmente scienza della vita) soprattutto nel senso che generalmente esso assume negli ambiti della filosofia e dell’antropologia giuridica.

La natura del giusnaturalismo ha difatti una dimensione astorica, è un criterio di validità assoluto cui uniformarsi nella valutazione di merito delle norme di diritto positivo. Mentre la biologia, che pure nasce come scienza naturale, sta maturando una dimensione storico-sociale che è sempre più difficile ignorare. E questo non solo perché studia una realtà in costante evoluzione come la vita, ma perché si deve confrontare nel XX secolo con un elemento che amplia gradualmente la frontiera del biologicamente possibile: la tecnologia. Si tratta di una scienza che si appresta quindi a uscire definitivamente dalla contemplazione del naturale immanente e a doversi integrare progressivamente con il futuribile, ad accoglierlo continuamente quale oggetto di studio.

Di fronte a questa evidenza, la vecchia idea del giusnaturalismo (e di natura) non è più sostenibile, dato che, in senso lato, la biologia stessa si sta denaturando, slegandosi il concetto di vitale da quello di naturale. Esistono, infatti, diverse operazioni tramite cui l’intervento umano modifica la forma del vivente, allontanandolo dalla configurazione naturale pur senza privarlo della sostanza vitale, così come esistono tecniche del tutto artificiali (respirazione o alimentazione) che possono costituire sostanza vitale. Eppure, una definizione piuttosto moderna di diritto di natura l’aveva sorprendentemente fornita Hobbes nel Leviatano, considerandolo come «la libertà che ciascuno ha di usare il proprio potere a suo arbitrio per la conservazione della sua natura, cioè della sua vita e conseguentemente di fare qualsiasi cosa che, secondo il suo giudizio e la sua ragione, egli concepisca come il mezzo più idoneo a questo fine»[3]. È utile confrontare questa definizione del XVII secolo con quella che viene proposta ai giorni nostri dal filosofo Peter-Paul Verbeek, il quale si riferisce a «the set of structured forms of action by which we inevitably exercise power over ourselves»[4], per definire uno dei concetti generalmente contrapposti a quello di natura, ovvero proprio la tecnologia. A dispetto di tale apparente distanza, infatti, le due definizioni sono quasi sovrapponibili, e conducono a due interessanti conclusioni. La prima è che il concetto di diritto di natura deve essere riferito alla natura fisica (endiadi in termini)[5] e identitaria dei soggetti piuttosto che a un ente immutabile dai connotati metafisici. La seconda è che un diritto naturale o di natura è sempre tale solo se contestualizzato rispetto alla frontiera del biologicamente possibile, ovvero dell’insieme delle alterazioni di forma compatibili con la vita che la tecnologia consente. Il concetto di natura risulta quindi intrinsecamente dinamico, con un forte connotato storico-evolutivo ed è in questa accezione che naturale può essere sostituito più propriamente da biologicamente possibile.

2. La frontiera del biologicamente possibile nel contesto socio-giuridico

La prima operazione, ai fini di una ricognizione sul tema, è quella di posizionare la frontiera del biologicamente possibile, alla luce della più recente letteratura medica e nella coscienza del suo continuo e rapido spostamento. Sono in realtà moltissimi i punti di questo luogo geometrico ed è pertanto necessaria una arbitraria selezione. Seguendo il criterio di rilevanza nelle letterature di pertinenza e in relazione alle implicazioni giuridiche presenti e possibili, si condurrà una analisi delle principali. Una delle più moderne conquiste della chirurgia, per esempio, è rappresentata dal trapianto di utero seguito da gravidanza vitale. Se il primo trapianto fu tentato in realtà nel 1930[6] (si concluse con la morte di Lili Elbe, la giovane transessuale danese che vi si sottopose per completare la transizione dal sesso maschile a quello femminile), il secondo fu eseguito solo più di settant’anni dopo (2002) da una équipe saudita, concludendosi con un rigetto nei mesi immediatamente successivi[7]. Bisogna quindi attendere il 2011 per riscontrare un successo. In tale circostanza, una équipe medica turca aveva ritentato l’operazione, prelevando l’organo da una donatrice deceduta e, date le condizioni favorevoli, vi aveva impiantato un embrione fecondato in vitro. La gravidanza si era tuttavia interrotta, non giungendo a termine[8]. Solo nel 2014 si rintraccia pertanto il primo trapianto di utero seguito da una gravidanza vitale[9], in un momento storico quindi relativamente recente. La destinazione terapeutica principale della procedura, secondo i Montreal Criteria for the Ethical Feasibility of Uterine Transplantation[10] è il trattamento dell’infertilità femminile di natura non endocrinologica, che può essere congenita o acquisita, dovuta cioè ad agenesie o malformazioni nel primo caso e a neoplasie o infiammazioni croniche nel secondo. Questa ratio terapeutica è estremamente rilevante nelle considerazioni di natura morale sull’estendibilità della procedura agli individui transessuali o di sesso maschile (essendo in tal caso l’estendibilità biologica ancora non documentata). La questione è stata già affrontata dal filosofo della biomedicina T. Murphy negli Stati Uniti[11] (dove pure il primo trapianto risale al mese di febbraio 2016) nei termini di una possibile partecipazione dello Stato ai finanziamenti delle ricerche cliniche volte a mettere a punto un trapianto di utero negli individui transessuali MtF[12]. Anche prescindendo dalla giustificabilità dell’intervento finanziario, giova comunque riferirsi a tali argomentazioni perlomeno in relazione alla meritevolezza degli interessi da tutelare (con un intervento del decisore-legislatore di tipo positivo o negativo), dato che, come efficacemente sostenuto da certa dottrina, «il codice del diritto è quello del saving the chances, del salvare ogni possibilità […] E questo vale per tutte le scelte fondamentali dentro le quali le grammatiche del Corpo si ripropongono, dalla ricerca sulle staminali alla procreazione assistita, alle nanotecnologie. Compito del diritto non è quello di stabilire ambivalenti interdizioni […]. È al contrario quello di non escludere, regolando»[13]. Murphy si deve difendere dall’argomento del suo oppositore Robert Sparrow, secondo cui la liceità del trapianto è legata al soddisfacimento di una aspettativa “naturale” a poter condurre una gravidanza, circostanza che quindi legittima i soli individui di sesso femminile dalla nascita ad esserne possibili detentori[14]. L’interesse alla riproduzione, secondo questa visione, può essere soddisfatto solamente in relazione alla dotazione fisiologica degli individui, per cui sia gli individui di sesso maschile sterili, che gli individui MtF, devono ricorrere ad altri mezzi per il soddisfacimento dello stesso (pur lecito) interesse. In sostanza, Sparrow, sostiene il potere normativo dei «sexed bodies»[15] individuati quale criterio unico nella definizione degli interessi riproduttivi. Questo genere di riduzionismo di matrice essenzialmente giusnaturalista, tuttavia, si può dire superato ormai anche in Italia, alla luce della recente sentenza della Corte di cassazione in tema di rettificazione anagrafica del sesso, per ottenere la quale non è più necessario un preventivo adeguamento chirurgico dei caratteri sessuali primari[16].

Conseguenza immediata della pronuncia, che riconosce il primato del percorso psicologico su quello anatomico nella determinazione del genere e del sesso di appartenenza, è difatti lo spostamento del potere normativo dai connotati fisici a quelli psichici. Si tratta, cioè, di un vero e proprio adeguamento del diritto a una nozione particolaristica di natura, molto vicina al concetto di identità personale e intesa, quindi, come qualità transeunte del soggetto piuttosto che come qualità immanente del Mondo. Nello sradicamento di questo fisicalismo, l’indagine sulla meritevolezza dell’interesse da tutelare (quello alla riproduzione) viene ricondotta alla percezione identitaria dell’individuo, per cui un soggetto MtF dovrebbe essere legittimato a veder soddisfatta la propria aspettativa a condurre una gestazione, in quanto questa costituisce parte integrante della propria identità femminile. È tuttavia utile ricordare che, negli individui di sesso anatomico maschile (quindi anche negli MtF che scelgono di non sottoporsi all’intervento di adeguamento dei caratteri sessuali), il trapianto di utero resta per ora al di fuori della frontiera del biologicamente possibile e l’unica alternativa teorica è quella della gravidanza ectopica[17], che risulta però altamente rischiosa in primis per gli individui di sesso anatomico femminile[18]. Se dovesse essere messo a punto il trapianto di utero, sarà impossibile però ignorare i grimaldelli giuridici che già esistono a possibile tutela di tale interesse all’identità personale degli individui di genere e sesso anagrafico femminile, in armonia con l’art. 2 Cost. su cui si fonda la già citata pronuncia della Corte di cassazione[19]. Senza contare, che nella stessa direzione si muovono anche gli International Standards of Care per gli individui transessuali, raccomandando di preservare, quando possibile, la fertilità dei soggetti che transitano da un sesso all’altro[20]. La situazione speculare di un individuo FtM[21] è, invece, già dentro la frontiera del biologicamente possibile: un tale individuo, che scegliesse di non sottoporsi all’intervento chirurgico, potrebbe mantenere utero e ovaie funzionali diventando genitore gestante a tutti gli effetti[22]. In questo caso, la tutela dell’interesse alla gestazione sembra non essere giustificata, in quanto precedentemente considerata esclusiva dell’identità femminile mentre tali individui si sono coscientemente riconosciuti in una identità maschile. Eppure, è nuovamente il filosofo statunitense a fornire una pertinente chiave di lettura, evidenziando che il concetto di “interesse” è legato indissolubilmente alla tecnologia, ovvero al biologicamente possibile. Superato cioè il ruolo normativo dei sexed bodies, Murphy sostiene che «the interests will in some measure be the artefacts of technologies available»[23], ovvero che gli individui manifestano i propri interessi in relazione alle tecnologie disponibili e esaudiscono, piuttosto che esauriscono, la propria identità nel biologicamente possibile. Di cui, – corollario di questo assunto – il binarismo di genere è prodotto piuttosto che fondamento. In altre parole, argomenta il filosofo, per secoli il metodo più diffuso per il concepimento è stato il rapporto sessuale tra uomo e donna, essenzialmente perché, in assenza di alternativa, esso ha rappresentato il limite più esterno del biologicamente possibile. E attorno a questo limite si sono plasmate le figure e le identità sociali maschili e femminili, così come anche la famiglia come istituzione sociale. Finora, quindi, c’è stata necessaria coincidenza tra la frontiera del biologicamente possibile e quella del socialmente accettabile. Circostanza che si trova a un punto critico, considerato che l’avanzamento della frontiera biologica impone un adeguamento del limite esterno della frontiera sociale. Difatti, continua Murphy, la piena realizzazione di un genitore potrebbe passare o potrebbe dover passare dall’adozione, dalla fecondazione in vitro, dalla surrogazione di maternità, dalla gravidanza extracorporea o dall’impianto di embrione in utero trapiantato, solo per citarne alcune. Certamente ogni situazione rappresenta un unicum sotto i profili bioetici e bio-giuridici, ma tutte concorrono a rendere necessarie considerazioni di carattere evolutivo. Tanto più perché la giurisprudenza e la dottrina italiane hanno in parte già recepito (più o meno consapevolmente) tali cambiamenti di ordine socio-morale ed è utile effettuarne qui una ricognizione.

L’analisi dei profili giuridici dovrebbe quindi partire da considerazioni di ordine generale sulla fonte codicistica e nello specifico dall’art. 5 cc relativo agli atti di disposizione del proprio Corpo, i quali «sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume». La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 5 cc, volta a riconoscervi una positivizzazione dei diritti della personalità già enucleabili dagli artt. 2 e 3 Cost.[24] permette di oltrepassare immediatamente ogni obiezione materialistica per concentrarsi sui rilievi di autodeterminazione dell’individuo, i quali sono tra l’altro corroborati dall’interpretazione del concetto di integrità fisica fornita dalla Cassazione penale nella pronuncia del 2009 in materia di consenso informato[25]. In tale contesto, difatti, l’integrità fisica viene considerata alla luce di una idea dinamica di salute, intesa più come «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale» che come «assenza di malattia e di infermità» in linea con la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità[26]. Una diminuzione dell’integrità materiale, per esempio, può essere compensata da un aumento complessivo del benessere dell’individuo, migliorandone la sua integrità fisica complessiva (si pensi alle asportazioni di arti o organi necessarie a prevenire una degenerazione patologica di gravità maggiore).

Tuttavia, in questa sede rilevano maggiormente le interpretazioni che la dottrina fornisce relativamente agli altri profili dell’art. 5 cc, ovvero ai limiti imposti dall’ordine pubblico e del buon costume. Quanto al primo, è interessante l’interpretazione che considera un atto di disposizione come contrario all’ordine pubblico quando «lo stesso non si armonizzi con l’interesse alla migliore attuazione della personalità del disponente»[27], concezione che risulta invece in perfetta sintonia con la visione del filosofo statunitense e che conferma il forte orientamento personalistico della dottrina (ma anche della giurisprudenza) italiana.

Leggermente più problematico, ma contemporaneamente carico di potenza innovatrice, il profilo del buon costume, per la contestualizzazione del quale ci si può riferire a una pronuncia della Cassazione penale del 2006, nella quale si legge che «la pubblica decenza va commisurata secondo un criterio storico-sociologico al sentimento comune dell’uomo medio e non alla particolare sensibilità del singolo»[28]. Considerando che quest’ultima è generalmente caratteristica degli individui con un livello soglia di impressionabilità più basso, cioè di coloro che tollerano peggio la rottura storico-sociale dello status quo e che vanno ritenuti l’eccezione, l’aggettivo «comune» dovrebbe essere inteso come sinonimo di «statisticamente più probabile» dal punto di vista ontologico e non fenomenologico. Una differenza rilevante, se si considera che l’opinione più comunemente manifesta è quella dissenziente, anche se spesso minoritaria.

La giurisprudenza stessa rimanda quindi tale giudizio a un criterio sociologico, più che biologico o giuridico, dato che, sul primo fronte, il processo di espansione della frontiera del possibile ha limiti meramente tecnologici, mentre, sul secondo, le aperture del quadro di riferimento sono sempre più ampie. Basti ricordare che la stessa pronuncia n. 15138/2015 della Corte di cassazione, chiamata ad affrontare la questione della necessità dell’intervento chirurgico in caso di non sterilità del richiedente, sottolinea che la sterilità non può essere imposta in quanto «da un lato non giustificata dal testo della legge[29], dall’altro in contrasto con il pacifico principio costituzionale d’impossibilità di imporre un qualsiasi trattamento sanitario che violi la dignità umana»[30]. Nella stessa sede, inoltre, vengono considerati i casi analoghi di Paesi come Austria o Germania, dove la Corte costituzionale ha dichiarato nel 2008 «unzumutbar[31], tali condizioni per il mutamento di sesso»[32]. Nonostante quindi si legga in un passaggio della sentenza che «la giurisprudenza di merito non ritiene necessaria la falloplastica, ma soltanto l’asportazione dell’utero e la riduzione del seno»[33] non è da ritenere impossibile che, dietro la strenua difesa del diritto alla salute e all’identità personale, (come già detto enucleabili a livello costituzionale), alcuni individui di sesso anatomico femminile, nella transizione verso il sesso maschile, possano legittimamente mantenere capacità gestatorie. Una situazione che negli Stati Uniti si è già verificata, avendo un individuo FtM, regolarmente coniugato con un individuo di sesso femminile, portato a termine tre gravidanze al posto della moglie sterile[34]. E questo diventa tanto più realistico col venir meno di un’altra possibile argomentazione a favore della necessaria coincidenza del sesso anatomico con quello anagrafico: l’interesse collettivo alla certezza delle relazioni giuridiche, afferente sempre alla sfera dell’ordine pubblico. A tal proposito, la sentenza 15138/2015 della cassazione si sovrappone molto bene alla filosofia biomedica che è stata scelta qui come riferimento. Difatti, se la Corte in uno dei passaggi più significativi argomenta che, «lo Stato non può incidere in senso restrittivo sull’esplicazione di tale profilo [l’identità di genere, NdA] a meno che non vi siano interessi superiori da tutelare. Tali non possono essere né la certezza delle relazioni giuridiche, né la diversità sessuale delle relazioni familiari»[35], le fa inconsapevolmente eco il filosofo statunitense, sostenendo che «one key rationale for the state’ stypingits citizens by sex is, of course, to be able to identify them […], but the State can still identify its citizens through other means such as biomarkers. […] The State has no in he rent need, as a matter of civic theory to under stand its citizens’ sex identity as an immutable property of their bodies»[36]. Il risultato è quindi un quadro giuridico ragionevolmente permissivo, in cui il concetto di “sesso” ha sempre minor rilevanza, sia ai fini della determinazione degli interessi meritevoli di tutela degli individui (dove rileva la percezione dell’identità personale), sia ai fini della certezza delle relazioni giuridiche (dove esistono metodi di riconoscimento più efficaci). L’inadeguatezza in tal senso del concetto di “sesso” è evidente, ma non sorprendente se lo si considera concetto non naturale, ma biologico, da inquadrare quindi in una dimensione storico-sociale-evolutiva non solo della popolazione, ma dello stesso individuo. Ed è a questa dimensione, come sostenuto anche in precedenza, che il concetto di “buon costume” si deve adeguare, riconoscendo che è l’identità di genere ad avere la reale funzione normativa, e non il sexed body, come già sembra aver recepito la giurisprudenza.

3. Il biologicamente possibile sul Corpo del genitore “naturale”

Un ultimo ambito in cui il Corpo rileva come limite all’autodeterminazione tra “naturale” e “biologicamente possibile” riguarda quello della genitorialità. Per vero, la specificità del tema e recenti novità legislative e giurisprudenziali impongono una riflessione più approfondita su questo ultimo punto.

In effetti, a giudicare dalle innovazioni normative in tema di filiazione e genitorialità pare effettivamente che il passaggio da naturale a biologicamente possibile sia stato registrato anche dal legislatore italiano, seppur per finalità ben diverse e più specifiche.

Beninteso, qui gli attributi di (figlio) “naturale” e “legittimo” non sono concettualmente in contrapposizione (come a voler dire che ciò che è accettato dalla legge non è naturale): al contrario, in mancanza di una piena “legittimità” della filiazione, ciò che la rende ancora accettata dall’ordinamento, il suo unico legame con il “lecito” (concetto ben più ampio di legittimo) è la sua naturalità, il suo essere frutto di ciò che è (o dovrebbe essere) ritenuto “naturale”.

Comunque, la riforma della filiazione ha portato all’eliminazione di qualsiasi riferimento al figlio “naturale” e al figlio “legittimo”. Tuttavia, in alcuni casi il riadeguamento della disciplina previgente ha necessitato di nuovi termini non diversamente esprimibili con perifrasi “ideologicamente neutrali”. In particolare, il criterio direttivo espresso nella legge delega (n. 219/2012) era quello di sostituire ogni riferimento ai figli “naturali” o “legittimi” con il concetto di figli senza aggettivi[37]: in alcuni casi è stato necessario rendere comunque una differenza tra figli “nati nel matrimonio” e “figli nati fuori del matrimonio”, in particolare con riguardo alle presunzioni di nascita in costanza di matrimonio o al riconoscimento dei figli[38].

Invece, per quanto attiene alle regole sull’adozione, era necessario porre una distinzione giuridica (soprattutto nel caso delle regole per l’adozione internazionale, in cui per la legge straniera può rilevare il ruolo del genitore biologico[39]) tra genitorialità “biologica” sorta da fecondazione e genitorialità sociale o giuridica, sorta cioè tramite l’istituto dell’adozione. In linea con la ratio legis della delega, cioè con l’eliminazione del parametro di “naturale” dal concetto di “figlio”, il legislatore delegato ha pertanto operato una scelta emblematica: sostituire il riferimento ai genitori “naturali”, col riferimento ai genitori “biologici[40].

Si badi bene, il riferimento al genitore “naturale” piuttosto che “biologico” nella normativa previgente non era casuale: infatti, ciò rispecchiava un criterio ormai radicato nell’elaborazione giuridica in tema di adozione, il cd criterio della «imitatio naturae». Si noti bene, però, che tale criterio non era inteso nel senso di ricalcare una struttura familiare “biologica” che l’adozione andava ad “imitare”, ma era interpretato nel senso che «l’adozione dovrebbe rispecchiare il modello dominante di famiglia tradizionale unita al vincolo del matrimonio»[41].

Risulta ancora una volta chiaro, qui, come il concetto di “naturale” sia un concetto totalmente culturale e ben distinto dal concetto di possibile biologico.

Pertanto l’operazione normativo-linguistica compiuta nel 2013 può essere colta sotto una duplice accezione: a) la sostituzione di biologico con naturale si è basata su una considerazione di sinonimia tra i due termini, ovvero per il legislatore il naturale è biologico; oppure b) il legislatore ha voluto prendere atto dell’anacronismo del concetto di naturale aggiornando così l’ordinamento a un concetto maggiormente controllabile e verificabile dall’interprete e al tempo stesso più dinamico, ovvero (come sopra detto) il biologicamente possibile.

In realtà, tale modificazione è avvenuta ad opera di un decreto legislativo (d.lgs 154/2013), esecuzione della delega di cui all’art. 2 della l. 219/2012. Eppure nella delega non c’è nessun riferimento alla “genitorialità naturale”: è stato il legislatore delegato a ritenere necessario (in ossequio alla clausola aperta presente al comma 2, del detto art. 2) riadeguare anche il concetto di “genitore naturale”.

Sebbene non sia possibile ricostruire la volontà del legislatore delegato, né tantomeno quella del delegante in questa specifica traslazione da “naturale” a “biologico”, dai lavori parlamentari emerge una interessante spiegazione della presidente della Commissione giustizia, la quale afferma che la prospettiva tende al riconoscimento di un «unico status filiationis[che] implica verità biologica e assunzioni di responsabilità»[42]. Pare dunque che il riferimento al biologico sia stato compiuto nella direzione di una oggettivazione (“verità”) della disciplina.

Peraltro, tale riferimento fa eco alla relazione introduttiva al ddl n. 2514 di iniziativa governativa che si riferiva al «riconoscimento di un unico status filiationis fondato sui due aspetti della verità biologica e dell’assunzione della responsabilità rispetto al figlio, aspetti entrambi necessariamente presenti a fondare la ratio della disciplina».

Spunto forse ancor più interessante ci è fornito da un parlamentare, suo malgrado, che intervenuto nella discussione generale al ddl A.C. 2519 (poi diventato legge n. 219/2012) ha affermato «credo sia ineluttabile che nessun legislatore può modificare la biologia, la diversità biologica»[43].

Dunque la biologia è percepita proprio nel suo valore di “preesistente alla legge”, allo stesso modo in cui il diritto naturale è preesistente al diritto positivo. In qualche modo, dunque, è mantenuto quel riferimento al “naturale”, ma liberato da ogni riferimento transeunte, che lo legherebbe al sentire sociale[44].

Eppure, tale operazione (seppur per mera eterogenesi dei fini) è per nulla priva di conseguenze pratiche.

Si pensi, infatti, al caso della fecondazione eterologa a cui ricorrono due donne lesbiche, in cui l’una offre il gamete, l’altra invece porterà avanti la gravidanza. Ebbene, è istintivo chiedersi quale delle due sia madre biologica: la madre “genetica” o la madre “gestazionale”?

Indubbiamente entrambe hanno un legame di genitorialità “biologica” con il nato, al punto che entrambe pare possano definirsi “madri biologiche”, ma certamente sarebbe impensabile definirle entrambe madri “naturali”, proprio perché l’imitatio naturae non può trovare applicazione al caso di specie.

La giurisprudenza è già stata recentemente interrogata su una questione analoga[45] (stabilire chi sia “madre” tra la genitrice genetica e quella gestazionale in una procreazione medicalmente assistita omologa con erroneo scambio di embrioni, o anche definita “eterologa da errore”[46]) ed ha risolto privilegiando la madre gestazionale.

Di particolare interesse risultano le motivazioni dell’ordinanza. Nell’impossibilità di qualificare la fattispecie di fecondazione eterologa (per mancanza di volontà manifestata nel consenso informato delle parti) o di maternità surrogata, il giudice si è rivolto alle regole codicistiche sulla filiazione, trovandone un transeunte riparo: l’articolo 269, 3° comma afferma che «la maternità è dimostrata provando la identità di colui che pretende di essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre».

Tuttavia, la Corte non si rintana nel dato testuale, ma ricerca anche una più completa giustificazione costituzionale al bilanciamento di interessi in gioco: tale giustificazione deriva proprio da un «concetto di famiglia (...) sempre più sgancia[to] dal dato biologico e genetico degli appartenenti, venendo concepita sempre più come luogo degli affetti e della solidarietà reciproca, prima comunità ove si svolge e sviluppa la personalità del singolo; d’altra parte millenaria filosofia dell’uomo ha identificato nella famiglia l’archetipo della comunità sociale» al punto che possiamo seriamente mettere «in discussione il principio del carattere necessariamente biologico o genetico del rapporto di filiazione»[47].

Del resto, ciò di cui l’interprete deve prendere atto, è che il legislatore del 2013, ben conscio (rispetto al suo predecessore del 1975) delle innovazioni della tecnologia biomedica, abbia deciso di lasciare invariato quell’art. 269 cc sulla determinazione della maternità (gestazionale), aderendo a quella corrente di pensiero per cui «è nell’utero materno che la vita si forma e si sviluppa»[48].

Eppure, un elemento all’interno dell’art. 269 cc pare particolarmente pertinente. Il comma 2 infatti così recita: «La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo». La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che per “ogni mezzo” sono da intendersi gli elementi presuntivi, rimessi alla discrezionalità del giudice (purché plurimi, gravi, univoci e concordanti), specificando però che i mezzi utilizzabili generalmente riguardano le prove “ematologiche e genetiche”[49].

Pertanto, in linea astratta, le prove “biologico-scientifiche” non possono che far prevalere la genitorialità “genetica” su quella gestazionale e al caso di specie ciò non poteva applicarsi solo perché vi ostava il possesso di stato attuale del nato e non vi erano i presupposti per la contestazione dello stato di figlio o la legittimazione a proporre l’azione di disconoscimento di paternità[50].

Pertanto, appare chiaro che il nostro ordinamento positivo non è pienamente attrezzato alle nuove sfide del “biologicamente possibile” per quanto attiene all’ambito del corporeo.

E ciò può vedersi ancor di più ragionando di un altro possibile caso di genitorialità “biologica” che porrebbe in crisi i paradigmi radicati nel nostro diritto civile. È il caso di una coppia di sesso diverso in cui un membro abbia ottenuto una rettificazione di sesso (e la coppia diventi così same-sex), pur conservando i caratteri sessuali primari del sesso biologico (situazione oggi pienamente ammessa anche in Italia, in seguito alla sent. Cass. 15138/2015 e alla sent. Corte cost. 221/2015[51]) e addirittura conservando la fertilità. Qualora questa coppia procrei, si avrebbe un altro caso “biologico” di omogenitorialità[52].

Per di più, questa sarebbe anche l’unica possibilità (allo stato attuale di sviluppo della tecnologia biomedica) di omogenitorialità biologica maschile.

Un ultimo caso, di ancora maggiore novità, riguarda la possibilità di una genitorialità genetica con tre genitori, o nascita “triparentale”. In particolare, nel Regno Unito è stata recentemente approvata una disciplina (emendamenti del 23 febbraio 2015 allo Human Fertilisation and Embryology Act 2008) che permette una nuova tecnica di fecondazione in vitro volta ad impedire la trasmissione di malattie mitocondriali e che consiste nella sostituzione con materiale nucleare di una cellula uovo sana del materiale nucleare proveniente da una cellula uovo “malata”[53].

In realtà questo caso si differenzia dagli altri per diversi aspetti: da un lato, infatti, questo è l’unico caso di genitorialità “genetica” di due madri; dall’altro, però, qui manca il progetto familiare che è alla base della filiazione nelle famiglie omogenitoriali[54].

Per concludere l’analisi sul biologicamente possibile, è opportuno un ultimo cenno sui gameti sintetici. Per gameti sintetici si intendono cellule uovo o spermatozoi che sono sviluppati in laboratorio a partire da cellule staminali pluripotenti somatiche o embrionali[55]. Questa procedura permette cioè di ricavare cellule uovo da individui di sesso cromosomico maschile e, viceversa, spermatozoi da individui di sesso cromosomico femminile. I risultati della sperimentazione animale hanno portato a generare prole vitale[56] con il risultato che, quindi, il genitore gestante può fornire il gamete maschile e risultare quindi padre genetico e madre biologica.

Per trarre le fila, tornando al dualismo “natura”/“biologia”, se la ratio del legislatore delegato del 2013 era quella di rimarcare più fortemente la “naturalità” attraverso un concetto più controllabile come quello di biologico, tale ratio ha avuto esattamente l’effetto opposto: essere valvola d’apertura – quantomeno concettuale – per tutte le nuove esperienze di genitorialità “biologicamente possibili”.

Se, invece, la ratio poteva essere quella di aggiornare il nostro ordinamento alle mobili frontiere della biotecnologia o quantomeno ad un concetto “dinamico” dei limiti all’autodeterminazione, allora probabilmente lo strumento è stato efficace.

Conclusioni

Che si consideri la genitorialità, la filiazione, l’identità di genere, l’unione familiare o il confine tra autodeterminazione del corpo-soggetto e disposizione del corpo-oggetto, il concetto di natura esige una reinterpretazione. La tecnologia ha infatti ampliato le frontiere del biologicamente possibile, evidenziando la matrice essenzialmente socio-culturale dell’idea di natura così come proposta dalla dottrina giusnaturalista, la quale, lontana da fornire un criterio di validità (e moralità) assoluto, richiede una relativizzazione perlomeno diacronica.

La giurisprudenza e la legislazione recenti hanno dimostrato di essere in lenta acquisizione di tale sensibilità, cercando di mediare tra una visione decisamente personalistica di natura come identità dei singoli e un più dinamico criterio storico-evolutivo di conformità al “sentire comune”. Tale trasformazione non implica una liberalizzazione incondizionata delle azioni dei corpi sul Corpo, ma impone piuttosto una riflessione continua e di matrice laica che sfrondi il dibattito su questi temi dai frequenti argomenti di amoralità e insensatezza antropologica, operazione che si è cercato di condurre in questa sede. Il riconoscimento della neutralità del Corpo nella battaglia per la piena realizzazione di ciascun individuo è pertanto un significativo passo di civiltà verso la conquista delle libertà che si rendono col tempo biologicamente possibili, da compiersi affinché queste vengano omogeneamente incorporate nella quotidianità del socialmente accettabile.

*Giuseppe Aprile, allievo ordinario di Scienze mediche presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ha curato prevalentemente il paragrafo 2. Gianclaudio Malgieri, allievo ordinario di Scienze giuridiche presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa, ha curato prevalentemente il paragrafo 3.

[1] Giovanni Paolo II, Veritas Splendor, 1993, § 46: «per alcuni la natura dovrebbe essere profondamente trasformata, anzi superata dalla libertà, dal momento che ne costituirebbe un limite e una negazione. La natura starebbe a significare tutto ciò che nell’uomo e nel mondo si colloca al di fuori della libertà. Tale natura comprenderebbe in primo luogo il corpo umano, la sua costituzione e i suoi dinamismi: a questo dato fisico si opporrebbe quanto è “costruito” cioè la “cultura”, quale opera e prodotto della libertà». Confronta sul punto F. D’Agostino, L’arbitrarietà del corpo umano, in Id., Corpo esibito, corpo violato, corpo venduto, corpo donato, Milano, 2003, pp. 58-59.

[2] Cfr. M. Richir, Le corps. Essai sur l’intériorité, Hatier, Paris, 1993, 5 (traduzione della citazione in M. Marzano, Straniero nel corpo, Milano, 2004, 18): «Abbiamo o siamo il nostro corpo? Questo è il primo tipo di difficoltà dal momento che si ammette classicamente che se le grandi questioni riguardano il nostro corpo, non è il nostro corpo che se le pone, ma noi nella nostra umanità e che la nostra umanità non può identificarsi completamente e semplicemente al corpo».

[3] T. Hobbes, Leviatano, Editori Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 105.

[4] «L’insieme delle forme strutturate di azione tramite le quali esercitiamo potere su noi stessi» (NdA). P.-P. Verbeek, Moralizing Technology: Understanding and Designing the Morality of Things, University of Chicago Press, Chicago, 2011, pp. 67-68.

[5] L’aggettivo “fisico” deriva dal greco “Φύσις”, physis, letteralmente “natura” (NdA).

[6] N. Hoyer (a cura di) Lili Elbe, Man into woman. The first sex change, a portrait of Lili Elbe: the true and remarkable transformation of the painter Einar Wegener, Edited by N. Hoyer, London, 2004.

[7] W. Faggeh, H. Raffa, H. Jabbad, A. Marzouki, Transplantation of the human uterus. International Journal Gynaecology Obstetrics, 2002, 76(3), pp. 245-251.

[8] O. Ozkan, M. E. Akar, O. Erdogan, N. Hadimioglu, Uterus transplantation from a deceased donor. Fertil. Steril., 2013, 100(6), e41.

[9] M. Brannstrom, L. Johannesson, H.Bokstrom, et al. Live birth after uterus transplantation, Lancet, 2015, 385(9968), pp. 607-616.

[10] «Criteri di praticabilità etica del trapianto dell’utero» (NdA) A. Lefkowitz, M. Edwrds and J. Balayala, Transplant International 2012, 25(4), pp. 439-47.

[11] T.F.Murphy, Assisted gestation and transgender women, Bioethics, 2015 29(6), pp. 389-397.

[12] Male to Female, ovvero individui che transitano dal sesso maschile a quello femminile (NdA).

[13] E. Resta, Corpo, in Diritto vivente, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 79.

[14] R. Sparrow, Is It ‘Every Man’s Right to Have Babiesif He Wants Them’? Male Pregnancy and the Limits of Reproductive Liberty. Kennedy Institute of Ethics Journal, 2008, 8: 275–299; 283.

[15] «Corpi sessuali» (NdA) in R. Sparrow, op.cit., p. 290.

[16] C.cass. n. 15138/2015. Sia consentito rimandare, per un commento generale su questa sentenza, a G. Aprile, G. Malgieri, F. Palazzi, Transessualismo e identità di genere: sviluppi dinamici di una originaria staticità? Considerazioni giuridiche, mediche e filosofiche, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 2016/1, in corso di pubblicazione.

[17] Ectopico indica genericamente organo o tessuto situato in sede diversa dalla normale. Nel caso in questione, gravidanza ectopica è sinonimo di gravidanza extrauterina.

[18] H.K. Atrash, A. Friede, C. J. Hogie, Abdominal Pregnancy in the United States: Frequency and Maternal Mortality, Obstetrics and Gynecology Journal, 1987, 69, pp. 333-337.

[19] C. cass. n. 15138/2015.

[20] E. Coleman, W. Bockting, M. Botzer, P. Cohen-Kettenis, G. Decupyere, J. Feldman, et al. Standards of Care for the Health of Transsexual, Transgender, and Gender-Nonconforming People - Version 7, International Journal of Transgenderism, 2011, 13, pp. 165-232.

[21] Female to Male, ovvero individui che transitano dal sesso femminile a quello maschile (NdA).

[22] La questione, qui affrontata dal punto di vista biologico e morale, può risultare più spinosa dal punto di vista giuridico, come si vedrà in seguito. La sentenza C. cass. 15138/2015 presenta difatti aperture e chiusure contrastanti in merito.

[23] «Gli interessi sono, in qualche misura, artefatti delle tecnologie disponibili» (NdA) T. F. Murphy in op. cit.

[24] A. De Cipis, I diritti della personalità, Giuffré, Milano, 1982. Così come anche E. Resta, op. cit.

[25] Cass. pen., Sez. Un., 21 gennaio 2009, n. 2437.

[26] A. De Cupis, op. cit.

[27] P. D’addino Serravalle, in Commentario al codice civile, P. Cendon (a cura di), Giuffré, Milano, 2009, p. 545.

[28] Cass. pen., Sez. III, 21 settembre 2006, n. 3140.

[29] L. n. 164/1982, Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.

[30] Cass. n. 15138/2015, p. 16.

[31] “Impretendibili”.

[32] Cass. n. 15138/2015, p. 24.

[33] Cass. n. 15138/2015, p. 13.

[34] T. Beatle, Labor of Love: The Story of One Man's Extraordinary Pregnancy, Seal Press, 2008.

[35] Cass. n. 15138/2015, pp. 17-18.

[36] «La ratio principale dietro la necessità dello Stato di identificare i propri cittadini tramite il sesso è, sicuramente, quella di poterli identificare […], ma lo Stato può comunque identificarli attraverso altri mezzi, come i biomarcatori. […] Lo Stato, cioè, non ha nessun bisogno teoricamente giustificabile di considerare l’identità sessuale dei propri cittadini come una proprietà immutabile dei loro corpi» (NdA) in Murphy p. 394. A tal proposito sia consentito rimandare alle considerazioni dell’autore in G. Aprile, G. Malgieri, F. Palazzi, op.cit.

[37] Cfr. Relazione illustrativa, ddl A.C. 2519 (XIV Legislatura).

[38] Cfr. nuovo Capo IV, Titolo VII, Libro I, Codice civile, così come riscritto a norma dell’art. 7, co. 8, d.lgs 154/2013.

[39] Infatti ciò che qui rileva è agli art. 31, 37 e 38 della l. 184/1983. Cfr. ad es. M. Dossetti, I nuovi successibili e il diritto intertemporale nella riforma della filiazione, Relazione al Convegno di studio Gli assetti successori delle famiglie ricomposte dopo la L. 219/2012 e il d.lgs 154/2013 promosso dalla Fondazione Italiana del Notariato a Bolzano il 21 marzo 2014 (disponibile su https://eventi.nservizi.it/upload/72/altro/dossetti_relazione.pdf).

[40] L’art. 100, comma 1, alle lettere q, r, s del d.lgs 28 dicembre 2013, n. 154 ha disposto appunto che il riferimento a “genitore naturale” fosse sostituito con “genitore biologico”.

[41] Trib. Minorenni Roma, sent. 30 luglio 2014, in GenIus 2014/2. In verità, tale principio è stato scalfito già circa mezzo secolo fa dalla Corte costituzionale che, con sent. n. 145 del 1969, precisò che con riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., queste disposizioni «non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae» esprimendo, invero, una mera indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi, sulla scorta dell’esigenza di garantire al minore la stabilità necessaria sotto il profilo educativo ed affettivo.

[42] D. Ferranti, Resoconto stenografico dell'Assemblea, Seduta n. 492 di martedì 28 giugno 2011, Camera dei Deputati, XVI Legislatura, p. 18.

[43] V. D’Anna, Resoconto stenografico dell'Assemblea, Seduta n. 492 di martedì 28 giugno 2011, Camera dei Deputati, XVI Legislatura, p. 39.

[44] Cfr. C. Lalli, Introduzione, in F. Bilotta (cur.), Le unioni tra persone dello stesso sesso, Milano-Udine, 2008, 11: «il rischio sul fronte sociale e culturale, è di assegnare un valore alla tradizione in modo acritico e irrazionale. Una volta che alcune abitudini o determinati assetti sociali abbiano preso il sopravvento, sarebbe naturale trasmetterli ai propri discendenti e combattere proposte di cambiamenti o dubbi sulla possibilità di miglioramenti».

[45] Trib. Roma, Sez. I, Ordinanza, 8 agosto 2014, in Dir.Fam. e Pers., 2015, 2, 551, con nota di Mendola, Favor minori se presidio del dato biologico e ivi, 2015, 1, 186, con nota di Bianca, Il diritto del minore ad avere due soli genitori: riflessioni a margine della decisione del Tribunale di Roma sull’erroneo scambio degli embrioni; e in Giur.It., 215, 2, 323, con nota di Mendola, Scambio di embrioni tra verità genetica e genitorialità biologica; in Nuova Giur.Civ.Comm., 2014, 12, I, 1115, con nota di Scalera, Mater semper certa est?, Considerazioni a margine dell’ordinanza sullo scambio degli embrioni.

[46] Ibidem.

[47] Ibidem.

[48] Ibidem.

[49]C. cass. sez. I, 23 marzo 2010, n. 9727, in Comparazione diritto civile, www.comparazionedirittocivile.it

[50] Trib. Roma, Sez. I, Ordinanza, 8 agosto 2014, cit.

[51] Si veda a tal proposito G. Aprile, G. Malgieri, F. Palazzi, op. cit., cfr. anche sul punto il Commento sentenza del 22 luglio 2015, n. 15538, D. Amram , in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2015, 11, I, p. 1068 e L. Conte, Felicità raggiunta? La Corte di Cassazione ammette la domanda di rettificazione anagrafica del sesso in assenza di un intervento demolitorio e/o ricostruttivo dei caratteri sessuali primari, in GenIus, 2015/2, p. 244 ss.

[52] Cfr. F. Bilotta, voce “Transessualismo”, in Digesto Discipline Privatistiche, 2013, Agg., p. 760. Per cui il requisito dell’adeguamento dei caratteri sessuali primari (e dunque anche la sterilizzazione) come precondizione per ottenere la rettificazione anagrafica del sesso fosse proprio dovuta alla precisa volontà legislativa di evitare forme di “omogenitorialità naturale”.

[53] Cfr. S. Pasetto, La fecondazione eterologa con tre genitori, in P. Passaglia (cur.), La fecondazione eterologa, www.cortecostituzionale.it, Marzo 2014, p. 67.

[54] Cfr., ad es., Tribunale dei Minorenni di Bologna, Ordinanza 6-10 novembre 2014, n. 4701 per cui «la minore è, cioè, nata nell’ambito di uno specifico progetto di genitorialità delle due madri (biologica e adottiva)».

[55] D.J.H. Mathews, P. J. Donovan, J. Harris, R. Lovell-Badge, J. Savulescu, R. Faden. Pluripotent Stem Cell-Derived Gametes: Truth and (Potential) Consequences, Cell Stem Cell, 2009, 5, pp. 11-14.

[56] J. M. Deng, K. Satoh, H. Wang, H. Chang, H.Z. Zhang, M.D. Stewart, A.J. Cooney, R.R. Behringer, Generation of Viable Male and Female Mile from Two Fathers, Biology of Reproduction, 2010, 84, pp. 613-618.