Magistratura democratica

I diritti della sfera sessuale delle persone con disabilità

di Antonio Rotelli

Il contributo affronta il tema del diritto alla sessualità delle persone con disabilità che, variamente approfondito nell’ambito delle scienze psico-sociali, ha ricevuto attenzione più limitata da parte della letteratura giuridica. Si propone un quadro ricostruttivo delle fonti sovranazionali e della situazione legislativa italiana, che attende di essere rivisitata in maniera organica alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006.

Il diritto alla sessualità, latamente inteso, chiede di essere garantito al pari di tutti i diritti fondamentali delle persone con disabilità, nel contesto di una prospettiva di inclusione e valorizzazione dell’autodeterminazione.

Introduzione

Sensualità, erotismo, sessualità, in una parola tutto quanto gravita nella sfera dell’intimità delle persone disabili, sono avvolte da reticenze, silenzi e ipocrisie in ragione di stereotipi che tendono a “disincarnare” aspetti fondamentali della vita umana. Tuttavia, vari fattori fanno ritenere che lentamente negli anni più recenti, anche in Italia, vada crescendo l’attenzione al tema del rapporto che le persone con disabilità hanno con il Corpo sessuato e si stia modificando un paradigma culturale, ormai vecchio, con cui guardiamo alla disabilità.

Un impegno significativo in questo senso è profuso direttamente dalle stesse persone disabili e dalle associazioni che si occupano di disabilità[1]. Ad esempio, il loro impegno è stato significativo già nel recente passato, avendo contribuito all’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ispirando e sostenendo politicamente i contenuti in nome dello slogan «nothing about us, without us»[2]. Tuttavia, il loro impegno non è stato sufficiente a determinare che la Convenzione recasse un significativo avanzamento relativamente alla promozione del diritto alla sessualità delle persone disabili[3]. In tal senso, sono rimaste insuperate le Regole Standard per l’uguaglianza di opportunità delle persone con disabilità, adottate dall’ONU nel 1993, con le quali il diritto alla sessualità, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, era stato inserito tra quelli che gli Stati sono chiamati a promuovere[4].

Oggi in Italia svariate associazioni che si occupano di disabilità svolgono attività informative, formative e pubblicistiche in materia di educazione sessuale[5]; i mass media e il cinema non ignorano il tema[6]; a livello di ricerca empirica nel 2015 si è conclusa quella che è stata presentata come la prima indagine scientifica italiana in materia di vita sessuale e affettività delle persone con grave cerebrolesione acquisita (GCA)[7]; a livello istituzionale nel 2013 il Comune di Torino risulta aver avviato il Servizio Disabilità e Sessualità dedicato alle persone con disabilità fisico-motoria[8]. Quelli citati sono solo alcuni esempi, ma a livello istituzionale, culturale e sociale queste e altre esperienze non sono diffuse e assimilate quanto richiederebbe la necessità di garantire il diritto alla sessualità, come espressamente richiesto dal sistema di fonti multilivello che regola la materia dei diritti delle persone con disabilità[9], essendo la sessualità «uno degli essenziali modi di espressione della persona umana» anche per le persone disabili[10].

Scopo di questo contributo è quello di tentare una succinta ricostruzione del quadro giuridico relativo al diritto alla sessualità delle persone disabili, nell’ambito del più generale nuovo “paradigma” della disabilità in cui la tutela dei diritti fondamentali delle persone è centrale.

Dalla concezione medica della disabilità al benessere psico-fisico della persona

Il nuovo “paradigma” giuridico e sociale della disabilità è frutto di un lungo percorso di rivendicazione dei diritti che ha condotto a considerare la disabilità come una condizione complessa nella quale i fattori sociali sono di assoluto rilievo. Questi, come ad esempio i comportamenti dei consociati e le scelte dei decisori pubblici, sono considerati rilevanti, in negativo, nel far sì che una disabilità possa diventare effettivo ostacolo alla realizzazione personale del soggetto, oppure, in positivo, nel rimuovere gli ostacoli che limitano la realizzazione dei diritti delle persone disabili all’autodeterminazione e alla vita indipendente e “inclusa” nella società, princìpi – questi ultimi – che sono promossi dalla Convenzione ONU[11].

La nozione di disabilità come difficoltà di funzionamento della persona a livello biologico, personale e di partecipazione sociale in una chiave multi prospettica, ha cominciato ad affermarsi sin dalla pubblicazione delle Regole Standard dell’ONU, ed è stata sostenuta a distanza di qualche anno dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’OMS ha abbandonato, infatti, un modello di costruzione della disabilità in base ad una concezione medica, che era ancora presente nella Classificazione del 1980[12] e ha adottato la diversa Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF)[13], che persegue lo scopo di fornire un linguaggio standard di riferimento per la descrizione della salute e degli stati ad essa correlati (come l’istruzione, il lavoro o il sesso). In questo senso l’ICF ha avuto e continua ad avere un’applicazione universale non limitata alle persone con disabilità, recando uno standard che misura la salute di tutti, intesa come benessere psicofisico della persona[14].

Pur avendo avuto una diffusione universale, il nuovo “paradigma” non è stato ancora in grado di penetrare a livello sociale fino al punto di determinare il declino e l’abbandono dell’atteggiamento culturale dominante sotto il precedente approccio medico[15]. Un importante contributo nella direzione del cambiamento è giunto, dopo oltre venti anni dalla pubblicazione delle Regole Standard, dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità[16], ratificata dall’Italia nel 2009[17] e alla quale l’Unione europea ha aderito con la decisione n. 48/2010 del Consiglio, del 26 novembre 2009[18]. La Convezione ha segnato il cambio di paradigma assumendo le persone disabili innanzitutto come persone umane con gli stessi diritti e la medesima dignità degli altri, cui garantire tutti i diritti fondamentali; in essa «la persona disabile non è vista come individuo che richiede una protezione sociale ed evoca atteggiamenti compassionevoli pietistici, bensì è considerato soggetto titolare di potenzialità, il cui apporto umano, sociale ed economico alla collettività può contribuire ad incrementare il senso di appartenenza generale alla stessa»[19].

Nel quadro così sinteticamente descritto, il diritto fondamentale alla vita sessuale è riconosciuto e tutelato alle persone disabili al pari di tutte le altre[20], nonostante non siano state testualmente riprese le già ricordate Regole Standard per l’uguaglianza di opportunità delle persone con disabilità.

La tutela del diritto alla sessualità nell’ordinamento italiano

Nonostante la ratifica della Convenzione, il legislatore italiano non ha ancora proceduto ad un organico adeguamento della legislazione interna. Basti citare l’esempio della principale fonte normativa[21] che rimane centrata sulla nozione di persona handicappata, superata anche dal punto di vista linguistico[22]. Tale situazione si riflette inevitabilmente sul diritto alla sessualità, nonostante dei passi avanti siano stati fatti, come si dirà appresso.

La sessualità, quale funzione complessa dell’essere umano, non è circoscritta alle mere attività sessuali, ma include, ad esempio, l’erotismo, la sensualità e la dimensione affettiva che coinvolge l’esperienza del contatto fisico. «I disabili non costituiscono un gruppo omogeneo. Vi sono, infatti, forme diverse di disabilità»[23], che possono anche incidere, in maniera lieve o grave, su strutture o su funzioni corporee connesse alla vita sessuale, ma quando residuino delle abilità esse devono poter trovare espressione, anche grazie all’interazione di fattori personali o ambientali. In tal modo può concretarsi il diritto fondamentale alla sessualità che la Corte costituzionale ha fatto emergere sia con riferimento all’identità sessuale, che l’individuo ha il diritto di realizzare nella propria vita di relazione[24], sia con riferimento alla cd libertà sessuale, che qualifica il diritto di disporre liberamente della sfera sessuale come diritto soggettivo assoluto[25]. L’identità e la libertà sessuale sotto molteplici aspetti si collegano all’obbligo di assicurare alle persone con disabilità la garanzia effettiva di altri diritti costituzionali, in particolare l’uguaglianza, la dignità sociale, il diritto alla realizzazione personale e l’autodeterminazione, tutti tutelati anche dalla Convenzione Onu[26].

Non di meno, la sessualità e la libertà di disporne, essendo due aspetti intimi della persona, si pongono in correlazione anche con la capacità di agire. Sotto questo aspetto, nell’assetto normativo italiano, la sfera della sessualità delle persone disabili può venire in considerazione almeno su tre diversi livelli, che possono distinguersi per la rilevanza, diretta o indiretta, che alcuni fatti ad essa correlati hanno per il diritto penale o per il diritto civile.

Nell’ambito del diritto penale la libertà di autodeterminazione delle persone disabili nella sfera sessuale emerge, anche se indirettamente, con riferimento al reato di violenza sessuale. Fino alla riforma del 1996, quando è stato introdotto l’articolo 609-bis, i soggetti che intrattenevano rapporti sessuali con persone con disabilità erano ritenuti responsabili di violenza sessuale senza possibilità di poter fornire alcuna prova contraria[27]. L’ordinamento assumeva, infatti, che la persona disabile fosse sempre incapace di autodeterminarsi nella sfera sessuale e chi condivideva con lei una relazione sessuale era condannato come soggetto abusante di una situazione di inferiorità. Dopo la riforma la situazione è sostanzialmente cambiata, configurandosi il reato solo quando il soggetto non disabile abbia approfittato della condizione di disabilità del partner. L’accertamento tanto della condizione di inferiorità, tanto dell’abuso compete al giudice, attraverso l’esame delle condotte poste in essere dall’imputato[28]. La novella del 1996 ha avuto il merito, nel solco di quanto indicato dalle Regole Standard dell’Onu, di contemperare l’esigenza di protezione della persona con disabilità, con quella di non impedirle la realizzazione della vita sessuale e affettiva. In tal modo, è stato eliminato un implicito divieto confliggente con più diritti fondamentali ed è stato garantito quanto l’ordinamento stabilisce per la generalità dei consociati[29].

Direttamente in rapporto con il diritto civile sono, invece, altri fatti correlati alla sessualità. Si pensi, ad esempio, alle persone con disabilità in condizione di avere rapporti sessuali o di procreare, e a come questo si colleghi alla possibilità di sposarsi[30], all’interruzione di gravidanza[31], al riconoscimento e al disconoscimento dei figli[32], specificamente tutelate dalla Convenzione[33].

La rilevanza di tali fatti dal punto di vista del diritto civile emerge nitidamente, dovendo ritenersi residuale, oggi, la perdita della capacità di agire rispetto a quanto avveniva fino all’introduzione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, che, pur non abolendoli, ha fortemente ridimensionato l’applicazione dei tradizionali istituti dell'interdizione e dell’inabilitazione[34]. Guardando alle norme introdotte in Italia a protezione dei soggetti deboli, ora innestate sul tessuto della Convenzione Onu[35], si legge il tentativo del legislatore di ampliare quanto più è possibile la tutela della capacità di agire[36], passando da una logica dello status a una logica del regime giuridico degli atti posti in essere dalla persona[37], riconoscendole «la facoltà di autodeterminarsi sul terreno esistenziale compiendo gli atti di natura personale e familiare che non siano incompatibili con il livello di capacità concretamente residuato»[38]. Su questa linea, il Tribunale di Varese ha scritto che la protezione del soggetto vulnerabile non può tradursi in un “esproprio” dei suoi diritti, anche là dove l’esigenza di tutela non sia ravvisabile oppure si tratti di un contesto in cui trovano respiro i diritti inviolabili[39].

Ci sono, infine, altri fatti di natura non patrimoniale che costituiscono esercizio della sessualità e potrebbero essere messi in relazione con il diritto al welfare, inteso in senso ampio, e non direttamente con il diritto civile. Un esempio di questo tipo potrebbe essere l’attività svolta dall’assistente sessuale, figura che in altri ordinamenti è già disciplinata[40] e la cui regolamentazione in Italia[41] è stata proposta in un disegno di legge[42]. La brevità di questo articolo non consente un approfondimento su questo tema di grande rilevanza sociale, anche per le questioni giuridiche che solleva, a partire dalla necessità di distinguere tale attività da quella di prostituzione[43].

In conclusione, l’esame condotto ha evidenziato come l’ordinamento italiano abbia vissuto una evoluzione in relazione alla capacità di agire delle persone con disabilità, ampliata rispetto al passato, e connessa con la tutela di molteplici diritti fondamentali, tra i quali quello alla sessualità e all’autodeterminazione risultano strettamente legati. Il principio di autodeterminazione si presenta come quel tratto della modernità giuridica che, in qualche modo, ci consente di guardare in un modo completamente diverso a tante fattispecie che per l’innanzi non venivano prese in considerazione da nessuna branca del diritto e che oggi invece siamo tenuti a considerare dalla Costituzione da un lato e dalle fonti sovranazionali dall’altro. Proprio nella Convenzione Onu, quest’ultimo si declina anche come diritto alla vita indipendente, ovvero quel diritto «di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone»[44] e che richiede all’Italia di procedere ad un adeguamento della propria legislazione che ancora non c’è stato. In particolare, l’articolo 17 della Convenzione richiede che gli Stati promuovano il diritto all’integrità della persona con disabilità teso a garantire anche che le leggi non operino discriminazioni per quel che riguarda le relazioni sessuali.

Va ricordato, infine, che le riflessioni che si possono fare intorno alla sessualità delle persone disabili non possono essere svincolate dal contesto sociale più generale e quindi dalle visioni socialmente e culturalmente diffuse sulla sessualità. In questo senso, il diritto alla sessualità garantito alle persone con disabilità si presta a divenire una delle cartine al tornasole di più processi culturali in atto nella società e che riguardano tutti.

[1] S. Carnovali, I diritti delle persone con disabilità ed il ruolo dell'associazionismo (nota a TAR Lazio sent. n. 3851/2014), in www.forumcostituzionale.it, 2014. Il testo della nota è disponibile al seguente link: goo.gl/oJ9wr3.

[2] C. Colapietro, Diritti dei disabili e Costituzione, Napoli, 2011, p. 48.

[3] M. Schaaf, Negotiating Sexuality in the Convention on the Rights of Persons with Disabilities, in SUR - International Journal on Human Rights, 2011, vol. 8, n. 14, pp. 113-132. La rivista è disponibile sul sito Conectas.org al seguente link: goo.gl/0JNvpV. L’articolo è corredato di un sintetico testo a fronte che compara le bozze degli articoli della Convenzione recanti riferimenti diretti al diritto alla sessualità e il testo degli stessi nella versione approvata. Un approfondimento sul tema della sessualità nella Convenzione in un’ottica di genere è disponibile in S. Arnade, S. Haefner, Standard Interpretation of the UN Convention on the Rights of Persons with Disabilities from a Female Perspective, 2011. L’articolo è disponibile sul sito Netzwerk Artikel 3 al seguente link: goo.gl/jUvOM7.

[4] Assemblea Generale ONU, Risoluzione 20 dicembre 1993, n. 48/96, Regole Standard per l’uguaglianza di opportunità delle persone con disabilità, in particolare la Norma 9 –Vita familiare e integrità della persona,chiedeva agli Stati di promuovere leggi che non discriminino nei confronti delle persone con disabilità per quel che riguarda le relazioni sessuali, il matrimonio, la parità e la maternità; di non privarle della possibilità di vivere la propria sessualità, avere rapporti sessuali, sperimentare la paternità e la maternità; di assicurare l’accesso a informazioni sul funzionamento sessuale dei loro corpi; promuovere misure per cambiare l’atteggiamento negativo nei confronti della sessualità, del matrimonio, della maternità e della paternità delle persone disabili, specialmente nei confronti delle ragazze e delle donne con disabilità; di promuovere la piena informazione delle persone con disabilità e le loro famiglie sulle precauzioni da prendere contro gli abusi sessuali. Inoltre, la Norma 13 – Informazione e ricerca, chiedeva agli Stati di raccogliere con regolarità, statistiche riguardanti le problematiche sessuali delle persone con disabilità. Una versione italiana del testo è disponibile sul sito Edscuola, al seguente link: goo.gl/u3PSt5.

[5] Per approfondire è possibile consultare la banca dati, organizzata a cura dell’AIAS (Associazione Italiana Assistenza agli Spastici) di Bologna, che contiene o segnala risorse informative, formative, di documentazione e bibliografiche sul tema della sessualità e disabilità dal 1982 in poi. La banca dati è disponibile sul sito dell’AIAS, al seguente link: goo.gl/dOkyz4.

[6] Ad esempio, il film The Session, del regista americano Ben Lewin, del 2012; i documentari The Special Need, di Carlo Zoratti, del 2014; Sesso, amore e disabilità, di Adriano Silanus, del 2012 e Scarlet Road, di Catherine Scott, del 2011.

[7] La ricerca è stata condotta dalla professoressa Anna Mazzucchi (neurologa e neuropsicologa) e dal dottor Antonello D’Amato (neurologo) presso la Fondazione Don Gnocchi su un campione di 175 famiglie di pazienti con grave cerebrolesione acquisita (GCA). I ricercatori hanno somministrato un questionario teso a conoscere le esperienze di vita di relazione, affettiva e sessuale delle persone con GCA, coinvolgendo anche i loro partner o i genitori-caregiver di persone ancora affettivamente sole o divenute tali dopo l'evento di cerebrolesione. I risultati della ricerca rivelano che la relazione di coppia che si realizza dopo CGA si realizza principalmente nella dimensione affettiva e sentimentale, a scapito di quella erotica e sessuale. In entrambi i partner sembra prevalere una relazione affettiva di accudimento, accompagnata da un forte sentimento d'amore. Entrambi valutano importante la sessualità nel rapporto di coppia, ma l'intensità del desiderio risulta affievolita dalla presenza di disordini comportamentali e dalla gravità della disabilità, soprattutto cognitiva più che fisica. I genitori-caregiver ai quali è stato chiesto, invece di indicare la loro percezione circa la sessualità dei figli mostrano di conoscere poco o nulla dei desideri della vita sessuale degli assistiti, anche se suppongono che non siano soddisfatti. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito della Fondazione Don Gnocchi al seguente link: goo.gl/qQ55IF.

[8] Il Servizio Disabilità e Sessualità del Comune di Torino è dedicato alle persone con disabilità fisico-motoria. Si tratta di una iniziativa che articola e potenzia il servizio precedentemente orientato alle problematiche connesse alla disabilità intellettiva, erogato dal Comune. Il Servizio offre uno spazio d’ascolto dedicato alle persone con disabilità fisico- motoria sui temi della affettività, sessualità e genitorialità attraverso il lavoro di una equipe di esperti che, supervisionata da un comitato scientifico multidisciplinare, integra competenze complementari. La pagina web del servizio è disponibile sul sito del Comune di Torino al seguente link: goo.gl/5FGpBQ.

[9] A. Venchiarutti, Sistemi multilivello delle fonti e divieto di discriminazione per disabilità in ambito europeo, in Nuova Giurisprudenza Civile, 2014, 9, pp. 409/419.

[10] Corte costituzionale, sentenza n. 561 del 28 ottobre 1987, nonché Cassazione civile, sez. I, sentenza 10 maggio 2005, n. 9801. Sul diritto alla sessualità nella legge 5 febbraio 1992, n. 104 si rinvia a F. Cioffi, Rapporti emotivi e sessuali tra handicappati, in Il diritto delle relazioni affettive, Nuove responsabilità e nuovi danni, 2005, Vol. III, pp. 2435-2438. Sull’importanza della sessualità nella vita delle persone disabili si segnalano, a mero titolo di esempio, alcuni contributi nell’ambito delle scienze psico-sociali: A.M. De Nigris (a cura di), Disabilità e sessualità. Prospettive d'indagine, Andria, 2012; K. Melberg Schwier, D. Hingsburger, Sessualità. Come viverla con la propria disabilità, Roma, 2007; F. Veglia (a cura di), Handicap e sessualità: il silenzio, la voce, la carezza, Milano, 2003, 3a edizione.

[11] L’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è rubricato: «Vita indipendente ed inclusione nella comunità». Questo è anche il titolo della discussione generale tenuta dal Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità il 19 aprile 2016, nell’ambito della sua quindicesima sessione che si è svolta a Ginevra dal 29 marzo al 21 aprile. Informazioni sono disponibili sul sito della Commissione al seguente link: goo.gl/4TE7tL. In una società dell’inclusione alla persona disabile non è più richiesto di integrarsi adattandosi al sistema, senza ottenere, invece, che sia il sistema a modificare le regole sociali dell’ambiente nel quale la persona vive. Come osservato, da C. Colapietro, op. cit., 2011, pp. 36-37: «l’inclusione è una pratica relazionale che riconosce e rispetta il diritto ad essere se stessi ed il diritto ad esprimere la propria diversità in ogni contesto, nella consapevolezza che l’inclusione riguarda tutti indistintamente, dal momento che concerne fondamentalmente i problemi dei diritti umani, dell’equità, della giustizia sociale e la lotta per una società non discriminativa: in una comunità sociale aperta e democratica, infatti, tutti hanno diritto “ad un pari riconoscimento, rispetto e trattamento, indipendentemente dalle differenze contingenti”».

[12] Organizzazione Mondiale della Sanità, Classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità e handicap, Ginevra, 1980. Questa classificazione, adottata come appendice dell’International Classification of Diseases (ICD), già conteneva un avanzamento nella direzione della rilevanza e dell’influenza del contesto ambientale sullo stato di salute delle persone, mediante la distinzione e la classificazione di “menomazioni”, “disabilità” e “handicap”, costituenti condizioni diverse e correlate; tuttavia, non abbandonava ancora il paradigma “medico” della disabilità.

[13] Organizzazione mondiale della sanità, Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute, Ginevra, 2001. La versione breve della Classificazione è disponibile in italiano sul sito dell’OMS al seguente link: goo.gl/4XgsOi.

[14] Si vedano, con riferimento al bene della salute, tutelato dall’articolo 32, primo comma, della Costituzione, le sentenze n. 365 e 485 del 1991 della Corte costituzionale che identificano l’oggetto della tutela nella complessiva situazione di integrità psicofisica della persona e non solo nella integrità fisica o nell’assenza di malattie.

[15] G. Arconzo, Il diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità, in A. Morelli, L. Trucco (a cura di), Diritti e territorio. Il valore delle autonomie nell'ordinamento repubblicano, 2015, Torino, pp. 129-133.

[16] S. Marchiso, R. Cera, V. Della Fina (A cura di), La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Commentario, Roma, 2010.

[17] Legge 3 marzo 2009, n. 18.

[18] La necessità di approvare una Convenzione internazionale è nata a distanza di alcuni anni dall’approvazione delle Regole Standard, che erano si utili come standard internazionale di orientamento e di monitoraggio condiviso da numerosi Paesi, ma non erano vincolanti giuridicamente e, pertanto, risultavano insufficienti a garantire i diritti violati. La Convenzione internazionale rappresenta uno strumento giuridico maggiormente vincolante ed efficace.

[19] V. Bongiovanni, La tutela dei disabili tra Carta di Nizza e convenzione delle Nazioni Unite, in Famiglie e Diritto, 2011, 3, p. 310.

[20] L’articolo 2 stabilisce che costituisce «Discriminazione sulla base della disabilità» qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in qualsiasi campo. L’articolo 3 riconosce tra i principi generali l’autonomia ed indipendenza individuale delle persone con disabilità, compresa la libertà di compiere le proprie scelte (si veda anche la lettera n del preambolo).

[21] Legge 5 febbraio 1992, n. 104, rubricata Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

[22] Dell’inadeguatezza della legislazione italiana si dà atto nel primo rapporto dettagliato sulle misure prese per rendere efficaci gli obblighi assunti dall’Italia in virtù della Convenzione e sui progressi conseguiti al riguardo, che l’Italia ha presentato all’Onu a novembre 2012. Scrive nel rapporto l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito dalla legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione, che la nozione di persona handicappata «pone l’accento sulle limitazioni delle facoltà (minorazioni) e lo svantaggio sociale che ne deriva (handicap), dunque sugli elementi che condizionano in negativo la vita della persona con disabilità. Nella Legge manca, quindi, un riferimento all’ambiente in cui la “persona con disabilità” vive ed interagisce, in rapporto al quale le “menomazioni” devono essere valutate. L’automatismo secondo cui l’handicap è conseguenza della minorazione è un aspetto potenzialmente critico e superato dalle visioni più recenti della condizione di disabilità» (pag. 1). Il testo del rapporto è disponibile sul sito dell’Osservatorio, al seguente link: goo.gl/4iieUM. Sulla scorta dei contenuti del rapporto, un primo contributo alla definizione di una strategia italiana sulla disabilità per l’adeguamento dell’ordinamento italiano alla Convenzione è recato dal Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, discusso nell’ambito della quarta Conferenza nazionale sulle politiche dell’handicap e adottato con decreto del Presidente della Repubblica del 4 ottobre 2013. Il testo del programma è disponibile sul sito dell’Osservatorio, al seguente link: goo.gl/BbXiO8, mentre le conclusioni della Conferenza sono disponibili sul sito del Senato della Repubblica, al seguente link: goo.gl/zMft5l.

[23] Corte costituzionale, sentenza n. 80 del 26 febbraio 2010.

[24] Corte costituzionale, sentenza n. 161 del 5 febbraio 1985. Per un approfondimento, contenente un paragrafo sul diritto alla sessualità delle persone con disabilità, si veda F. Ratto Trabucco, Il diritto costituzionalmente garantito alla sessualità quale modo essenziale di espressione della persona umana, in A. Pérez Miras, G. M. Teruel L. E. C. Raffiotta (a cura di), Desafíos para los derechos de la persona ante el siglo XXI: familia y religión, 2013, Pamplona, pp. 153-160.

[25] Corte costituzionale, sentenza n. 561 del 28 ottobre 1987.

[26] Si vedano, in particolare gli articoli 1, 3, 5. Per un interessante approfondimento sulla rilevanza costituzionale della disabilità si rinvia a A. Lorenzetti, Dis-eguaglianza e disabilità, in La diseguaglianza nello stato costituzionale, 2015. Il testo del contributo è disponibile sul sito dell’associazione Gruppo di Pisa, destinato agli atti del Convegno annuale dell’Associazione, al seguente link: goo.gl/5S2wxX.

[27] L’articolo 519, comma 2, n. 3, puniva chiunque si congiungesse carnalmente con persona la quale al momento del fatto fosse «malata di mente, ovvero non è in grado di resister(e) a cagione delle proprie condizioni d'inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del colpevole». In aggiunta all’articolo 609-bis è stabilita l’aggravante di cui all’articolo 36 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

[28] In materia esiste una ricca giurisprudenza della Cassazione penale, sez. III, della quale si segnalano per brevità le sentenze 15 febbraio 1997, n. 4114; 24 settembre-22 ottobre 1999, n. 12110; 21 aprile - 27 maggio 2004, n. 24212; 7 luglio 2009, n. 15910; 5 maggio 2015, n. 18513.

[29] F. Eramo, Handicappati: diritto alla sessualità, diritto al matrimonio e diritto all’adozione, in Famiglia e diritto, 2002, 4, 435-441.

[30] Tribunale di Varese, decreto 6 ottobre 2009, che riconosce il diritto della persona con sindrome di Down di contrarre matrimonio, non subordinato al consenso dell’amministratore di sostegno. Per alcune riflessioni sul provvedimento si veda E. Falletti, Il matrimonio della disabile sofferente della sindrome di Down, in Giurisprudenza italiana, 2010, 4, pp. 848-851. In senso contrario, si veda Tribunale di Trieste, decreto 28 settembre 2007, nel quale la possibilità di sposarsi di una persona disabile psichica è stata legata alla nomina di un amministratore di sostegno ad hoc con il compito di seguire l’evoluzione dell’esperienza affettiva della persona e la connessa maturazione. Per alcune riflessioni sul provvedimento si veda P. Cendon, 22 anni, un forte ritardo mentale; meglio che la ragazza non si sposi subito, in Giurisprudenza italiana 2007, 12 pp. 2739-2741. Per una riflessione sul tema della sessualità delle persone con disabilità intellettiva si veda G. Viaggiani, La sessualità delle persone con disabilità intellettiva: una sessualità “disabile”?, in P. Valerio, T. Liccardo, A. Ricciardi, S. de Conciliis (A cura di), Affettività, relazioni e sessualità nella persona con disabilità: tra barriere familiari e opportunità istituzionali, 2016, Napoli, pp. 75-86.

[31] L’articolo 13 della legge in materia di tutela della maternità e interruzione di gravidanza stabilisce che la donna, benché interdetta, può tuttavia essere in grado di decidere in modo valido in ordine alla interruzione della gravidanza. Si veda, ad esempio, Tribunale Genova, sentenza del 12 agosto 2005, in F. Bilotta, P. Ziviz, Il nuovo danno esistenziale, Torino, 2009, p. 352. Il testo della sentenza è disponibile sul sito Persona e Danno, al seguente link: goo.gl/4KdGC2. Il caso, di estremo interesse per la sua complessità, è relativo ad una donna con disabilità psichica che, già madre di una figlia data in affido, rimane nuovamente incinta e decide di interrompere volontariamente la gravidanza. Nonostante l’esecuzione dell’intervento, a due mesi di distanza si accorge che la gravidanza era ancora in corso e, a questo punto, decide di portare a termine la gravidanza, nonostante il grave stato di salute avrebbe consentito di praticare l’aborto terapeutico. Nel corso della gravidanza la donna aveva incontrato un ragazzo con il quale aveva contratto matrimonio subito dopo il parto e il figlio era stato inserito nel nuovo contesto familiare, nonostante la necessità di intervento del servizio sociale.

Con riferimento all’articolo 13 l. aborto si segnalano, altresì, i provvedimenti della Pretura di Genova, del 20 marzo 1986, sulla richiesta di interruzione avanzata dal marito o dal tutore, nei casi in cui la gestante non sia in grado di confermare la richiesta, e della Pretura Nicosia, del 23 gennaio 1997, sull’interruzione di gravidanza disposta con decisione autonoma del giudice tutelare e sulla revoca automatica del provvedimento, qualora prima dell’esecuzione dell’intervento di aborto, le condizioni psichiche della gestante migliorino.

[32] Si veda la sentenza additiva della Corte costituzionale, 25 novembre 2011, n. 322, sulla rilevanza della grave disabilità psichica della persona non formalmente interdetta, ai fini della sospensione del decorso del termine decadenziale ex art. 245 cc per l’esercizio dell’azione di disconoscimento da parte del presunto padre. Sentenza annotata da M. Rizzuti¸ Azione di disconoscimento e incapacità, in Giurisprudenza italiana, 2012, 10, p. 2016.

[33] In particolare l’articolo 23.

[34] G. Ferrando, L’amministrazione di sostegno nelle sue recenti applicazioni, in Famiglia, persone e successioni, 2010, 12, p. 843.

[35] Si veda in particolare l’articolo 12, comma 4.

[36] G. Ferrando, L’amministrazione di sostegno nelle sue recenti applicazioni, cit., p. 838. Ferrando coglie il legame tra la Convenzione e la legge che ha introdotto l’amministrazione di sostegno, scrivendo che: «Solo tenendo conto di questo dato di fondo [ndr. recato dalla Convenzione], a mio parere, si può evitare il rischio di un’interpretazione riduttiva della nuova legge, che si prospetta ogni volta in cui la si legga con gli schemi, le categorie, le formule degli istituti tradizionali. Essa costituisce una sfida per tutti gli operatori del diritto – giudici, servizi sociali, notai – che potrà essere vinta solo a patto di rispettarne le autentiche finalità, senza cercare comodi rifugi, di fronte a dubbi, incertezze, lacune, nelle rassicuranti risposte che ci vengono da una tradizione nobile e risalente, ma ormai superata».

[37] M. Paradiso, L’amministrazione di sostegno (leggendo il quaderno di Familia), in Familia, 2005, 3, p. 437 ss. Si veda anche la sentenza della Corte di cassazione del 29 novembre 2006, n. 25366, che ha messo in risalto l’autentica funzione dell’istituto.

[38] R. Pescara, Lo statuto privatistico dei disabili psichici tra obiettivi di salvaguardia e modello dell’incapacità legale, in Trattato Rescigno, III, 2ª ed., Torino, 1999, p. 761.

[39] Tribunale di Varese, decreto 24 ottobre 2011. Il caso era relativo alla relazione sessuale intrattenuta da una persona interdetta affetta da uno sviluppo mentale ritardato e irregolare con deficit cognitivo. Il testo del provvedimento è disponibile sul sito dell’Associazione Assostegno, al seguente link: goo.gl/ZnrM7b.

Pur se con riferimento a diversa fattispecie, la nota Cassazione civile, Sez. I, sentenza del 16 ottobre 2007, n. 21748, ha chiarito che il carattere personalissimo del diritto alla salute della persona incapace comporta che il riferimento all’istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza. Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell'incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto, agire nell'esclusivo interesse dell'incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non «al posto» dell'incapace né «per» l'incapace, ma «con» l'incapace: quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche.

[40] La figura dell’assistente o accompagnatore sessuale è regolamentata, ad esempio, in Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Austria.

[41] Nel 2014 al Senato è stato presentato un disegno di legge teso a regolamentare tale figura professionale. Atto Senato 1442, recante Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità, a prima firma del Senatore Sergio Lo Giudice, assegnato alla 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità). Al momento l’iter legislativo non risulta avviato. Il testo è disponibile sul sito del Senato della Repubblica al seguente link: goo.gl/l1XMve.

[42] Una breve ricostruzione sul tema si ritrova in A. Pancaldi, La disabilità, il dibattito sull’assistente sessuale e oltre, 2014, pubblicato sul sito Superando, al seguente link: goo.gl/LtWVoe. La richiesta di regolamentazione dell’assistente sessuale è avanzata, tra gli altri, dall’Associazione «Love Giver – Comitato Promotore per l’Assistenza Sessuale». L’Associazione dispone di un sito al seguente link: www.lovegiver.it.

[43] Per un approfondimento generale si rinvia a M. Ulivieri (a cura di), Love Ability, L’assistenza sessuale per le persone con disabilità, Erickson, Trento, 2014.

[44] G. Arconzio, op. cit., pp. 132-133.