Magistratura democratica
Magistratura e società

Under. Giovani, mafie e periferie in un lavoro collettivo

di Ennio Tomaselli
magistrato in pensione, già procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino
Il dossier dell'associazione antimafie daSud è uno strumento di analisi e documentazione che ha il merito di sottolineare con forza temi che costituiscono un tutt’uno problematico ma anche uno stimolo straordinario. Sono i giovani − molti minori − i protagonisti, spesso cresciuti all'ombra dei clan e in contesti devianti; ma lo sono anche la passione e la voglia di riscatto di quanti, nelle istituzioni e fuori, tentano di restituire dignità e speranza a “periferie” troppo spesso dimenticate dalla politica.
<i>Under</i>. Giovani, mafie e periferie in un lavoro collettivo

1. Leggere Under, come mi è capitato, nel periodo a cavallo delle recentissime elezioni politiche mi ha prodotto un effetto particolare, in prima battuta quasi straniante: i discorsi e le promesse elettorali che rimbombavano sui media ossessivamente, quasi che quella fosse l’unica realtà, stridevano acutamente con le voci che uscivano dalle pagine del libro, piene di problemi, storie e immagini di un’Italia drammaticamente più vera, piuttosto diversa dai bilanci del “già fatto” e alquanto lontana dagli obiettivi scanditi come prioritari nei programmi sul “da farsi”.

Un caleidoscopio di umanità, in queste pagine: un’Italia autentica che si dispiega da Roma in giù con paesaggi tanto vari (e belli) geograficamente quanto simili nell’impatto con situazioni di grave disagio socio-economico, talvolta autentico degrado, delinquenza anche minorile, criminalità e malaffare. Ma accomunati anche da testimonianze di impegno, dignità civile, passione educativa. Insomma: un’Italia spesso in grande e diffusa sofferenza ma anche ricca di risorse umane e culturali su cui far leva per un cambiamento.

L’Italia, però, per cambiare ha bisogno − ci dice questo libro − anche di un’invasione.

2. Già nella premessa, infatti, i co-autori e coordinatori Danilo Chirico e Marco Carta, giornalisti impegnati con rigore e vigore professionale, non potrebbero essere più chiari.

A fronte di un quadro che spesso è drammatico per la presenza di un tessuto sociale talvolta ridotto autenticamente a brandelli e l’assenza di diritti non solo astratti, essi, con tutte le altre persone coinvolte nella realizzazione del dossier (che conta una quindicina di contributi  essenzialmente di giornalisti, scrittori e ricercatori  che riguardano il Lazio, la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia, coprono molte aree problematiche e si avvalgono di interviste, analisi di statistiche, etc…), sono andati «alla ricerca di nuove parole e idee. Alcune le abbiamo trovate. E dopo questo viaggio lungo dodici mesi siamo sempre più convinti che serve un’invasione della politica, per cambiarne linguaggio, priorità e modalità».

In effetti la realtà delle situazioni descritte è spesso spietata e il quadro delle risposte politiche appare, in generale, desolato e desolante nella sua inefficacia.

Tutto ciò è particolarmente deprimente dal momento che il focus del discorso riguarda, in generale, i giovani, ma è centrato soprattutto sui minori. Vittime, ma talvolta carnefici essi stessi, nelle storie di criminalità organizzata; ma ancor prima vittime, in generale, di assenze, di inefficienze politiche e culturali o, tout court, di mancanza di educazione e di occasioni di crescita positiva o, semplicemente, “normale”.

La coralità dell’opera si articola, come già accennato, in molte voci. Tante che qui è davvero impossibile elencarle tutte, sì che, esemplificativamente e per dare un’idea della ricchezza di spunti offerta dal testo, ci si limita a citare le parti relative alle diverse geografie criminali, ai cd. baby-criminali, alla scuola, alle risposte giudiziarie penali e, significativamente, anche civili (v. l’intervista al presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria sui minori allontanati da famiglie di ‘ndrangheta, anche con la collaborazione delle madri), alla realtà campana e napoletana (quella, a livello di rappresentazioni letterarie e filmiche, di Gomorra e della Paranza dei bambini) ma anche pugliese e siciliana, toccando pure i temi del caporalato, dei baby-scafisti, dei film in materia, del teatro, dei social media e video giochi.

Tanto, tantissimo. Si sarebbe perfino tentati di dire troppo (concentrato nelle circa 260 pagine del testo), se non si cogliessero lo spirito di ampia testimonianza e documentazione di questo libro e il suo dichiarato obiettivo di «promuovere una discussione pubblica il più possibile larga».

Il filo conduttore, una sorta di cantus firmus su cui si radicano testimonianze, narrazioni e interviste, è sempre, comunque, ben presente ed è costituito dal riuscito mix di tutto ciò che è documentazione e di quanto rappresenta, come vedremo, la concretezza e l’umanità/disumanità delle storie, singole e collettive, delle persone, negli ambienti, spesso degradati, in cui vivono o hanno vissuto.

 

 

3. I dati documentano, regione per regione, la realtà del disagio e dell’abbandono scolastico e l’obiettività dei reati più spesso ascritti ai ragazzi nati in quelle terre o che, comunque, vivono in esse. Anche loro malgrado, quando si sentono chiusi in quell’orizzonte perché protagonisti di percorsi migratori diversamente direzionati (centro e nord Europa).

Essi riguardano i ragazzi in rapporto alla scuola, ai centri di prima accoglienza, agli istituti penali minorili, ai servizi sociali ministeriali, alle comunità di accoglienza pubbliche e private. I dati, si dice di solito, “parlano” in modo indiscutibile e fotografano in modo oggettivo; ma rispetto a problematiche come queste devono, per parlare e significare davvero, essere continuamente accostati, risultandone “vivificati”, alle storie e alle testimonianze con cui si intrecciano.

Perché, se è vero che una costante è l’alto numero di reati per ragazzi che sono ancora, quasi, bambini, numero legato all’aumento della dispersione scolastica, è altrettanto vero che occorre calarsi in quei vicoli, in quei sentieri, in mezzo a quei campi e vicino a quelle spiagge per poter comprendere davvero. Ad esempio quello che dice una collaboratrice di giustizia durante un interrogatorio: «Che questo sia mafia me lo dite voi». Perché lì quella è la normalità, non c’è altro.

Il divario con il Nord − dove, pure, non mancano certo situazioni di “periferia” − riguarda soprattutto i servizi: ad esempio, in Calabria 81 comuni su 83 non hanno servizi sociali (v. quanto riferito nell’intervista a Danilo Chirico dal magistrato Francesco Cascini, allora a capo del Dipartimento ministeriale per la giustizia minorile). Problemi, quindi, per gli interventi nel processo penale minorile [1] ma anche per i progetti educativi con le scuole, che, dal canto loro, molto spesso non offrono servizi di mensa e tempo pieno.

Carenze/assenze anche per quanto riguarda gli educatori di strada, i consultori familiari, gli sportelli per il sostegno alla genitorialità o, semplicemente, gli spazi polifunzionali che possano costituire centri di aggregazione, in alternativa alle case e ai vicoli dove bambini delle elementari confezionano bustine di droga per “passare il tempo” e “sostenere la famiglia”.

E così veniamo, appunto, ai bambini, che poi diventano ragazzi e subito dopo, magari, boss.

La storia di un boss di camorra che muore a 19 anni è anche la storia di un ragazzo e delle sue lettere di ringraziamento agli educatori prima di uscire dal carcere, dei biglietti per loro con gli auguri di Natale, mandati tra una “stesa” e l’altra, della sua quotidianità, tra lusso e violenza, apparentemente senza tentennamenti nelle scelte criminali. Ma è anche la storia del busto del giovane eretto dai suoi parenti nell’ingresso dello stabile di abitazione, singolare contrappunto ai palloncini azzurri appesi nello stesso luogo per la nascita del figlio, che porterà lo stesso nome di battesimo del padre premorto.

Poi c’è la storia delle madri che dicono di non volere che i figli prendano “una brutta strada” tra i vicoli del rione Sanità di Napoli, ma che poi, quando hanno bisogno, chiedono i soldi ai figli pusher; di quelle che vanno a supplicare i boss del quartiere perché “assumano” i loro figli e li mettano in prova magari facendo le vedette; ma anche, per contrasto, di quelle madri che in Calabria hanno iniziato a collaborare chiedendo ai servizi sociali o al Tribunale per i minorenni una diversa collocazione per i loro figli onde sottrarli a un destino di violenza, odio e vendette.

Un’altra narrazione riguarda i baby-scafisti (il titolo del brano dedicato a loro reca un amaro Capitani coraggiosi). Quasi “fotografati” nella loro “impresa” al timone di barchette fatiscenti che dovrebbero attraversare, se non vi affondano, il Mediterraneo. Messi, o finiti, lì nelle situazioni più varie e difficili da distinguere e giudicare penalmente, anche in rapporto alla struttura e alla gravità dei reati: a caso o perché non possono pagarsi il viaggio o perché si sono offerti loro di farlo, etc… Figli di pescatori egiziani, ma anche ragazzi provenienti da terre africane desertiche. Non pochi, comunque (al 23 gennaio 2017 erano 88 quelli in carico ai servizi della giustizia minorile).

In questo panorama così aspro, Under segnala, comunque, i possibili percorsi di risalita e di riscatto.

Dal buio del malaffare le pagine del dossier fanno intravvedere anche i “punti luce” di Save the Children e dei suoi progetti: non solo più in terre lontane, ma anche nelle periferie di tutta Italia, con punti di aggregazione e di sostegno allo studio e alla genitorialità.

In ambito scolastico (una scuola alle prese anche con gli adempimenti “burocratici” e le lentezze della progettazione per bandi, della presa in carico dei problemi a livello ministeriale, etc…) sarebbe importante riuscire a far sviluppare il germoglio della “pedagogia del desiderio” (che ci rimanda a Paulo Freire nelle periferie brasiliane), dei maestri di strada di associazioni “storiche” o di quanti si inventano momenti di aggregazione qualificata per sottrarre i giovani delle periferie alle sirene della criminalità. Una scuola che riesca a diventare anche laboratorio di diritti di cittadinanza.

Quanto agli apparati giudiziari, da un lato lo scritto di Carmen Vogani (una carrellata trasversale rispetto ai luoghi e ai tempi, indietro fino agli anni’80) ammonisce sul fatto che può esistere un legame consolidato tra i giovani e le mafie anche quando le statistiche non sono in grado di coglierlo e sulla necessità di una grande alleanza in cui tutti (politica e imprenditoria, operatori sociali e magistrati, scuola e associazioni) facciano la propria parte, perché «non possiamo sbagliare un’altra volta»; dall’altro, i progressi già compiuti con gli strumenti forniti dal processo penale minorile entrato in vigore nel 1989, le sinergie fra autorità giudiziarie minorili e ordinarie (non solo a fini penali: si pensi alla collaborazione degli uffici giudiziari minorili di Reggio Calabria con la Dda al fine dell’individuazione delle famiglie più a rischio anche per i minori componenti di esse) e il valore aggiunto di una specializzazione non a rischio di separatezza sono tutti fronti (a giudizio di chi scrive) da ampliare e consolidare.

Solo così si potranno affrontare in modo sempre più efficace e credibile le sfide indicate da chi ha curato il dossier in recensione e, in generale, quelle poste da una realtà sempre più complessa. Complessità che è reale, al di là di enfatizzazioni mediatiche e problemi impostati schematicamente (v. i ricorrenti “ritorni di fiamma” sul tema dell’imputabilità, che in ambito minorile è cruciale e andrebbe affrontato senza strumentalizzazioni, con organicità e coerenza).

4. Avviandomi alla conclusione, aggiungo che la lettura di questo libro mi è parsa stimolante anche in rapporto alle iniziative “di primavera” di Libera [2] e, in generale, che questo testo si segnala per tutti gli educatori, di scuola e non, e per tutti gli adulti  genitori e non, addetti ai lavori e non − che vogliano ampliare la conoscenza di quanto è alla base dei tanti problemi sopra ricordati o, semplicemente, credere con Platone (opportunamente citato da Francesco Cascini) che tutti gli adulti sono “comunità educante” e tutti, senza distinzione, responsabili delle speranze di positiva realizzazione dei giovani della propria comunità. Insomma, e non solo per Platone, la giustizia giusta può esistere solo in un Paese giusto.

*La foto di copertina è tratta dal reportage Cemento di Pierpaolo Lo Giudice, un progetto fotografico che, insieme al cortometraggio di Alessandro Mastrantonio, completano il dossier Under.  



[1] Il processo penale è stato al centro del congresso del 2017 dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia, che si è svolto a Catanzaro sul tema “Prevenire ed educare. Due orizzonti che si incontrano per una giustizia a misura di minore”.

[2] Come sempre, Libera organizza per il 21 marzo una giornata di mobilitazione e testimonianza. La manifestazione principale si terrà, quest’anno, a Foggia.

10/03/2018
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