Magistratura democratica
giustizia internazionale

Svolta sul caso Battisti: annullato l’asilo politico concesso dal Brasile

di Roberta Barberini
sostituto procuratore generale presso la corte d'Appello di Roma
Torna alla ribalta il caso del terrorista che ancora oggi si sottrae alla condanna per reati commessi alla fine degli anni ‘70: un'occasione per ribadire come il suo rientro in Italia, per espiare la pena che gli è stata comminata, risponda pienamente alle regole del diritto, nonché alle ragioni della giustizia
Svolta sul caso Battisti: annullato l’asilo politico concesso dal Brasile

1. L’annullamento, da parte di un giudice del Brasile, del provvedimento con il quale il Ministro della giustizia dello stesso Paese aveva riconosciuto a Cesare Battisti lo stato di rifugiato, ha riportato alla ribalta il Battisti ed il suo caso.

L’asilo politico concesso dal Ministro brasiliano aveva determinato la sospensione del procedimento di estradizione, avviato dallo Stato italiano sulla base del trattatobilaterale del 1993, in relazione ad una serie di condanne per reati terroristici commessi tra il 1978 ed il 1979. Tra di essi l’omicidio a scopo di rapina del gioielliere Torregiani ed il grave ferimento di suo figlio, allora quindicenne, divenuto paraplegico. Anche Achille Lollo, reo confesso della strage di Primavalle del 1972 vive liberamente a Rio.

Sel’ex militante dei Pac sarà espulso verso la Francia, da dove era fuggito dopo l’accoglimento della richiesta italiana di estradizione, la consegna del Battisti verrà nuovamente chiesta alla Francia, che già la concesse. La Francia, come è noto, grazie alla c.d. dottrina Mitterand, tuttora accoglie molti espatriati inseguiti dalla legislazione di emergenza imposta dagli anni di piombo.

 

2 . Diversa è, rispettivamente, la posizione del Brasile e della Francia, pur con qualche analogia di cui si dirà.

In Brasile il Ministro della Giustizia riconobbe a Battisti lo status di rifugiato politico ai sensi della convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 1951. Del rifugiato è vietata l’estradizione e l’espulsione ai sensi dell’art.33 della Convenzione ( "nessuno Stato contraente espellerà o respingerà in qualsiasi modo il rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza da un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche").

Il riconoscimento dello stato di rifugiato presuppone per lo più, come è evidente, un giudizio negativo sullo Stato di appartenenza del richiedente asilo, giudizio che all’epoca il Ministro Genro non risparmiò all’Italia.

Egli, infatti, ritenne vi fosse fondato timore che in Italia il Battisti potesseessere perseguitato a cagione delle sue opinioni politiche e addirittura che la sua vita fosse minacciata. Sostenne, il Ministro, che la condanna fosse "dubbia" e addirittura che chi accusava il Battisti, Pietro Mutti, fosse stato torturato.

 

3. La Francia, al contrario, non ha mai dato asilo politico ai condannati per terrorismo, neppure sotto Mitterand, e questo va chiaramente sottolineato.

E’ vero, invece, che la Francia era solita negare l’estradizione degli stessi soggetti, in base ad una sua interpretazione della cosiddetta clausola politica, contenuta in tutti i trattati di estradizione ed anche nella nostra Costituzione (articolo10: "non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici")

Tale interpretazione era confutata dall’Italia, che in particolare dopo il 2001, quando fu sancito in strumenti internazionali vincolanti che il terrorismo non deve mai considerarsi reato politico ai fini del diniego dell’estradizione, sosteneva, a ragion veduta, che il terrorismo non fosse coperto dalla clausola.

A rigore, secondo la dottrina Mitterand solo i reati di terrorismo associativo, come banda armata e associazione sovversiva, potevano essere considerati reati politici, ai fini del diniego della estradizione; invece gli omicidi, anche se a finalità terroristica, dovevano considerarsi alla pari di reati comuni.

Nella pratica, tuttavia, non mancarono incertezze, e non infrequentemente fu negata dalla Francia l’estradizione anche in relazione a reati di sangue. Comunque, la Francia estradò Battisti e per questo egli scappò in Brasile.

Ben diversi sono, comunque, i presupposti della applicazione della clausola politica e del riconoscimento dello stato di rifugiato e diversa, quindi, la posizione dei due Paesi: la clausola politica, nell’estradizione, presuppone un giudizio sulla politicità del reato, in altre parole sull’essere il reato ispirato da motivi politici; la concessione di asilo politico presuppone invece un giudizio sulla politicità della persecuzione, cioè sul fatto che lo Stato del richiedente asilo lo perseguiterebbe per motivi politici e per questo non gli può essere consegnato.

Nel primo caso si ritiene che sia l’individuo ad essere mosso da motivazioni politiche, nel secondo caso si ritiene che lo sia lo Stato. Quindi solo il riconoscimento dello status di rifugiato presuppone, a rigore, un giudizio negativo sullo stato di origine.

 

4 . Ciò non toglie che anche la posizione della Francia sia specchio di un pregiudizio nei confronti dell’Italia, non del tutto superato.

In effetti in Francia era diffusa l’opinione, non del tutto abbandonata, che i terroristi italiani degli anni 70 / 80 fossero un pugno di idealisti che avevano preso le armi contro uno stato repressivo, poliziesco, se non autoritario. Anche la concessione di asilo politico al Battisti da parte del Brasile si poggiava, come si è visto, su argomenti simili. Battisti riuscì sempre ad alimentare questo pregiudizio grazie ai suoi legami privilegiati con il mondo intellettuale ed all’accesso facilitato ai mezzi di comunicazione.

Tale posizione, che conduce facilmente a giustificare le azioni violente compiute da questi soggetti, è inaccettabile, e non solo perché essa comporta una inammissibile indifferenza nei confronti delle vittime del terrorismo.

Il nostro è un paese che ha pagato un elevatissimo tributo di sangue alla violenza terroristica di quegli anni. Lo stato democratico ha reagito adottando una legislazione di emergenza per difendersi ma senza mai negarsi, è rimasto saldamente democratico. Non ci fu, in quegli anni, quella involuzione autoritaria che i terroristi avrebbero voluto, e cui erano preordinati i loro atti. I diritti della difesa sono stati sempre rispettati, e se è vero che il Battisti fu condannato in contumacia, è perché si rese latitante evadendo dal carcere di Frosinone nel 1981.

Sotto un diverso punto di vista, anche il caso Battisti deve essere occasione per ribadire il concetto della assoluta ingiustificabilità degli atti di terrorismo, tanto più in un momento, come quello attuale, in cui la minaccia terroristica ha ripreso inaspettato vigore.

Il principio non è così ovvio come sembra - dal punto di vista politico, morale, e giuridico - se vi è ancora chi ritiene che un’azione di violenza possa essere giustificata in base al fine che si propone l’autore.

Il fine buono, fosse anche la liberazione da un regime oppressore, non giustifica in sé l’atto di violenza, anche a prescindere dalla inevitabile soggettività del giudizio sulla bontà del fine.

Gli attacchi indiscriminati contro civili innocenti sono inaccettabili ed ingiustificabili qualunque sia la motivazione che li ha ispirati.

Il terrorismo è una tattica, è un modo di raggiungere un obiettivo politico, caratterizzato dall’uso della violenza contro inermi. Un obiettivo politico, inclusa la liberazione da regimi oppressori, si può perseguire anche con mezzi diversi, non violenti, oppure attraverso tipi di conflitto tradizionale, ivi inclusa la guerriglia. La guerriglia, benché forma di combattimento non convenzionale, funziona secondo le normali logiche militari, a cominciare dal fatto di impegnare le forze armate dello Stato, se pure in scala minore di una guerra tradizionale.

Nella guerriglia, il requisito in base al quale la guerra è solo "la collisione di due forze attive" e non l’azione di "una forza attiva contro una massa inattiva" – come scrisse von Clausewitz – è comunque rispettato.

Il processo che definisce la guerra è il combattimento. L’essenza del terrorismo, al contrario, è sicuramente la negazione del combattimento,

L’essenza del terrorismo è l’uso della violenza da parte di chi è armato contro l’inerme.

 

 

 

10/03/2015
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