Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

Sentenze Pilota della Corte Edu e revisione del processo: spunti di riflessione dalla Corte di Cassazione

di Stefano Pazienza
Avvocato in Roma e Dottore di ricerca in diritto penale
Nota a Cass. pen. sez. VI, 23 settembre 2014 (dep. 6 novembre 2014) n. 46067, Pres. Agrò, Rel. Bassi
Sentenze Pilota della Corte Edu e revisione del processo: spunti di riflessione dalla Corte di Cassazione

La sentenza che qui si annota riveste particolare importanza sotto due diversi angoli di visuale.

In primo luogo, essa ha il pregio di definire con estrema chiarezza quali pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo possano essere definite “sentenze pilota” e quali, pur non potendo rientrare in questa definizione, hanno comunque una portata generale, che trascende il caso concreto e che, pertanto, possono avere effetti nell’ordinamento interno anche al di fuori della singola situazione di fatto affrontata dai Giudici di Strasburgo.

In secondo luogo, la sentenza chiarisce quali siano i presupposti per la richiesta di revisione del processo per necessario adeguamento ad una sentenza della CEDU e quali, invece, siano i presupposti giuridici che portano ad ammettere il ricorso al Giudice dell’esecuzione per intervenire sulla res iudicata, sempre in un’ottica di adeguamento aidicta della Corte di Strasburgo.

Esaminiamo con ordine i due differenti profili.

Anzitutto è opportuno partire dall’esame del ricorso affrontato dalla Corte di Cassazione.

Il ricorrente, condannato in via definitiva e sottoposto al regime carcerario di cui all’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, chiedeva alla Corte di Appello di Messina la revisione del processo (sulla base della lettura dell’art. 630 c.p.p. data dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 113/11, come strumento processuale per conformarsi ad una pronuncia della Corte EDU) per violazione del proprio diritto di difesa, poiché, a cagione del particolare regime di detenzione, il ricorrente riteneva di non essere stato messo in condizione di approntare una adeguata strategia difensiva, stante la limitazione quantitativa ai colloqui con gli avvocati stabilita per questo particolare tipo di detenzione dal cd. Pacchetto sicurezza del 2009 (l. 15 luglio 2009, n. 94).

Vi è da dire, inoltre, che tale limitazione quantitativa ai colloqui con i propri difensori per i detenuti in regime speciale è stata dichiarata incostituzionale, proprio per contrasto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 143 del 2013.

Ebbene, il ricorrente parte proprio da questa pronuncia del Giudice delle leggi per fornire una suggestiva (ma, come si vedrà, non fondata) tesi difensiva.

La sentenza della Corte EDU che il ricorrente prende a fondamento per ritenere sussistente un obbligo di riapertura del processo sulla base della nuova revisione introdottadalla Corte Costituzionale è la sentenza Öcalan contro Turchia (Corte Edu, sentenza del 13 marzo 2003), in cui si è condannata la Turchia, per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per aver limitato la possibilità di colloqui difensivi del noto leader politico curdo.

Nel ricorso, difatti, si afferma che, in forza del richiamo fatto dal Giudice delle leggi alla pronuncia sovranazionale, la sentenza Öcalan contro Turchia possa definirsi quale “sentenza pilota”, e, in quanto tale, applicabile anche al di là del caso di specie.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 143/13, ha infatti affermato, come ulteriore argomento per giustificare la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 41 bis che “significativo, al riguardo, è che la Corte di Strasburgo - tenuto conto della complessità della singola vicenda giudiziaria nella quale il ricorrente era coinvolto - abbia reputato lesiva del diritto all'equo processo una limitazione che presenta significative assonanze con quella in esame(sentenza 12 marzo 2003, Öcalan contro Turchia, relativa a fattispecie nella quale erano stati consentiti all'imputato, durante il corso del processo, solo due colloqui a settimana con i propri difensori, della durata di un'ora l'uno)”.

Vi è inoltre da tenere a mente, aggiunge il ricorrente, come la stessa giurisprudenza di legittimità e la Corte Costituzionale – rispettivamente con l’ordinanza di rimessione al Giudice delle leggi (ord. n. 34472/12) e la conseguente sentenza di accoglimento della Corte Costituzionale (n. 210/13) nella nota vicenda “Ercolano” – hanno ritenuto i principi contenuti nella sentenza Scoppola c. Italia (che non può essere definita “sentenza pilota” perché non prescrive alcun rimedio di ordine generale a carico dello Stato italiano) applicabili anche a fattispecie analoghe, senza, quindi, che vi sia bisogno che ogni soggetto ricorra preliminarmente alla Corte Europea, potendo invece adire direttamente il giudice nazionale il quale ha l’obbligo di conformarsi a quanto stabilito dai Giudici di Strasburgo (nel caso di specie, modificando, in sede di esecuzione, il quantum di pena irrogato).

In forza del suesposto ragionamento, il ricorrente qualificava come “sostanzialmente pilota” la sentenza Öcalan contro Turchia e, ritenendo pertanto superfluo un proprio personale ricorso alla Corte Edu per sottoporre al vaglio dei Giudici di Strasburgo la propria posizione processuale, adiva direttamente la Corte di Appello di Messina perché aprisse un procedimento di revisione, ai sensi dell’art. 630 c.p.p. come novellato dalla pronunciaadditiva n. 113/11 della Corte Costituzionale.

Per quanto la stessa sentenza della Cassazione dimostri di apprezzare le argomentazioni difensive, giunge, come prima detto, ad una facile declaratoria di inammissibilità del ricorso sulla base di plurimi motivi: in primo luogo, la sentenza Öcalan contro Turchia non può essere definita “sentenza pilota”; in secondo luogo, l’utilizzo di una sentenza pilota per giustificare la revisione del processo non pare comunque essere una soluzione percorribile, perché il meccanismo di revisione introdotto dalla menzionata sentenza della Corte Costituzionale implica che il ricorrente abbia già adito – con esito positivo – i Giudici di Strasburgo.

La “sentenza pilota” è una particolare forma di pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo utilizzata quando ci si trova di fronte ad un problema strutturale della legislazione di un determinato Stato (ad esempio, ciò avviene quando la Corte è investita di plurimi casi che riguardano il medesimo problema giuridico); in queste situazioni, la Cortenon si limita ad individuare il problema che il caso presenta e a condannare lo Stato convenuto ma si spinge a indicare, nel dispositivo, le misure più idonee che lo Stato deve adottare per porre rimedio alla problematica.

La Corte di Strasburgo ha preso negli anni ad utilizzare tale strumento anche in assenza di una specifica base normativa (esempi di sentenza pilota sono le pronunce della Corte Edu Broniowski c. Polonia, del 22 giugno 2004 e Hutten Czapska c. Polonia, del 19 giugno 2006); successivamente, tale prassi è stata disciplinata dall’art. 61 del Regolamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, entrato in vigore il 21 febbraio 2011.

L’articolo menzionato, in estrema sintesi, cristallizza la prassi giurisprudenziale prevedendo:

• che la Corte può decidere di applicare la procedura della sentenza pilota quando i fatti all’origine di un ricorso rilevano l’esistenza, nella Parte contraente interessata, di un problema strutturale o sistemico o di un’altradisfunzione simile che ha dato luogo o potrebbe dar luogo alla presentazione di ricorsi analoghi;

• che nella sentenza pilota si indichi la natura del problema strutturale e il tipo di misure che la parte contraente interessata deve adottare a livello interno in applicazione del dispositivo della sentenza; potendo peraltro fissare un termine per l’adempimento da parte dello Stato;

• che si possano sospendere tutti i ricorsi pendenti dinanzi alla Corte per questioni analoghe, in attesa che lo Stato adempia agli obblighi imposti dalla sentenza pilota.

Ebbene, dalla breve analisi del dettato regolamentare emerge con chiarezza un primo motivo – di per sé assorbente – che osta alla individuazione della sentenza Öcalan contro Turchia quale sentenza pilota.

Essa, infatti, non riguarda l’Italia, ma la Turchia, Stato convenuto dal ricorrente Öcalan, mentre lo scopo di una sentenza pilota è quello di individuare e porre rimedio a problemi sistemici presenti in un determinato ordinamento.

Detto altrimenti, una sentenza è pilota solo per un determinato Stato - il quale, in base al nuovo regolamento, è chiamato ad interloquire già in una fase iniziale sull’opportunità di attivare tale procedura e che, in un momento successivo, è onerato all’adempimento delle misure generali prescritte nella sentenza - e non può esplicare i propri effetti in altri ordinamenti che, necessariamente, hanno un diverso apparato normativo.

In secondo luogo, il semplice richiamo fatto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 143/13 alla pronuncia Öcalan contro Turchia non potrebbe comunque fare assurgere la stessa a rango di sentenza pilota.

A maggior ragione dopo l’entrata in vigore del Regolamento del 2011, la qualifica di sentenza pilota non può essere attribuita ex post da un Giudice nazionale o dalla Corte Costituzionale: è pilota solo quella sentenza che individua un difetto sistemico o strutturale di un determinato ordinamento e prescrive delle specifiche misure atte a rimuovere il problema e che, inoltre, rispetta la procedura prevista dal novellato art. 61 del Regolamento.

In realtà, osserva la Corte, nel caso di specie “la revisione viene richiesta al fine di consentire l'applicazione nel processo, non di una pronuncia della Corte Europea, bensì di una sentenza di incostituzionalità della Corte Costituzionale nazionale, segnatamente della sentenza n. 143 del 2013, con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 41-bis, comma 2-quater lett. b) ultimo periodo, Ord. Penit., nella parte in cui prevede limitazioni al diritto ai colloqui con i difensori nei confronti dei detenuti sottoposti al regime previsto dallo stesso art. 41-bis”; si è pertanto “completamente al di fuori del perimetro delle ipotesi nelle quali è possibile azionare il mezzo straordinario di impugnazione previsto dall'art. 630 del codice di rito”.

Se le argomentazioni fino ad ora illustrate sarebbero di per se sole sufficienti a giustificare un pronuncia di inammissibilità del ricorso, la Corte di Cassazione, in quello che si può sostanzialmente definire come un lungo obiter dictum, fa delle interessanti osservazioni sulla possibilità di utilizzare una sentenza pilota per chiedere la revisione di un processo, pur senza prima adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

E’ noto, infatti, come negli ultimi anni, attraverso un “gioco di squadra” tra Corte Costituzionale e Giudici ordinari volto a porre rimedio alla latitanza del legislatore di frontealla necessità di dare completa attuazione ai dicta della Corte Europea, si sia individuato in capo ai Giudici dell’esecuzione il potere di modificare il giudicato per conformarsi ad una sentenza della Corte Edu che ha riconosciuto l’illegittimità della pena irrogata (il riferimento è alla vicenda Scoppola c. Italia e alla cd. “saga dei fratelli minori di Scoppola”, cfr. Cass. pen., Sez. Un., ord. n. 34472/12, la conseguente sentenza del Giudice delle Leggi n. 210/13 e infine la sentenza, sempre a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 18821/13, tutte sulla vicenda di Salvatore Ercolano).

In estrema sintesi, si è affermato il principio secondo cui la Corte Costituzionale deve dichiarare l’illegittimità (per contrasto con il primo comma dell’art. 117 Cost.) di una normativa giudicata illegittima dalla Corte Edu e che, conseguentemente, il Giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di rideterminare la sanzione irrogata per “impedire che una sanzione penale, per quanto inflitta sulla base di una sentenza divenuta irrevocabile, venga ingiustamente sofferta sulla base di una norma dichiarata successivamente incostituzionale”.

Ma, come afferma la Corte di Cassazione nella sentenza che qui si commenta “la «rilevanza» del decisum della Corte di Strasburgo reso in un determinato caso (nella specie, S. contro Italia), suscettibile di produrre effetti anche a favore di persone che non abbiano proposto un ricorso innanzi Corte Europea, riguarda esclusivamente coloro che si trovino in un'identica «condizione sostanziale»”; difatti, si prosegue, “le stesse Sezioni Unite hanno avvertito che diverso è il caso di una pena rivelatasi illegittima, esclusivamente perché inflitta all'esito di un giudizio ritenuto dalla Corte EDU non equo, ai sensi dell'art. 6 della CEDU: in questa ipotesi, l'apprezzamento, vertendo su eventuali errores in procedendo e implicando valutazioni strettamente correlate alla fattispecie specifica, non può che essere compiuto caso per caso, con l'effetto che il giudicato interno può essere posto in discussione soltanto di fronte ad un vincolante dictum della Corte di Strasburgo sulla medesima fattispecie".

Detto altrimenti, osserva opportunamente la Corte come solo quando la Corte Edu abbia individuato un problema di diritto sostanziale il giudice interno può intervenire direttamente – in sede esecutiva – per regolare situazioni che presentano i medesimi connotati del leading case analizzato dalla Corte di Strasburgo.

La nuova revisione introdotta dalla Corte Costituzionale, invece, è un rimedio straordinario volto alla riapertura del processo quando la Corte Edu abbia previamente costatato che in quel determinato procedimento penale vi è stato error in procedendo che ha comportato la violazione del principio dell’equo processo sancito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In questi casi, infatti, è necessario aprire nuovamente il processo per permettere un nuovo vaglio sulla responsabilità penale del condannato in via definitiva: il processo di revisione, infatti, a differenza dell’intervento diretto del Giudice dell’esecuzione, non deve portare a una decisione “vincolata” dal dictum della Corte Edu; è, invece, ben possibile che, a seguito della riapertura del processo, si pervenga ad una nuova pronuncia di penale responsabilità del soggetto già condannato e ciò perché l’error in procedendo, seppur richiede necessariamente una nuova cognizione, non comporta necessariamente che si sia pervenuti ad un error in iudicando.

In estrema sintesi, e per concludere, la sentenza, riprendendo e facendo proprie le conclusioni delle summenzionate pronunce di legittimità e della Corte Costituzionale, chiarisce le differenze tra riapertura del processo attraverso lo strumento della revisione e intervento del Giudice dell’esecuzione per la rideterminazione della pena inflitta: nel primo caso, infatti, vi deve essere stata una violazione del diritto ad un processo “giusto” e tale violazione deve essere stata previamente acclarata dai Giudici di Strasburgo in relazione a quella determinata situazione concreta, con la conseguente necessità di avere una nuova cognizione su quella vicenda; diversamente, quando la Corte Edu (anche se con una sentenza che non può definirsi pilota) abbia rilevato un problema di diritto sostanziale, il Giudice dell’esecuzione può intervenire direttamente (senza, quindi, attendere una pronuncia del Giudice sovranazionale su quella specifica fattispecie) se rileva che la situazione sottoposta al suo vaglio abbia i medesimi connotati di quella già decisa a Strasburgo.

Ciò posto, nella situazione concreta il ricorrente avrebbe dovuto in primo luogo adire la Corte Edu, lamentando una violazione dell’art. 6 CEDU da parte della Stato Italiano; solo in caso di condanna dello Stato avrebbe potuto adire la Corte di Appello di Messina per chiedere la revisione del processo.

(In argomento, vgs. Piras L., “Sentenze pilota della Corte EDU: quando conformarsiad esse?, in www.dirittoegiustizia.it; Pisapia A., Carceri: sentenza pilota della Corte di Strasburgo condanna l'Italia, in questa rivista; Viganò F., Pena Illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia delle Sezioni Unite che chiude la saga dei “fratelli minori” di Scoppola, in www.penalecontemporaneo.it; Lamarque E. - Viganò F., Sulle ricadute interne della sentenza Scoppola. Ovvero: sul gioco di squadra tra Cassazione e Corte Costituzionale nell’adeguamento del nostro ordinamento alle sentenze di Strasburgo, in www.penalecontemporaneo.it; Gaito F., L’immutabilità della res iudicata: un attributo (non più) imprescindibile?, in Arch. pen., 2013, n. 3).

 

08/01/2015
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