Magistratura democratica
Magistratura e società

Risposte ad alto rischio

di Patrizia Bellucci , Alessandra Marilli
Laboratorio di Linguistica Giudiziaria - LaLiGi
Come fare e soprattutto rispondere ad un'intervista
Risposte ad alto rischio

Il libro di Valentina Tocchi Fare un’intervista. Piccolo manuale giornalistico ad uso di chi fa domande e di chi dà risposte (Dino Audino, Roma, 2013) programmaticamente enuncia, nella quarta di copertina, che questo specifico genere testuale e discorsivo “richiede una capacità da parte dell’intervistatore di far venire fuori ‘la verità’ dell’intervistato e specularmente, per chi concede l’intervista, l’abilità di dire solo ciò che si vuol comunicare evitando di farsi manipolare”.

I magistrati hanno fatto ampia e prolungata esperienza che spesso le cose non sono così semplici e che assai di rado il primo obiettivo dell’intervistatore è la ricerca e l’estrazione della “verità dell’intervistato”. A maggior ragione il manualetto – destinato anzitutto agli “intervistatori” – può essere utile anche agli “intervistandi”, in quanto illustra a grandi linee “le tecniche più efficaci, sia per far parlare sia per eludere domande scomode o manipolatorie, e fornisce al lettore un piccolo arsenale di trucchi e consigli per schivare i trabocchetti dell’intervistare e dell’essere intervistati” (Ibidem).

Valentina Tocchi è avvocato civilista e giornalista del Messaggero e ha lavorato per Mediaset e Rai Uno.

Il libro – che accoglie anche testi e interventi di giornalisti famosi – è diviso in due parti: la prima si propone di rispondere anzitutto alle esigenze di chi deve Fare un’intervista (pp. 5-76), mentre la seconda, di ancor più mirato interesse per i lettori di questa rivista, pone a tema proprio il Come dare un’intervista (pp. 77-103).

Il primo capitolo classifica e analizza Tipi e modi dell’intervista, anche sulla base delle caratteristiche dei diversi media che la veicolano (pp. 5-25). Fra gli interventi giornalistici, Bruno Vespa precisa: “Ho capito che, nelle interviste più delicate, la cosa più importante è accompagnare l’intervistato lungo il percorso, fino a portarlo alla risposta che ci si aspetta” (p. 21) e Lilli Gruber consiglia: “come ti insegnano i maestri del giornalismo, bisogna sempre fare la cosiddetta ‘follow-up’: incalzare finché non si ottiene una risposta” (p. 23). A proposito dell’intervista video Mara Schiavocampo alla domanda “Se qualcuno si rifiuta di parlare?” risponde: “Molto spesso ‘no’ significa ‘non ora’ […]. Una tattica vincente può essere quella di riformulare la domanda in vari modi, ponendola più volte, in modo che chi risponde prenda confidenza con la domanda, la metabolizzi” (p. 25).

Il secondo capitolo (pp. 26-36) analizza Le coordinate dell’intervista alla luce delle cinque domande giornalistiche che sono a monte di ogni forma di comunicazione: what, who, where, when, why, cui qui opportunamente si aggiunge un non secondario how.

Ne consegue logicamente il terzo capitolo su ciò che si associa a “Prima, durante e dopo l’intervista” (pp. 37-63), diretto ai giornalisti ma specularmente interessante per i nostri lettori: si incontrano, infatti, paragrafi come “Ottenere il consenso degli intervistati” ecc. e si arriva fino a “Quelli che… vogliono vedere l’intervista”, con la realistica conclusione: “Se è rispettoso mostrare l’intervista, altrettanto lo è non pretendere di censurare il risultato. Un principio importante per l’intervistato, che deve essere così intelligente da capire che l’unica censura che può fare a piacimento è quella su se stesso quando rilascia l’intervista” (p. 63).

Il quarto capitolo “A ogni intervistato la sua intervista” (pp. 64-76) procede a una ricognizione, caso per caso, delle varie tipologie di intervistati, tra cui “Forze di polizia e istituzioni, lavoratori dipendenti” (pp. 72-74), che così si conclude: “Proprio per ovviare a […] limitazioni legali e disciplinari […], nella prassi giornalistica avviene spesso che gli appartenenti a istituzioni, aziende e forze di polizia forniscano informazioni alla stampa a condizione di rimanere nell’anonimato. Il frutto di queste interviste – a volte parafrasato a volte virgolettato e attribuito a una fonte anonima – potrà dunque essere utilizzato dal giornalista che, com’è noto, può rifiutare di rivelare l’identità delle sue fonti – vedi art. 10 della Convenzione Europea Dei Diritti dell’Uomo e la sentenza Goodwin della Corte di Strasburgo”.

Si giunge così alla seconda parte del volumetto, di interesse ancor più immediato per il lettore di “Questione Giustizia”, che assume a tema proprio il Come dare un’intervista.

Il quinto capitolo è dedicato a quando e quantoRispondere” (pp. 77-84) ed elenca e descrive almeno una parte delle varie insidie che l’intervistato deve saper considerare. In quest’area dell’interazione linguistica, sapere non rende immuni ma almeno un po’ difende. Giustamente, ad esempio, l’autrice osserva: “Tra coloro che a qualsiasi titolo abbiano avuto a che fare con i media vi è una sostanziale insoddisfazione/rassegnazione nei confronti del modo in cui i colloqui vengono poi pubblicati dai giornalisti: a volte” – e noi aggiungeremmo: nel panorama mediatico italiano spesso! – “la responsabilità è da attribuire al giornalista – che ha riportato infedelmente o mutilato le dichiarazioni dell’intervistato – altre volte tuttavia salta agli occhi come l’intervistato abbia peccato di ignoranza dei meccanismi che regolano l’informazione, non abbia capito con chi stava parlando e quale sarebbe stata la destinazione finale delle sue parole” (p. 77) e anche da questo secondo punto di vista la casistica è ampiamente disponibile al lettore. Il capitolo correla poi “tipi e gradi di rischio” e caratteristiche di ciascun medium; uno degli indubbi pregi dell’intero libro, infatti, è proprio la capacità di tener conto e di illustrare a grandi linee – fin dalle iniziali pp. 13-25 – peculiarità, risorse e rischi dell’intervista sui diversi media: la carta stampata, la radio, la televisione, il web.

Nel sesto capitolo ci si chiede quali siano le caratteristiche della “Buona risposta” (pp. 85-89), a partire dalla constatazione iniziale che “la buona risposta dovrebbe essere quella che” – almeno tendenzialmente – “mette al sicuro da manipolazioni e fraintendimenti, anche se vedremo come talvolta ‘la miglior risposta sia quella non data’, mentre altre volte sia sconsigliabile rimanere in silenzio, dato che il tacere sarebbe assimilato a un implicito acconsentire” (p. 85).

Nel settimo capitolo ci si sofferma invece, contrastivamente, su “La non risposta” (pp. 90-97), su quando conviene non rispondere, su come prendere tempo o “dribblare” la domanda, su come “invertire il gioco di potere” o rispondere attraverso un’altra domanda e su quando convenga piuttosto svelare e denunciare apertamente la faziosità della domanda o la scorrettezza della sua formulazione. Si tratta, in ogni caso, di muoversi cognitivamente e linguisticamente nella struttura dialogica dell’intervista.

L’ottavo capitolo è dedicato al Diritto dell’intervista (pp. 98-103), al suo profilo giuridico e alle fattispecie di reato connesso previste dalla legge.

Il volume, infine, si conclude con il nono capitolo – intitolato “L’intervista secondo…” (pp. 104-136) – in cui si richiamano, a grandi linee, tratti caratterizzanti di inchieste famose di Frost, Biagi, Zavoli, Fallaci, Costanzo, Minoli e Sabelli Fioretti.

Ovviamente il libro ha pagine più e meno interessanti per i lettori di questa rivista e magari non serve ai più “esperti”, ma probabilmente può essere di un qualche aiuto a molti per affrontare meglio potenzialità e insidie tipiche dei media.

Disponiamo ormai di un’autorevole e vasta letteratura scientifica – a partire da quella di area linguistica – capace di scendere più in profondità e in dettaglio nei tanti meandri e problemi dell’intervista, pur senza mai disconoscerne funzionalità e senso. Tuttavia, talvolta può essere utile anche un volumetto agile e piano scritto da una giornalista come questo, che può esser letto in mezzo al verde o su una spiaggia: non è un “antidoto”, ma quanto meno una “avvertenza” sì.

Ma non dimentichiamo nemmeno la “saggezza condensata” e la facile impressività nella memoria degli aforismi: come diceva Oscar Wilde, una domanda non è mai indiscreta, una risposta può esserlo

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