Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Precari al bivio

di Anna Luisa Terzi
Consigliere Corte di Appello di Trento
La vicenda dei precari della scuola si arricchisce ulteriormente di profili di controversia (e in questo caso, di contrasto giurisprudenziale): dopo il varo del piano straordinario di assunzione di personale docente a tempo indeterminato, che mira a dare esecuzione ai precetti della sentenza Mascolo della Corte UE, è configurabile ancora un danno in capo ai lavoratori assunti nel passato con contratti a termine per l’accertata incompatibilità della normativa interna con la normativa nazionale? Il Tribunale di Roma si è espresso a distanza di pochi giorni in senso diametralmente opposto. Offriamo ai lettori i testi delle sentenze, accanto ad un inquadramento giuridico, e ad alcune note di commento

1.La  disciplina  del reclutamento del personale e dei rapporti a termine nella Scuola, per il personale docente e ammnistrativo (d.lgs. n. 297/94, L n. 124/99, richiamati dal d.lgs. n. 165/01, art. 70, comma 8) ha dato luogo a un vasto contenzioso per violazione, sotto più profili, della direttiva 1999/70/CE. Il sistema, recentemente modificato con il decreto legislativo n. 107/15, dovrebbe realizzare una copertura dei posti vacanti compatibile con esigenze di flessibilità dovute a mutamenti nella domanda del servizio scolastico: variazioni nella natalità, flussi migratori, scelte di indirizzi scolastici connessi agli andamenti più gli generali del mercato e ai periodi di crisi economica, trasferimenti, aspettative, accorpamenti di sedi o indirizzi scolastici. Accanto a rapporti a termine per la sostituzione di personale assente che rispondono a “ragioni oggettive”, sono previsti rapporti a termine secondo esigenze verificate di anno in anno, fuori organico, e rapporti a termine su posti di organico scoperti per i quali la copertura con contratti a tempo determinato avviene in attesa delle procedure di concorso per l’assunzione in ruolo.

Nel contempo, per le assunzioni a tempo indeterminato, con immissione in ruolo, è previsto (art. 399, comma 1, del d.lgs. n. 297/1994) che per il 50 per cento dei posti disponibili l’assegnazione avvenga attraverso concorso per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo dalle graduatorie permanenti (nelle quali sono inseriti i docenti che hanno superato il concorso regionale per titoli ed esami o i corsi di abilitazione e i docenti che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia).

Il sistema è poi “chiuso” dal comma 14-bis dell’art. 4, L n. 124/1999 (dl art. 1 comma 1 n. 134/09) e dall’art. 9 comma 18 dl n. 70/11, che ha inserito il comma 4 bis all’art. 10 del d. legisl. n. 368/01, che, diretti ad assicurare il principio di cui all’art. 97 della Costituzione, escludono che i contratti a tempo determinato per il conferimento delle supplenze possano trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

 

2. L’insieme di queste disposizioni, che già aveva occupato la giurisprudenza di merito con esiti diversi quanto alla applicabilità alla scuola del d. legisl. n. 368/01 e alla condanna al risarcimento del danno per abuso in base alla direttiva 1999/70/CE ex art. 36 d. legisl. n. 165/01, è stato ritenuto dal giudice di legittimità (sentenza n. 10127/12) in sé compiuto ed autonomo, insensibile alle disposizioni del d. legisl. n. 368/01 in materia di contratti a termine, diretto a soddisfare esigenze obiettive e dunque insuscettibile di dare luogo a violazioni delle norme comunitarie(“…la sua assoluta "impermeabilità" alla disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, si manifesta anche con riferimento a tutti i restanti settori della pubblica amministrazione….”)

A seguito di questo arresto giurisprudenziale la questione della compatibilità della normativa interna con la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato è stata rimessa alla Corte di Giustizia dal Tribunale di Napoli e dalla stessa Corte Costituzionale con ordinanza 207/13.

La Corte UE si è pronunciata con la sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo, affermando che, se pure in astratto il reclutamento del personale insegnante e amministrativo risponda sia a esigenze e criteri di obiettività per le peculiarità del settore, sia a criteri di automatismo, con agevolazione del passaggio dal rapporto a termine a quello a tempo indeterminato, in realtà lo stesso non è conforme al punto 5 lett. a) della direttiva (ragioni obiettive): non sono stabiliti “criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine” e viene consentito nell’applicazione concreta della normativa un ricorso continuativo a una successione di contratti a termine senza certezza rispetto al momento in cui le procedure concorsuali devono essere organizzate e al momento in cui vi è accesso alla stabilizzazione dei rapporti attraverso le graduatorie a esaurimento. Inoltre, ha statuito la Corte, il sistema in questione non è conforme in generale al punto 5 della direttiva in quanto da un lato non consente la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e dall’altro esclude altresì il risarcimento del danno e dunque non prevede alcuna misura idonea a prevenire l’abuso del ricorso a una successione di contratti a termine per soddisfare ad esigenze non provvisorie, ma permanenti e durevoli di scopertura strutturale di organico.

La Corte ha quindi rimesso ai giudici nazionali l’applicazione della normativa interna in modo da realizzarne la compatibilità, secondo i principi stabiliti, con la direttiva: le due sentenze in commento, entrambe del Tribunale di Roma, emesse a quindici giorni di distanza l’una dall’altra, risolvono in modo nettamente contrastante la questione del danno risarcibile in caso di abuso di una successione di contratti a termine nel comparto scuola.

 

3. Partendo dal rilievo che con la legge n. 107/15 è stato autorizzato per l’anno 2015/16 un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per la copertura di tutti i posti dell’organico di diritto, rimasti vacanti e disponibili all’esito delle operazioni di immissione in ruolo ai sensi dell’art. 399 d. lgs. n. 297 del 1994 e dal rilievo che i contratti a termine con l’insegnante ricorrente erano stati stipulati in conformità alla legislazione nazionale all’epoca vigente, nella sentenza 15.9.2015, ritiene il Tribunale di dover procedere a una valutazione in termini di legittimità o illegittimità della normativa interna al momento della decisione, tenendo conto delle disposizioni sopravvenute“finalizzate a completare e perfezionare il sistema quale risultava già prima del recente intervento del legislatore”.

In questa prospettiva l’assunzione agevolata per i supplenti iscritti nelle apposite graduatorie a esaurimento, destinatari di plurimi contratti a termine, venendo a eliminare l’aleatorietà dei tempi di immissione in ruolo e dell’espletamento dei concorsi, censurata dalla Corte di Giustizia, realizzerebbe una “sanzione” del ripetuto ricorso ai rapporti a termine“sicuramente congrua rispetto ai parametri richiesti dalla direttiva e dalla giurisprudenza europee”. Particolarmente valorizzata sotto questo profilo è la circostanza che questi lavoratori avessero già in precedenza un percorso protetto che li avrebbe portati alla stabilizzazione del posto di lavoro e che con questo intervento normativo è stato assicurato loro “il bene della vita maggiormente prezioso, vale a dire lo stabile posto di lavoro e ciò senza necessità di sottoposizione ad ulteriori selezioni dall’esito incerto” (ossia senza concorso), attribuzione che “vale largamente a compensare il “pregiudizio” costituito dalla decorrenza solo dal settembre 2015 dell’assunzione a tempo indeterminato”.

In altri termini “Il perfezionamento del sistema già in vigore da anni nel settore della scuola operato dal legislatore del 2015 consente dunque di escludere che le ripetute assunzioni a tempo determinato verificatesi prima dell’entrata in vigore della l. n. 107 (incluse quelle oggetto della presente causa) possano essere considerate illegittime perché disposte in esecuzione di una normativa confliggente con il diritto sovranazionale o con l’ordinamento costituzionale”.

Nonostante l’accattivante approccio, i passaggi della decisione, resi all’essenziale, ne mostrano i punti critici.

Il primo è la non determinazione della nozione di illecito sulla quale si dovrebbe parametrare non la conformità attuale della disciplina interna a quella comunitaria, ma la legittimità o illegittimità dei contratti a termine conclusi nel tempo con i supplenti. La decisione sposta il piano della controversia da una domanda di danni per abuso nella successione di contratti a termine, quale è stata proposta, come si legge nella sentenza medesima, che implica necessariamente quale antecedente logico giuridico l’affermazione o la negazione dell’abuso, al diverso piano della valutazione della congruità della sanzione, che appartiene a un momento successivo. E il salto non è elemento neutro, come in un ragionamento in cui viene data per ammesso l’antecedente logico, perché nella specifica materia la definizione di abuso e del tipo di illecito che ne conseguirebbe implicano i criteri per stabilire quale sia, secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia, l’intervento sanzionatorio (“…sufficientemente energico e dissuasivo…”) richiesto dall’ordinamento comunitario.

La sentenza si pone poi rispetto all’oggetto della domanda come se venisse in considerazione una responsabilità dello Stato per mancata attuazione della direttiva, che alla fine risulterebbe sanata, e non la valutazione da parte del giudice adito dell’abuso già consumato in un determinato momento storico e delle sue conseguenze. In verità la diversa prospettiva potrebbe essere oggetto di interessanti riflessioni, considerati i plurimi interventi legislativi che hanno eroso e pare abbiamo alla fine eliminato per la pubblica amministrazione qualsiasi sanzione per l’abuso[1], ma la questione è solo adombrata sullo sfondo, tra un detto e non detto e non è affrontata come questione di sistema, secondo una impostazione che non avrebbe potuto eludere la risposta al quesito se veramente in questa ipotesi la L n. 107/15 sani definitivamente una eventuale inottemperanza parziale (per il pubblico impiego) alla direttiva.

L’intervento di stabilizzazione viene preso in considerazione non come diretto a soddisfare un fabbisogno reale per l’ordinaria attività del comparto scuola e solo indirettamente satisfattivo delle ragioni azionate in giudizio, bensì come una sorta di attuazione del trattamento di conversione previsto in via generale per il settore privato. Si esprime in termini generali, ma non offre una soluzione per i casi in cui la stabilizzazione non sia possibile per motivi oggettivi, casi che quindi resterebbero senza riparazione, e assume la l. n. 107/15 come legge di sistema che completa la normativa in vigore rendendola conforme all’ordinamento comunitario, quando al contrario si tratta di un intervento straordinario che lascia immutata per il futuro la possibilità per l’amministrazione di non attivare il reclutamento per l’immissione in ruolo anche in presenza di vuoti strutturali di organico, con ricorso a una serie di contratti a termine, priva sostanzialmente di sanzioni.

Questa decisione lascia trasparire il convincimento che in realtà non vi sia stato alcun abuso sostanziale nel comparto scuola avendo riguardo al percorso facilitato di accesso all’immissione in ruolo di cui hanno sempre goduto i precari, portato a compimento con una stabilizzazione in deroga all’art. 97 cost.

 

4. Ad esiti del tutto opposti perviene la sentenza 1.10.2015.

Seguendo un percorso lineare, aderente ai principi enucleati in materia dal giudice europeo e dal giudice nazionale di legittimità (Cass., n. 27481/2014), la decisione accerta che la reiterazione annuale dei contratti a termine, titolo della domanda, costituisce abuso e “sostanzia”, anche per il precariato del comparto scuola, il diritto al risarcimento del cd danno comunitario, “configurabile quale sanzione “ex lege” a carico del datore di lavoro”. Osserva che si tratta di un danno con caratteristiche proprie, l’onere della prova del quale non può soggiacere a un regime che ne renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio (Corte di Giustizia ordinanza 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13, Cassazione 1260/2015). Ritiene quindi che, per dimostrare il pregiudizio subito, sia sufficiente l’allegazione in fatto di una apprezzabile successione di contratti a termine, e dunquedi un illecito ricorso allo strumento contrattuale destinato a soddisfare esigenze temporanee, “spettando alla amministrazione convenuta l'onere di provare l'insussistenza dell'abuso”.

Afferma che non incidono, al fine di eliminarlo, sul pregiudizio da ristorare i piani straordinari di assunzioni a tempo indeterminato del personale docente e amministrativo, con i quali il legislatore ha disposto la “stabilizzazione “ di “quanti sino a tal momento erano stati contraenti di contratti a termine non convertibili”, trattandosi di interventi non solo straordinari, ma anche successivi rispetto al momento in cui la reiterazione illegittima ed abusiva dei contratti a termine ha determinato il pregiudizio costituito dalla “aleatorietà della antecedente situazione creata dalla illegittima reiterazione di contratti a termine, protrattasi per lungo tempo”. Sono infatti “le situazioni di perdurante incertezza e aleatorietà… generative del danno individuato dalla Corte europea”.

L’avvenuta stabilizzazione rileva invece sul piano della liquidazione del danno che deve seguire criteri di proporzionalità in relazione a ogni singola fattispecie concreta e rileva sotto il profilo della disciplina di riferimento, secondo criteri di equità e omogeneità di situazioni, che inducono a ritenere pertinente l’art. 32 della L n. 183/10.

La pronuncia non elude alcun passaggio nell’iter logico giuridico della decisione e affronta senza remore la questione della definizione del cd. danno comunitario, che pare suscitare una certa insofferenza in vari giudici di merito, che oppongono resistenza ad abbandonare, nei rapporti con la pubblica amministrazione, nella specifica materia, la nozione di danno patrimoniale risarcibile ex artt. 1223, 1226, 1227 cod. civ. (a cui ritengono rinvii l’art. 36 d. legisl. n. 165/01 nel testo ante riforma del 2013). Il nodo che doveva essere risolto è quello di un danno che da un lato deve essere correlato al pregiudizio concreto caso per caso secondo le caratteristiche della singola fattispecie, senza però soggiacere a oneri di prova che vanifichino l’esercizio del diritto, e dall’altro deve svolgere una funzione dissuasiva ossia di sanzione della condotta di abuso.

Questa seconda funzione viene sovente sentita come estranea all’ordinamento interno, soprattutto nel momento in cui, secondo la giurisprudenza comunitaria, non si distingue ma va sovrapporsi e a coincidere come unica entità con la funzione risarcitoria in senso proprio. Si tratta di un danno che viene correlato immediatamente all’abuso e quindi assunto per ciò stesso esistente (in re ipsa), non eliminabile. La prova di un pregiudizio patrimoniale, perdita o mancato guadagno, diviene elemento da considerare per la graduazione dell’entità risarcibile, ma non quale presupposto per la liquidazione.  Secondo la Corte di Giustizia, infatti, una volta scelta, dallo Stato membro, fra le varie opzioni di sanzione ex clausola n. 5 della direttiva quella “equivalente” di diritto interno del risarcimento del danno, quest’ultimo deve necessariamente essere riconosciuto in misura tale da svolgere un ruolo equipollente a quello riparatorio della conversione del rapporto, ossia essere efficacemente dissuasivo (la Corte usa addirittura il termine “energico”). E in questa prospettiva è ormai chiaramente anche il giudice di legittimità, che ha rimesso alle Sezioni unite la questione dei criteri di liquidazione del cd. danno comunitario, che, non vi può essere dubbio, a seguito della sentenza Mascolo, riguarderà anche il contenzioso in discussione, non essendo più sostenibile che la disciplina del comparto scuola sia una disciplina specialissima che si sottrae anche alla direttiva (ordinanza n. 16363/15).

La sentenza 1.10.2015 del Tribunale di Roma, argomentando dalla pronuncia della Corte di Giustizia, individua il pregiudizio nelle “situazioni di perdurante incertezza e aleatorietà” che vengono create a danno del lavoratore dall’abuso del rapporto a termine. Non qualifica invece la natura del pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale: posizione del tutto condivisibile, non essendo questa distinzione necessaria ai fini della liquidazione, considerato che la funzione “dissuasiva” che si sovrappone, e che  il risarcimento deve necessariamente avere, attribuisce a questa nozione di danno caratteristiche che lo sottraggono a una rigida applicazione delle definizioni e dei criteri di cui agli artt. 1223, 1226, 1227, 2059 cod. civ. Infine, individua nell’art. 32 L n. 183/10 la fattispecie più omogenea anche in considerazione della avvenuta stabilizzazione (e quindi della trasformazione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato).

5. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite sui criteri di liquidazione del cd. danno comunitario, in relazione alla previsione di cui al d.lgs. n. 165/01, art.36, comma 2, ora comma 5, questa seconda pronuncia opera delle scelte razionali e condivisibili, considerato che a seguito della stabilizzazione la fattispecie appare omologa a quelle disciplinate dall’art. 32 L n. 183/10, che è del resto l’unica normativa specifica in materia di contratti a termine. E per le ipotesi di mancata conversione ben si potrebbe orientare la liquidazione verso l’ammontare massimo.

 

Rimane aperto il problema, non affrontato nelle due sentenze per l’evidenza della illegittima reiterazione dei contratti, dell’accertamento del momento in cui si realizza l’abuso ovvero di quale sia il limite oltre il quale una reiterazione dei contratti diviene illecita. La soluzione non è agevole in quanto al piano soggettivo della successione di contratti con lo stesso lavoratore si sovrappone un piano oggettivo di valutazione che è quello della successione di contratti a termine per la copertura dello stesso posto in organico anche con lavoratori diversi, piano richiamato anche nella sentenza Mascolo.

Un indice normativo significativo potrebbe essere quello di cui agli artt. 4 testo originario e 1 testo attuale d. legisl. n. 368/01, 19 d. legisl. n. 81/15. Il termine di trentasei mesi è stato ritenuto misura adeguata e sufficientemente dissuasiva  nella sentenza Mascolo e nell’ordinanza Papalia. Un passaggio in questo senso si può trarre anche dalla sentenza n. 276363/14 della Corte di Cassazione. Si tratterà dell’ennesima questione che dovrà essere affrontata e risolta dai giudici di merito per colmare i vuoti e risolvere i problemi di compatibilità con l’ordinamento comunitario di una produzione legislativa nazionale che attua risparmi di spesa nel contingente e nell’immediato senza alcuna lungimiranza sui possibili costi futuri dei propri inadempimenti.

 



[1]L’art. 36, comma 5-quater del d.legis. 165/01, aggiunto nell’agosto 2013 dall'art. 4, comma 1, lett. b), DL n. 101/13, convertito, con modificazioni, dalla L n. 125/13 dispone  “I contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell'articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarità nell'utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato”. Il nuovo testo, che non è stato oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia esclude, per l’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego, anche il risarcimento del danno lasciando quale misura dissuasiva solo una astratta quanto inconsistente responsabilità erariale del dirigente che non si vede come possa concretizzarsi una volta che viene esclusa una possibile esposizione patrimoniale dell’amministrazione per l’illecito.

09/12/2015
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