Magistratura democratica
ordinamento giudiziario

Per una magistratura onoraria efficiente e conforme a Costituzione

In questi giorni, i magistrati onorari scioperano nuovamente. Gli autori delineano una proposta, utile a salvaguardare tre interessi: il rispetto della Costituzione, l'efficienza del sistema, la tutela dei diritti che, come lavoratori, i magistrati onorari vogliono vedere riconosciuti
Per una magistratura onoraria efficiente e conforme a Costituzione

La definizione dell’impiego per il futuro dei magistrati onorari attualmente in servizio, deve soddisfare due esigenze che si collocano su piani diversi: rispetto della Costituzione ed efficienza del sistema. 

Partiamo proprio dalla Costituzione, anzi, dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, per cercare di capire la genesi dell’impiego dei magistrati onorari. Illuminante è la seduta del 31 gennaio 1947, in cui Giovanni Leone propone un emendamento che «mira all’abolizione delle magistrature onorarie in Italia», con contemporanea assunzione di nuovi magistrati di professione. La discussione è breve. Gli argomenti a favore dell’emendamento sono le criticità conseguenti all’«alone di imparzialità» (sic), che non circonda i magistrati onorari, in quanto essi esercitano la professione di avvocato.

Il primo argomento a contrario è la constatazione di un dato di fatto: «Abolendo le magistrature onorarie, si metterebbero soprattutto le Preture nella impossibilità di funzionare, tenuto conto che l’amministrazione della giustizia non ha abbastanza giudici da assegnare ad esse» (Mario Cevolotto). Segue l’intervento di Ferdinando Targetti: «[…] sin dai tempi del Mortara si sosteneva che l’espediente migliore per facilitare la risoluzione del problema del miglioramento delle condizioni economiche dei magistrati sarebbe stato quello della riduzione del loro numero – specie nei gradi inferiori – sostituendoli con magistrati onorari».

L’emendamento non viene approvato, perché è prevalsa, all’esito della discussione, la necessità pratica di impiegare i magistrati onorari per fare funzionare (allora), le Preture, assicurando, nel contempo, il miglioramento delle condizioni economiche della magistratura di professione (a costo di lasciare sulla finestra della giustizia aloni di parzialità).

L’art. 106 della Costituzione dà per scontata la definizione dell’onorarietà. Ma ripartiamo dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente. È sempre Giovanni Leone a esplicitare il significato dell’aggettivo “onorario”: «è una funzione che si presta non come attività professionale, ma come una partecipazione spontanea che esce dalle normali occupazioni della propria vita».

Tale definizione non è mai revocata in dubbio nel corso della discussione. Secondo i deputati costituenti, non è tanto la temporaneità delle funzioni, quindi, a caratterizzare le funzioni onorarie,  quanto lo svolgimento delle funzioni “spontaneo”, da parte di chi trae il proprio reddito da altre occupazioni lavorative. Ad ogni buon conto il vincolo costituzionale della natura temporanea delle funzioni, a suo tempo, è stato ritenuto esistente dal Giudice delle Leggi, nel 1964 (sentenza n. 99), e nel 1998 (sentenza n. 103), pur confermando la necessità di un’assegnazione precaria e occasionale.

La “Commissione di studio sulla magistratura onoraria” istituita dall’ANM nel 2009, prende atto, invece, guardando all’impiego concreto dei magistrati onorari presso il tribunale (giudici e vice procuratori – G.O.T. e V.P.O.), che lo stato delle cose disattende il modello astratto.

Potremmo dire che la fattispecie concreta non è sussumibile nella fattispecie astratta, giungendo alla conclusione che, di fatto, in maggioranza, i G.O.T. e i V.P.O. sono diventati magistrati precari a basso onorario (perché svolgono le funzioni in modo professionale, vale a dire, di fatto, traendo il proprio reddito esclusivamente dalla retribuzione corrisposta per lo svolgimento delle funzioni c.d. “onorarie”). Il Professor Sergio Chiarloni lo scriveva in modo ben più efficace già dieci anni fa sulla rivista “la Magistratura”: «È ora di smetterla di fare violenza alla lingua e di continuare a chiamare giudici onorari giudici che amministrano la giurisdizione a tempo pieno o semi pieno».

Non diversa era la situazione due anni dopo anche con riferimento ai VPO. Per smascherare la natura non onoraria del loro impiego effettivo, è interessante una sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 2006 (sez. lavoro, n. 12447). Ricorrente, un cancelliere C1, dipendente del Ministero della Giustizia, che lamentava il mancato rilascio del nulla osta per l'esercizio delle funzioni di vice procuratore onorario.

La Corte, nel rigettare il ricorso, così motivava: «[…] La Corte d'appello di Salerno ha sottolineato anche come, per la peculiarità delle competenze, lo svolgimento delle funzioni di pubblico ministero implichi una pronta reperibilità ed una piena disponibilità dell'interessato, anche al di fuori del normale orario di lavoro di ufficio; situazione questa che appare difficilmente conciliabile con il proficuo ed efficiente svolgimento della ordinaria attività lavorativa presso la cancelleria di appartenenza».

All’impegno a tempo pieno si aggiunga la permanenza nel servizio al di là del limite temporale dell’incarico originariamente previsto, in virtù di proroghe disposte finora in via d’urgenza dal legislatore.

L’attuale Governo ha elaborato lo schema di un disegno di legge di riforma della magistratura onoraria. Come si è detto in premessa, l’impiego futuro della magistratura onoraria dovrebbe soddisfare un’esigenza di carattere pratico (garantire il funzionamento - ora - dei tribunali), e un’esigenza di armonia del sistema giuridico.

Il ddl governativo, però, esprime - in parte - solo la prima esigenza, trascurando la seconda. Soddisfa in parte la prima, perché, prendendo atto dell’assoluta necessità dei magistrati onorari, ne aumenta le competenze e impone nuovi vincoli di incompatibilità con altri lavori (addirittura prevede la ripartizione della retribuzione «in una quota fissa ed in una quota incentivante»).

Disattende la seconda, perché viola il vincolo costituzionale della occasionalità. Anzi, non si riesce proprio a ravvisare la innovatività del disegno di legge rispetto alla legge Carotti, che già prevedeva la natura temporanea delle funzioni (incarico triennale rinnovabile una sola volta). La futuribile disciplina prevede un incarico quadriennale, rinnovabile tre volte. Dal momento che, anche in base alla c.d. Legge Carotti che nel 1998 li introduceva nell’Ordinamento Giudiziario, G.O.T. e V.P.O. avrebbero dovuto cessare dall’incarico, al massimo dopo sei anni dall’entrata  in servizio (mentre il legislatore ha preferito prorogarli, presumibilmente, per non disperdere l’esperienza maturata nel frattempo), non si comprende in che modo la futuribile disciplina attui finalmente “il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria a norma dell'articolo 106, secondo comma, della Costituzione”, così come previsto dalla disposizione che si potrebbe definire programmatica della stessa Legge Carotti.

Ci si chiede, vale a dire, perché la nuova disciplina possa scongiurare l’evenienza di ulteriori proroghe a mano a mano che scada il termine di legge dell’incarico di magistrati c.d. onorari che abbiano reso un buon servizio, a differenza di quanto avvenuto dal '98 ad oggi. Ci si chiede, ancora, in che cosa consista il riordino attuato dalla futuribile disciplina a norma dell’articolo 106, secondo comma, della Costituzione, dal momento che il vincolo principale dell’occasionalità viene violato (sia per l’aumento delle competenze attribuite, sia per la previsione di un vincolo di incompatibilità ancora più stringente).

Un’altra osservazione si impone. Se la nomina, tramite concorso, dei magistrati, serve a garantire la par condicio tra i candidati, tale funzione è garantita anche dalla natura concorsuale della nomina dei magistrati onorari (sebbene per titoli). Se la funzione del concorso serve, invece, a garantire la qualità dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali (in disparte la questione se l’attuale concorso per esami in magistratura sia in assoluto il metodo migliore di selezione), e volendo ritenere, per assurdo, che tutti i magistrati onorari siano, in quanto tali, pessimi magistrati, non si comprende quale garanzia assicuri la previsione che l’esercizio - in ipotesi “pessimo” - delle funzioni giurisdizionali sia svolto temporaneamente dal singolo, ma permanentemente dall’insieme dei magistrati onorari. Invero l’attuale disciplina (così come il ddl governativo), prevede che anche i magistrati onorari debbano essere idonei a svolgere le funzioni, e attribuisce alla magistratura professionale la responsabilità di valutare l’idoneità, sia in corso di tirocinio, sia in corso di servizio, dei magistrati scelti all’esito di una procedura di carattere tecnico-amministrativo.

L’analisi delle informazioni comparative tratte dal rapporto della Cepej del 2014 (con riferimento ai dati del 2012), svolta in un articolo pubblicato recentemente su questa rivista (Antonella di Florio, La magistratura onoraria in funzione di una giustizia migliore: normativa interna e profili comparati, 27/11/2014), evidenzia che in Italia si registra il numero più basso di giudici onorari (5,5, su 100.000 abitanti), con conseguente carico individuale di lavoro maggiore che in tutto il resto d’Europa e snaturamento, di fatto, della natura onoraria delle funzioni.

La comparazione, però, introduce un altro tema d’interesse. Un ipotetico aumento della pianta organica sic et simpliciter (mantenendo le medesime competenze), basterebbe a rendere coerente la figura del magistrato onorario con il modello di riferimento? Ferma restando l’organizzazione attuale dell’amministrazione della giustizia, sarebbe funzionale ad una maggiore efficienza? La prima domanda trova una risposta negativa nelle riflessioni svolte dal Professor Sergio Chiarloni dieci anni fa nell’articolo citato: «Il diritto comparato e la storia ci insegnano che la giurisdizione onoraria […], sia pure con notevoli differenze a seconda dei casi, hanno in comune alcuni presupposti fondamentali, così da rispettare il dizionario e l’etimologia. È la società civile che dà in prestito all’amministrazione della giurisdizione […] cittadini in possesso di requisiti di rappresentatività e/o di autorevolezza. Con due fini principali per il caso della giurisdizione: attribuire loro compiti che non richiedano un’approfondita specializzazione, ma anche e soprattutto, organizzarli in modo da mantenere intatto il rapporto con la società civile derivante dalle attività di origine, così da poter fruire di tutti i benefici effetti che per la giustizia minore sono sottesi ad una bella espressione di origine francese: giustizia di prossimità. Per ottenere questo secondo fine è ovvio che il citatdino deve essere impegnato a tempo parziale, anzi molto parziale, con la conseguenza che l’impegno può essere svolto a titolo gratuito. Solo così, volendo giocare con le parole, l’onus, sarà più che compensato dall’honor».

A dire che, se il magistrato onorario è “il sale della terra”, egli non si distingue solo per occasionalità (e temporaneità), ma anche per competenze diverse da quelle dei magistrati di carriera (e, si ritiene, per diversità dei riti attraverso i quali essi dovrebbero amministrare la giustizia di prossimità). La complessità delle cause attualmente attribuite ai magistrati onorari (soprattutto quelli in servizio presso il tribunale), per altro, impedirebbe un impiego davvero occasionale, in considerazione dell’impegno richiesto.

Anche a voler concedere, ad ogni buon conto, la possibilità di rendere occasionale l’impiego dei magistrati onorari semplicemente attraverso l’aumento della pianta organica (al fine di non snaturare l’onorarietà delle funzioni), anche la seconda domanda trova una risposta negativa. Il mero aumento della pianta organica, ferme restando le competenze, infatti, si tradurrebbe in una esternalizzazione del servizio giustizia attualmente reso presso i tribunali, con nessun beneficio in termini di efficienza (con la differenza che in futuro il contenzioso attualmente assegnato ai magistrati onorari, sarebbe devoluto esclusivamente a professionisti che, dovendo trarre il proprio reddito da altri lavori, non potrebbero più garantire “la pronta reperibilità ed una piena disponibilità” richiamate dalla giurisprudenza citata).

Alle questioni di carattere astratto fin qui analizzate, si aggiunge la questione contingente relativa a tutti i magistrati etichettati falsamente come onorari che, finora, hanno svolto, di fatto, a tempo pieno le funzioni giudiziarie, sotto la copertura di un sistema che, a suo tempo, Rita Sanlorenzo, ha definito «ipocrita e mortificante», in quanto essi sono «privi delle minime tutele che ormai spettano anche a tanti lavoratori non stabilizzati (indennità di maternità, malattia, ferie, tredicesima)» (“Questione Giustizia”, Precari fuori legge, 5/4/2013). Già dieci anni fa il Professor Chiarloni scriveva, nell’articolo più volte citato: «Non si può pretendere che giovani magistrati, dopo aver servito a tempo pieno o semi pieno l’amministrazione della giustizia, accettino di buon grado il benservito nel pieno della loro maturità professionale, dopo numerosi anni di servizio magari ancora aumentati dalle proroghe rispetto ai termini di legge».

Adesso, dopo ulteriori dieci proroghe, il disegno di legge governativo prevede, per loro, un regime transitorio. A prescindere dall’anzianità di servizio dei singoli, prevede, in modo del tutto irrazionale, con riferimento ad essi, la proroga per un numero di mandati in funzione della fascia di età (quattro mandati di quattro anni per gli under quaranta, tre mandati di quattro anni, per gli over quaranta). Con riferimento alla tutela previdenziale la futuribile disciplina si rivela più ipocrita di quella precedente, ove prevede che le risorse necessarie saranno acquisite «attingendo dal capitolo di bilancio destinato alla copertura delle spese necessarie per la corresponsione dell’indennità».

Dal momento che, per tutti i lavoratori, i contributi previdenziali, per la maggior parte, sono a carico del datore di lavoro, salvo che sia aumentato il predetto capitolo (ma il ddl dice il contrario), delle due l’una: o sarà ridotta la retribuzione (destinando la differenza ai contributi previdenziali), o sarà concesso ai magistrati onorari ciò che in astratto è già nelle loro facoltà (regime volontario di previdenza, salva l’impossibilità in concreto di provvedere per mancanza di capacità economica).

Non si comprende, davvero, perché (e se sia costituzionalmente legittimo), prevedere un’isola nella Pubblica Amministrazione, dove siano impiegati lavoratori a tutti gli effetti, privi di ogni tutela (in prospettiva, di fatto, reclutati in base al censo, ove solo chi abbia alle spalle certezze economiche, potrà permettersi di svolgere le funzioni c.d. onorarie). Viene da chiedersi: perché non prevedere, allora, anche medici, infermieri, cancellieri, insegnanti “onorari”?

La disciplina futuribile, così come quella precedente, disattende anche la raccomandazione sui giudici adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 17 novembre del 2010. Essa è corredata da un memorandum esplicativo, che rinvia al diritto interno degli stati membri, la disciplina dei magistrati «non professionali» (art. 11). Ma se, di fatto, secondo la norma fondamentale del diritto interno, i magistrati c.d. onorari sono professionali, non può revocarsi in dubbio che la raccomandazione debba integralmente applicarsi anche ad essi (nei limiti previsti anche ai vice procuratori, in quanto in Italia l’organo dell’accusa è indipendente dall’esecutivo – v. art. 11 memorandum).

La nota sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre scorso adombra anche violazioni della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999. La questione richiede prudenza e merita senz’altro approfondimenti da parte di soggetti più autorevoli e più competenti in materia di chi scrive. La natura di fatto lavorativa dell’attività svolta dai magistrati onorari nell’assetto attuale (per tutti i motivi fin qui scandagliati ed altri indicati negli articoli pubblicati da questa rivista sul tema), solleva senz’altro il dubbio che il ricorso al rinnovo del loro incarico oltre il termine originario, possa ritenersi abusivo, in quanto necessario a soddisfare esigenze permanenti e durevoli.

Prendiamo in prestito per l’ultima volta le parole del Professor Sergio Chiarloni: «La definizione ricorrente dei got come ruota di scorta della magistratura togata mi pare inadeguata, a meno di non essere consapevoli dell’enorme frequenza delle forature». La fotografia dieci anni dopo: «Ci sono GOT e VPO che prestano servizio presso lo stesso ufficio da più di 20 anni e che vengo stabilmente utilizzati in sostituzione dei giudici togati assenti od insufficienti» (Antonella Di Florio, ult. cit.).

Per riprendere il filo rosso con cui avevamo iniziato a tessere il nostro ragionamento, esigenze di efficienza della giustizia e Costituzione (ma anche fonti normative europee), impongono, pertanto, altri interventi. Volendo prevedere il ricorso anche per il futuro alla magistratura onoraria, essa dovrà trovare un impiego davvero occasionale e temporaneo (per un periodo anche inferiore ai dodici anni previsti dal ddl governativo, e si auspicherebbe, con competenze diverse da quelle attuali). L’efficienza del sistema giustizia, non potendo più contare sull’impiego - illegittimo - dei magistrati onorari, così come configurato dall’attuale sistema, dovrebbe trovare il proprio motore nell’ufficio del processo, già previsto in embrione e timidamente da recenti disposizioni di legge. Non può essere certo il tirocinio, che ha funzione di formazione teorico-pratica dei giovani, a conferire, però, potenza a questo motore.

Per citare un recente articolo pubblicato da “Questione Giustizia” (Bruno Capponi, Respingimento del contenzioso, degiurisdizionalizzazione, prospettive in tempo di crisi,9/10/2014), «la verità è che il tirocinio potrà essere utile al tirocinante e non certo al magistrato» (ovvero, più che al magistrato, all’amministrazione della giustizia). La piena valorizzazione dell’ufficio del processo può compiersi solo attraverso l’impiego, in esso, di figure professionali, come tali stabili.

La ragione suggerisce (se non impone), di prevedere all’interno di questo modello organizzativo la stabilizzazione dei magistrati onorari che siano stati impiegati finora in modo illegittimo per i motivi sopra illustrati, ma abbiano dato prova di professionalità, e la cui esperienza (maturata in osmosi con i magistrati di professione), sarebbe irrazionale disperdere in nome di non si sa quali principi.

Il regime transitorio, da applicarsi anche ai giudici di pace attualmente in servizio (per restare in linea con l’obiettivo del ddl governativo, che unifica nell’unica figura denominata “giudice di pace” i magistrati onorari giudicanti), perciò, potrebbe più ragionevolmente delinearsi secondo i seguenti punti:

1) Valutazione iniziale di idoneità dei magistrati onorari interessati dal regime transitorio da parte del Consiglio Giudiziario di appartenenza secondo gli attuali criteri;

2) Continuità dell’incarico fino al raggiungimento dell’età pensionabile dei magistrati onorari che abbiano superato la valutazione di cui al punto precedente, salva la previsione di una valutazione quadriennale, sulla base degli attuali criteri;

3) Esclusività del rapporto e regime di incompatibilità della magistratura di carriera;

4) Istituzione del ruolo ad esaurimento dei Vice Procuratori e dei Giudici di Pace dove verranno inseriti i VPO e i GOT/GDP sottoposti al regime transitorio, i quali perdono il carattere dell’onorarietà in ragione del loro inserimento permanente ed esclusivo, e  si distinguono, pertanto,  in Vice Procuratori e in Giudici di Pace dell’Ufficio del Processo a seconda che svolgano rispettivamente le funzioni delegate giurisdizionali requirenti e giudicanti;

5) Inserimento dei Vice Procuratori e Giudici di Pace nell’Ufficio del Processo con funzioni giurisdizionali delegate per l’esercizio dell’attività di udienza e di quella sotto indicata. Il modello dell’Ufficio del Processo proposto conferma che titolare del potere giurisdizionale è e resta il Procuratore Capo e il Presidente del Tribunale (nonché il titolare dell’Ufficio del Processo individuato dal legislatore delegato, in funzione dell’organizzazione già esistente degli uffici e dell’articolazione degli incarichi semi direttivi). Il titolare del potere giurisdizionale e, comunque il titolare dell’Ufficio del Processo, nell’ambito delle materie e delle attività ed in base ai criteri [1] individuati dalla presente riforma, delegano l’esercizio di singole o più funzioni al Vice Procuratore e al Giudice di Pace. I Vice Procuratori e i Giudici di Pace sono inseriti organicamente e funzionalmente nella Procura della Repubblica e nel Tribunale, e nell’Ufficio del Processo ivi istituito, per l’esercizio delle seguenti funzioni delegate:

a) nell’Ufficio del Processo presso la Procura della Repubblica:

- funzioni di pubblico ministero di udienza;

- assistenza  dei magistrati designati alla trattazione dei procedimenti ai sensi dell’art. 70 O.G., in fase di indagini preliminari ed in fase di udienza;

b) nell’Ufficio del Processo presso il Tribunale:

- attività processuale di udienza e di decisione;

- assistenza e collaborazione del titolare dell’ufficio (compimento di tutti gli atti preparatori, necessari o utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale);

c) coordinamento dei tirocinanti, dei nuovi magistrati onorari e di altri eventuali soggetti inseriti nell’Ufficio del Processo;

6) Applicazione del trattamento economico, previdenziale[2] , assistenziale[3], ivi comprensivo di ferie e permessi, e del sistema di guarentigie del magistrato ordinario di prima nomina al momento del conferimento delle funzioni giurisdizionali, senza comunque alcuna possibilità di carriera nell’ambito della magistratura ordinaria;

7) Partecipazione dei Vice Procuratori e dei Giudici di Pace dell’Ufficio del Processo al Consiglio Giudiziario;

8) Applicazione ai Vice Procuratori e Giudici di Pace dell’Ufficio del Processo della disciplina dei doveri e degli illeciti disciplinari propria dei magistrati di carriera.

Si tratta di un’ipotesi di regime transitorio che contribuirebbe a concretizzare il modello di ufficio del processo finora solo nominalmente introdotto nell’ordinamento (estendendolo all’ufficio del pubblico ministero). Nell’ufficio così delineato continuerebbero a essere presenti i tirocinanti  - in funzione formativa -, e, in futuro, potrebbero innestarsi al suo interno, secondo le esigenze dei tempi e la maturità del legislatore, le figure ed i mezzi ritenuti necessari (in prospettiva potrebbe perfino essere valorizzato il servizio svolto al suo interno in funzione propedeutica rispetto alle funzioni di maggiore responsabilità svolte dalla magistratura di professione).

I giudici di pace e i vice procuratori inseriti nel ruolo ad esaurimento potrebbero diventare, vale a dire, il punto di partenza per l'elaborazione di una nuova figura professionale da inserire in modo non transitorio ma stabile nell’ufficio del processo, consentendo riduzioni di spesa e garantendo ai magistrati di carriera, per dirla di nuovo con Giovanni Leone (seduta del 26 novembre 1947), l’esercizio della «divina funzione dello Stato», con la massima indipendenza riconosciuta dalla Costituzione. L’introduzione dell’istituto della delega manterrebbe il potere giurisdizionale solo in capo al titolare dell’ufficio del processo, che lo eserciterebbe attraverso un modello organizzativo forte e polivalente, di matrice europea, in grado finalmente di risolvere l’emergenza giustizia.

 

NOTE 

[1] In ipotesi, complessità e valore della causa.

[2] Onde non pregiudicare le posizioni assicurative maturate nelle diverse gestioni previdenziali, in deroga alla disciplina generale di cui alle legge 7 febbraio 1979 n. 29,  a seguito dell’inserimento nel ruolo ad esaurimento si applica di ufficio senza alcun onere per il beneficiario, la ricongiunzione presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, gestito dall’INPS,  di tutti i contributi previdenziali esistenti e  versati in tutte le altre gestioni e la Cassa forense.

[3] Prevedendo, eventualmente, una graduazione del trattamento economico in funzione dell’anzianità maturata all’entrata in vigore della presente riforma.

10/12/2014
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