Magistratura democratica
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Non solo taglia e incolla (parte prima)

di Luca Semeraro
Giudice del Tribunale di Perugia
L’obbligo di motivazione dell’ordinanza cautelare genetica ed i poteri del Tribunale del riesame dopo le modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015

1. Le modifiche normative fino alla legge n. 47 del 2015

La concreta applicazione delle nuove norme, i sei mesi trascorsi dalla entrata in vigore della legge n. 47 del 2015, la cronaca, mi spingono a fare un primo ragionato bilancio sulle modifiche degli obblighi di motivazione dell’ordinanza custodiale genetica.

Ai sensi delle parzialmente nuove lettere c) e c bis) dell’art. 292 c.p.p., l’ordinanza cautelare, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio, deve contenere, in più rispetto al passato, anche l’autonoma valutazione:

c) l'esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato;

c-bis) l'esposizione e l’autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione e l’autonoma valutazione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure;

È stato poi attribuito al Tribunale del riesame il potere (il dovere) di annullare l’ordinanza cautelare “se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”; cfr. art. 309 comma 9 ultimo periodo c.p.p.

Come sostenuto anche da parte della dottrina[1], il legislatore ha voluto rafforzare l’obbligo di motivazione del provvedimento genetico sui presupposti applicativi dell’ordinanza cautelare[2], proseguendo in un percorso iniziato da tempo.

Originariamente, la nullità dell’ordinanza fu collegata alla mancanza della “… esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per cui assumono rilevanza[3].

Con la legge n. 332 del 1995 furono aggiunte:

  • la rilevabilità di ufficio della nullità;
  • nella lett. c) la necessità di tener conto anche del “tempo trascorso dalla commissione del reato”;
  • la lettera c-bis) che all’epoca aveva il testo che segue: “l’esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l’esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure”.

Per effetto poi delle leggi n. 332 del 1995 e n. 397 del 2000, il comma 2 ter dell’art. 292 c.p.p. prevede che: “L'ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell'imputato, di cui all'articolo 358, nonché all'articolo 327-bis”.

Il rafforzamento dell’obbligo di motivazione del giudice del provvedimento genetico restrittivo della libertà personale è anche coerente con i principi di cui all’art. 111 della Costituzione, come già ricordato dalla Suprema Corte[4].

 

2. L’orientamento più remoto della Corte di Cassazione

Le critiche maggiori al sistema normativo esistente prima della legge 47 del 2015 riguardarono da un lato la natura relativa della nullità ex art. 292 c.p.p. - con la conseguente applicazione delle regole relative alla deducibilità ed alla sanatoria ex artt. 181-183 c.p.p. - e, dall’altro, l’attribuzione del cd. potere integrativo al Tribunale del riesame.

Secondo l’orientamento più datato ed originariamente prevalente della giurisprudenza di legittimità, atteso l’effetto interamente devolutivo della richiesta di riesame, in presenza di tali nullità, il Tribunale del riesame poteva solo integrare la motivazione e confermare l’ordinanza custodiale anche per motivi diversi da quelli contenuti nel provvedimento genetico[5]. Si ritenne che il difetto di motivazione fosse un vizio rilevabile solo dal giudice di legittimità mentre il Tribunale del riesame era tenuto a compiere comunque, con la motivazione integrativa, l’“… autonoma valutazione del quadro indiziario già conosciuto dal giudice delle indagini preliminari …” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7967 del 30.11.2011)[6].

 

3. L’orientamento più rigoroso

Un altro orientamento ha invece escluso il potere/dovere del Tribunale del riesame di integrazione dell’ordinanza genetica nei casi di assenza della motivazione[7]: “Il potere-dovere attribuito al giudice del riesame dall'art. 309 c.p.p., comma 9, ultima parte, di confermare le ordinanze coercitive impugnate "per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso" non è esercitabile allorquando la motivazione di quest'ultimo sia radicalmente assente o meramente apparente, dovendo, in tali ipotesi, essere rilevata la nullità del provvedimento impugnato per violazione di legge”.

Secondo questa tesi, il potere integrativo e sanante poteva infatti essere esercitato dal Tribunale del riesame solo nei casi di motivazione insufficiente, illogica o contraddittoria e ciò anche per la competenza funzionale del Giudice per le indagini preliminari rispetto al momento genetico del sub procedimento cautelare:

“… A ciò induce anche la considerazione del sistema delle competenze funzionali previsto dal codice di rito nell'ambito del subprocedimento cautelare: legittimando il Tribunale del riesame a motivare ex novo una ordinanza coercitiva del tutto priva di motivazione, si finirebbe con l'attribuirgli inammissibilmente l'esercizio di poteri-doveri funzionalmente attribuiti al primo giudice …”. Cfr. Cass. Sez. 2,ª Sentenza n. 12537 del 2013”.

A tale conclusione si giunse osservando anche che (cfr. Cass. Sez. 2ª, sentenza n. 12537 del 4.12.2013 est. Beltrani) dal tenore letterale dell'art. 309 c.p.p., comma 9, ultima parte, il potere di adoperare “motivi diversi da quelli enunciati” e “ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso” era relativo rispettivamente alla riforma ed alla conferma del provvedimento impugnato e non all’annullamento, sicchè si escluse che il Tribunale del riesame potesse confermare il provvedimento impugnato “…. per ragioni indicate del tutto ex novo, nel caso in cui il provvedimento sia radicalmente privo di motivazione …”.

Già nel regime normativo precedente alle modifiche arrecate dalla legge n. 47 del 2015, la Corte di Cassazione affermò dunque che il provvedimento genetico deve essere assistito da una motivazione in senso tecnico-giuridico nella quale siano enunciate le ragioni circa l'an ed il quomodo della cautela, così da consentirne lo scrutinio e l'eventuale determinazione, anche adesiva, pur se fondata su ragioni diverse.

 

4. La casistica

Se si analizzano le sentenze della Corte di Cassazione che hanno aderito alla tesi da ultimo esposta, è possibile individuare una casistica di nullità non sanabili con il potere integrativo riconosciuto dall’art. 309 c.p.p. al Tribunale del riesame, prima delle modifiche apportate dalla legge 47/2015.

Il vizio relativo alla mancanza di motivazione dell’ordinanza genetica è stato ritenuto sussistente nei seguenti casi:

  • carenza grafica della motivazione;
  • motivazione meramente apparente, come quando ci si limiti alla mera “riproduzione della documentazione acquisita in sede d'indagini preliminari[8];
  • motivazione per relationem ed impiego di mere clausole di stile o uso di frasi apodittiche: quando cioè nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento, o nel rinviare a questo, non si dia contezza alcuna delle ragioni per cui il giudice abbia fatto proprio il contenuto dell'atto recepito o richiamato o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni[9];
  • semplice riedizione del compendio investigativo, facendo leva sull'autoevidenza dello stesso[10];
  • sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell’indagato senza alcuna indicazione degli specifici elementi reputati indizianti[11];
  • mera elencazione descrittiva degli elementi di fatto:

proprio con riferimento a tale ultima ipotesi, la Corte di Cassazione affermò che occorre “… invece una valutazione critica ed argomentata delle fonti indiziarie singolarmente assunte e complessivamente considerate, il cui controllo in sede di legittimità deve limitarsi a verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza di completezza espositiva” (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 18190 del 04/04/2012);

  • mera elencazione delle trascrizioni del contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate “apoditticamente definite come "autoevidenti", "manifeste", "chiare", "inconfutabili", "non abbisognevoli d'interpretazione" e analoghe espressioni …[12];
  • mero rinvio alle schede personali redatte dalla P.G.[13];

particolarmente significativo questo passaggio della motivazione: “… Dopo aver così elencato e descritto in modo del tutto generico il materiale probatorio posto a fondamento della misura cautelare, il G.i.p. si richiama agli esiti di tali emergenze investigative, illustrati specificamente per ciascun indagato nelle schede personali predisposte dalla P.G. precisando che le stesse devono essere considerate parti integranti dell'ordinanza stessa. Ora, l'ordinanza, rinviando alle schede personali redatte dalla P.G. e, quindi, alla natura delle indagini svolte ed agli esiti delle stesse, non contiene alcuna delibazione in ordine alla gravità degli indizi e manca perciò l'intervento giurisdizionale espresso attraverso l'esame critico degli elementi di prova raccolti …”.

Ciò che rileva, infatti, non è mettere a conoscenza dell’indagato gli elementi dedotti dall'accusa e sui quali si fonda la cautela, ma far comprendere al destinatario e poi all'organo del gravame il percorso argomentativo del giudice.

 

5. La sentenza n. 36267 del 30.5.2006 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

Le affermazioni contenute nella sentenza n. 36267 del 30.5.2006 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione tornano oggi quanto mai di attualità.

Nel lontano 2006, le Sezioni Unite furono chiamate a risolvere il contrasto interpretativo, sorto a seguito del richiamo nell'art. 273, comma primo bis, c.p.p., introdotto dall'art. 11 L. n. 63 del 2001, dei commi terzo e quarto dell'art. 192 c.p.p., che riguardava la necessità di riscontri estrinseci individualizzanti nella fase cautelare.

Le Sezioni Unite affermarono che “… Il giusto processo cautelare è l'epilogo di un cammino che, attraverso varie tappe segnate da interventi del legislatore, di questa Suprema Corte e del Giudice delle leggi, ha visto progressivamente sfumare le tradizionali differenze evidenziate tra decisione cautelare e giudizio di merito, con riferimento alla valutazione degli elementi conoscitivi posti a disposizione del giudice, e ricercare una tendenziale omologazione dei corrispondenti parametri-guida …”.

Con la stessa sentenza, le Sezioni Unite, dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale, pur ribadendo la differenza tra il giudizio di condanna ed il giudizio prognostico cautelare[14], caratterizzato dalla dinamicità e dal giudizio allo stato degli atti[15], affermarono che la motivazione dell’ordinanza custodiale era ormai assimilabile a quella della sentenza di merito: … L'art. 292 c.p.p., come modificato dalla legge n. 332 del 1995, delineando per l'ordinanza cautelare uno schema di motivazione assimilabile a quello prescritto per la sentenza di merito dall'art. 546 lett. e) c.p.p., impone, infatti, al giudice della libertà sia di giustificare l'esito positivo della valutazione compiuta sugli elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa e comunque a favore dell'accusato (lett. c e c bis del comma 2), adempimenti questi che esaltano l'aspetto contenutistico del giudizio al quale è chiamato il giudice della cautela …”.

Ciò anche per l’anticipazione di alcuni parametri di giudizio alla fase cautelare, come previsto dall’art. 273 comma 1 bis c.p.p[16].

L’assimilazione della motivazione del provvedimento genetico cautelare a quella della sentenza, pur nelle differenze derivanti dalla dinamicità e finalità della valutazione, è stata, in sostanza, di recente affermata dalla Corte di Cassazione, sez. 6ª, con la sentenza del 7.7.2015 n. 1186/2015, che per altro richiama la sentenza n. 36267 del 30/05/2006 delle Sezioni Unite.

La gravità indiziaria è stata infatti collegata alla individuazione degli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, sia diretti che indiretti, i quali contengono “in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova” e che apprezzati nella loro consistenza e nella loro coordinazione logica, consentono di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi di giudizio, nel vaglio dibattimentale, saranno idonei a dimostrare la responsabilità, fondando, nel frattempo, una qualificata probabilità di colpevolezza. Questi elementi però, sin dal momento del giudizio cautelare, devono resistere alle interpretazioni alternative[17].

In sentenza, operando anche una innovazione terminologica, la Corte qualifica la gravità indiziaria quale "una prova allo stato degli atti" che si differenzia per il profilo dinamico e non per la “… minore consistenza dimostrativa a contraddistinguere i "gravi indizi" rispetto alla prova idonea a giustificare la declaratoria di responsabilità …[18].

 

6. Un primo bilancio

Può in primo luogo osservarsi che con il rafforzamento dell’obbligo di motivazione dell’ordinanza genetica, effettuato dalla legge 47/2015, il legislatore ha proseguito in quel percorso di “giusto processo cautelare” e nell’assimilazione del contenuto della ordinanza cautelare alla sentenza di merito, già affermata nel 2006 dalle Sezioni Unite.

In secondo luogo, il legislatore ha esplicitamente limitato il potere integrativo da parte del Tribunale del riesame, pur ancora presente nel secondo periodo del comma 9 dell’art. 309 c.p.p. (“Il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all'imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso”).

Nei casi di motivazione mancante o di mancanza della valutazione autonoma delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa non è più esercitabile il potere di integrazione della motivazione dell’ordinanza genetica perché il Tribunale del riesame è tenuto ad annullare il provvedimento impugnato.

La conseguenza di questa limitazione del potere di integrazione del provvedimento genetico è che il Tribunale del riesame è divenuto anche il giudice dell’ordinanza cautelare, perché deve vagliare la legittimità della motivazione.

Dunque, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità riportato nel paragrafo 2 è ormai definitivamente superato.

 

7. La mancanza della motivazione

Quando si verifica la mancanza della motivazione che impone l’annullamento dell’ordinanza genetica?

Ritengo che la modifica normativa abbia sicuramente recepito l’orientamento più recente della giurisprudenza sulla mancanza della motivazione che ho sopra riportato. Dunque, abbiamo già una casistica a disposizione.

I principi giurisprudenziali prima richiamati, l’assimilazione al contenuto della sentenza di merito affermata dalle Sezioni Unite ed il collegamento tra gli artt. 292 e 309 c.p.p. consentono di poter individuare il contenuto minimo per la legittimità della motivazione dell’ordinanza custodiale.

La motivazione, per essere esistente, deve avere ad oggetto tutti quei presupposti dell’ordinanza genetica precisamente indicati nel comma 2 dell’art. 292 c.p.p. alle lettere c), c) bis ed al comma 2 ter: proprio collegando gli artt. 292 e 309 c.p.p., si può affermare che, oltre al caso della motivazione non autonoma, la mancanza della motivazione su uno di tali presupposti genera una nullità che non può più essere sanata dal potere integrativo del Tribunale del riesame, limitato ai casi di esistenza della motivazione, per quanto insufficiente o incongrua.

Come può immediatamente notarsi dalla mera lettura dell’art. 292 c.p.p., in parte sopra riportato, il testo non è “scorrevole” per effetto delle diverse modifiche subite nel corso degli anni. Per altro, il testo dell’art. 292 c.p.p., sul contenuto della motivazione dell’ordinanza cautelare genetica è decisamente più complesso ed articolato dell’art. 546 lett. e) c.p.p. sulla motivazione della sentenza.

La lett. e) richiede per la sentenza di merito “… la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie …”.

Deve però ritenersi che la norma imponga che l’ordinanza custodiale contenga, oltre ad alcuni dati che potremo definire formali, una parte motiva che è costituita in primo luogo dalla esposizione ed in secondo luogo dalla valutazione (a cui fa riferimento il comma 2 ter), dalla motivazione vera e propria.

In concreto, per i gravi indizi di colpevolezza e per le esigenze cautelari, il giudice è tenuto prima alla esposizione, cioè alla indicazione degli elementi di fatto: il giudice deve procedere alla esposizione, alla narrazione relativa al fatto, agli accadimenti nel loro sviluppo spazio temporale, relativi all’indagato.

In secondo luogo, il giudice dovrà effettuare la valutazione, dovrà scrivere perché gli elementi di fatto emersi e riportati nell’ordinanza concretizzino a carico dell’indagato i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari; il giudice infatti, seguendo il testo della lett. c), dopo aver indicato gli elementi di fatto, desume dagli stessi i gravi indizi e le esigenze cautelari e rende espliciti i motivi sul perché essi assumono rilevanza a carico, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato.

Nel far ciò, dovrà anche effettuare la “prova di resistenza” richiesta dal comma 2 ter dell’art. 292 c.p.p.; dovrà cioè valutare, in base agli atti contenuti nel fascicolo del p.m. ed eventualmente in quello relativo all’attività investigativa del difensore, gli elementi a favore ed a carico e verificare che il quadro di gravità indiziaria resista ad interpretazioni alternative.

Il giudice, procedendo in quel processo di assimilazione con la sentenza di merito, pur con le differenze evidenziate dalle Sezioni Unite, dovrà motivare sul perché gli elementi di fatto porteranno – con elevata probabilità – secondo un giudizio allo stato degli atti, alla condanna dell’indagato, avendo per altro l’obbligo di motivare anche sul perché non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa.

La motivazione, pur nel suo aspetto di giudizio prognostico e dinamico allo stato degli atti, deve dunque concernere la condotta, nei suoi aspetti relativi all’elemento oggettivo, soggettivo ed al nesso di causalità, ed in caso di concorso di persone del reato deve necessariamente individuare le condotte tipiche e quelle atipiche, ma causalmente rilevanti rispetto alla condotta tipica, con l’analisi dei relativi profili soggettivi.

È questo l’in sé della motivazione, del vaglio critico degli elementi raccolti nelle indagini preliminari.

Per fare un esempio concreto, ove sia contestato il reato di maltrattamenti in famiglia, il giudice, dopo aver esposto i fatti, dovrà passare alla fase valutativa vera e propria, spiegando perché condotte che di per sé possono anche essere prive di rilevanza penale o perché delitti (ad esempio, minaccia, percosse ed ingiurie) per i quali non è possibile l’emissione della misura cautelare, siano legati fra loro dalla abitualità e pertanto siano rilevanti anche ai fini dell’adozione del provvedimento coercitivo. Il giudice dovrà motivare sul perché i fatti descritti siano avvinti nel loro svolgimento dall’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o morale del soggetto passivo, infliggendogli abitualmente delle sofferenze fisiche o morali.

Va poi ricordato che, come si ricava dal collegamento tra la lettera c bis dell’art. 292 e l’art. 309 c.p.p., la motivazione dell’ordinanza genetica deve avere ad oggetto, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, anche le concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari non possano essere soddisfatte con altre misure.

 

8. La specificità delle esigenze cautelari

Una riflessione è dovuta sulla motivazione della specificità delle esigenze cautelari.

È interessante notare che nella formulazione dell’art. 292 comma 2 lett. c) c.p.p. la motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari precede quella dei gravi indizi di colpevolezza. Forse non si tratta di un’imprecisione logica, ma del voler sottolineare la funzione delle misure cautelari, come a dire che ciò che conta in primo luogo non è la probabilità di condanna, ma la finalità del provvedimento, strettamente collegata alla sussistenza delle esigenze cautelari.

La motivazione sulle esigenze cautelari ha un primo suo parametro di riferimento nell’art. 274 c.p.p.; deve però osservarsi che l’art. 292 c.p.p. obbliga il giudice a motivare sulle specifiche esigenze cautelari.

Specifico (cfr. vocabolario Traccani) è un aggettivo che nell’uso comune, in contrapposizione a generico, significa determinato, ristretto a un singolo caso o a un singolo tipo.

O distingue una cosa da altre dello stesso genere (es. proprietà s. delle piante) e pertanto significa caratteristico, distintivo, particolare, peculiare, (non com.) precipuo, proprio, tipico (in contrapposizione a generale, generico, universale): oppure significa “che è ristretto a un singolo caso o a un singolo tipo: conoscenza s. su un argomento.; nel caso s. si potrà fare un'eccezione …”; e quindi è inteso quale particolare, preciso. Nel senso “… che è precisato nei particolari: fare delle accuse s. …” significa dettagliato, particolareggiato, preciso, puntuale, in contrapposizione a generico, impreciso, indefinito, sommario, vago.

Dunque, motivare sulle esigenze cautelari significa non solo indicare quale tra quelle di cui all’art. 274 c.p.p. sussista ma anche indicare quali siano le esigenze cautelari determinate, proprie, peculiari, distintive (o ristrette) rispetto al singolo indagato.

Va osservato che le SezioniUnite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1235 del 28/10/2010, hanno così interpretato il presupposto della specificità, richiamando la sentenza della sez. 2ª, n. 6480 del 21/11/1997, dep. 16/04/1998, Accardo:

"In tema di misure cautelari personali, le esigenze connesse alla tutela della collettività devono concretarsi nel pericolo specifico di commissione dei delitti indicati nell'art. 274, lett. c), cod. proc. pen.; trattandosi di valutazione prognostica di carattere presuntivo, il giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei criteri logici adottati senza potere, nell'ipotesi in cui più siano gli indagati, assumere determinazioni complessive e generali. Ne deriva che la motivazione in ordine alla pericolosità sociale ed alla necessità della misura della custodia cautelare non può accomunare, in una valutazione cumulativa, la posizione di più indagati senza valutare invece separatamente le situazioni individuali"

Ed hanno aggiunto che:

"In caso di contestazione relativa a reato associativo, la motivazione del provvedimento cautelare non può essere cumulativamente riferita ad una pluralità di soggetti, ma deve essere specificamente riferita a ogni singola persona, essendo il contributo dei singoli partecipanti al sodalizio, di norma, diversificato e essendo comunque differenti la pericolosità e la capacità criminale dei medesimi" (Sez. 6, n. 48420 del 05/11/2008, Bernardi, Rv. 242375; Sez. 6, n. 3974 del 07/11/1995, Bozzo, Rv. 203322)

 

9. La valutazione autonoma

Il potere/dovere di annullare l’ordinanza cautelare “se … non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”, è stato previsto dal legislatore certamente per evitare il fenomeno del copia ed incolla, come segnalato concordemente dalla dottrina.

Dall’analisi dei lavori preparatori emerge che le modifiche devono tendere ad evitare la redazione di motivazioni “appiattite su quelle del pubblico ministero richiedente” (come si legge nella scheda redatta dal Servizio Studi del Senato). E, aggiungo, ad evitare che, per effetto del copia ed incolla a cascata, in realtà le misure cautelari siano scritte da ufficiali di p.g., con evidente violazione dei principi costituzionali.

Pertanto, l’autonoma valutazione impone un concreto vaglio critico della richiesta del p.m., che non può in alcun modo essere puramente recepita.

Va ricordato che valutazione è un sostantivo femminile che significa “Determinazione del valore di cose e fatti di cui si debba tenere conto ai fini di un giudizio o di una decisione, di una classifica o graduatoria …” (cfr. vocabolario Trecani).

Autonomo è un aggettivo che deriva dalla parola greca autónomos, che significa "che si governa da sé; che ha la capacità e facoltà di governarsi o reggersi da sé …” (cfr. vocabolario Treccani.

Dunque, la valutazione dei fatti esposti, di cui si deve tener conto ai fini della motivazione della sussistenza dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, deve avere la capacità di reggersi da sé.

Come già ricordato, alcune sentenze della Corte di Cassazione ricondussero alla patologia della motivazione apparente i casi di motivazione per relationem nei quali non fosse stata operata una reale analisi critica del provvedimento richiamato, senza una un’elaborazione originale rispetto al provvedimento richiamato e con l’uso di mere clausole di stile o di frasi apodittiche[19].

Valutazione autonoma è quella svolta direttamente ed in prima persona dal Giudice con proprie argomentazioni critiche, senza che egli possa limitarsi alla mera esposizione, cioè descrizione, delle risultanze investigative né alla mera o pedissequa riproposizione degli argomenti sviluppati dal Pubblico Ministero nella richiesta di emissione della misura cautelare. E ciò anche ove si consideri che il legislatore ha specificamente previsto, nel comma 2 ter dell’art. 292 c.p.p., a pena di nullità, che la motivazione debba anche contenere la valutazione degli elementi a carico ed a favore dell’indagato, individuati nel fascicolo del p.m. e negli atti delle indagini difensive; deve cioè incrociare gli elementi di accusa con quelli della difesa, se già emersi, per saggiare la resistenza degli elementi di accusa. La norma tende ad evitare il recepimento acritico della richiesta.

Quanto all’ambito applicativo, tenuto conto del carattere testuale dei poteri di annullamento, dalla lettura della norma emerge che tale potere non riguarda l’esposizione non autonoma.L’esposizione pertanto potrà anche essere riportata dal giudice con riferimento a quanto contenuto nella richiesta del p.m.

Ed ancora, in maniera poco coerente, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, il potere di annullamento, stando al dato letterale dell’art. 309 comma 9 terzo periodo c.p.p., non è stato esteso alla nullità derivante dalla mancanza della autonoma valutazione relativa alle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari non possano essere soddisfatte con l’applicazione di altre misure meno afflittive.

 

10. Qualche osservazione finale

Va ricordato che le norme sono state scritte tenendo in considerazione un’ordinanza emessa nei confronti di un solo indagato per una sola imputazione. Può dunque accadere che salti un passaggio motivazionale nei confronti di una sola imputazione o di un solo imputato. È evidente che in tali casi non è tutta l’ordinanza che dovrà essere annullata, ma solo quella parte colpita dalla mancanza della motivazione o dalla mancanza della motivazione autonoma.

La verifica in concreto della mancanza di motivazione autonoma non è però agevole in concreto, al di là dei casi in cui la motivazione della richiesta del p.m. è integralmente riportata senza alcun vaglio critico.

Forse un criterio guida può essere costituito dalla ricezione di argomenti del p.m., non corretti, la cui riproposizione dimostra l’assenza del vaglio critico. C’è poi da chiedersi se la motivazione per relationem sia ancora possibile ed in che limiti.

Il tempo, l’analisi dei casi concreti ed il prossimo intervento della Corte di Cassazione potranno fornire altri elementi di valutazione*.

 

*L’autore è attualmente componente del collegio del Tribunale del riesame di Perugia.

 


[1] Cfr. Giorgio Spangher in Brevi riflessioni sistematiche sulle misure cautelari dopo la l. N. 47 del 2015; Paola Borrelli, in Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali, su diritto penale contemporaneo;

[2]In tal senso cfr. i lavori della Commissione Canzio e della sottocommissione che si è occupata delle modifiche da apportare alla fase cautelare e gli esiti del dibattito alla Camera.

[3] Così recitava il primo testo dell’art. 292, secondo comma, lett. c), c.p.p.

[4]cfr. Cass. Sez. 2ª Sentenza n. 25513 del 14/06/2012: il generale dovere di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali che trova fonte costituzionale nell'art. 111 Cost., comma 6, si specifica e si "qualifica" in termini di pregnanza per così dire "funzionale," nei provvedimenti limitativi della libertà personale, alla luce del precetto sancito dall'art. 13 Cost., comma 2, posto che l'"atto motivato della autorità giudiziaria", deve necessariamente rendere contezza delle "ragioni" per le quali - nei casi e nei modi previsti dalla legge - si è, quale extrema ratio, ritenuto indispensabile adottare un provvedimento limitativo della libertà personale.

[5] Fra le tante, Cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6322 del 21/11/2006: Atteso l'effetto interamente devolutivo che caratterizza il riesame delle ordinanze applicative di misure cautelari, deve ritenersi che il tribunale del riesame, cui è conferito il potere di annullare, riformare o confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle in esso indicate, possa sanare, con la propria motivazione, le carenze argomentative di detto provvedimento, pur quando esse siano tali da dar luogo alle nullità, rilevabili d'ufficio, previste dall'art. 292, comma secondo, lett. c) e c bis), cod. proc. pen.

[6] Cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15416 del 02/02/2011: Il tribunale del riesame, a fronte di un difetto di motivazione del provvedimento applicativo della misura coercitiva, deve porvi rimedio con le necessarie integrazioni e non annullare il provvedimento, perché solo al giudice di legittimità è dato il potere di pronunciare l'annullamento per difetto di motivazione.

[7] Cfr. la sentenza n. 12537 del 2014 della Sez. 2ª della Corte di Cassazione.

[8] cfr. Cass. Sez. 6ª, Sentenza n. 40609 del 01/10/2008; In motivazione si afferma: “… La riproduzione della documentazione acquisita in sede d'indagini preliminari, trasfusa nell'ordinanza applicativa della misura cautelare, senza la valutazione critica e argomentata degli indizi singolarmente assunti e complessivamente considerati, costituisce motivazione apparente, che elude lo scopo principale della motivazione, che è quello di fornire, alle parti ed al giudice dell'impugnazione, una sintesi logica e valutativa degli elementi probatori posti alla base dell'apprezzamento di gravità del quadro indiziario …”.

[9] cfr. fra le tante, Cass. Sez. 6ª, Sentenza n. 25631 del 24/05/2012 Estensore: Aprile E.

[10] Cfr. Cass. Sez. 6ª, Sentenza n. 27928 del 14/06/2013: in applicazione del principio, la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva confermato una misura cautelare, limitandosi ad affermare la sovrapponibilità delle dichiarazioni accusatorie, senza alcuna analisi del loro contenuto, e l'autoevidenza dei dati documentali, omettendo di fornire qualunque spiegazione sulle ragioni della loro significatività in relazione alle conclusioni dedotte.

[11] cfr. Cass. Sez. 2ª Sentenza n. 25513 del 14/06/2012: Il potere-dovere del Tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera nel caso di ordinanza che si sia limitata ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell'indagato e che manchi totalmente di qualsiasi riferimento contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi reputati indizianti.

[12] Cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 33753 del 15/07/2010: Fattispecie di impugnazione di ordinanza applicativa di misura coercitiva personale consistente nella sola trascrizione del contenuto di intercettazioni telefoniche ed ambientali senza alcuna valutazione del compendio probatorio raccolto.

[13] Cass. Sez. 6, Sentenza n. 35823 del 01/02/2007: È illegittimo il provvedimento di custodia cautelare motivato, quanto ai gravi indizi di colpevolezza, con il mero rinvio alle schede personali redatte dalla P.G., senza alcuna delibazione valutativa degli elementi di prova raccolti (fattispecie in tema ricorso ex art. 311, comma secondo, cod.proc.pen.).

[14] Cfr. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 36267 del 30/05/2006 in motivazione: Certo, non deve essere disconosciuta la differenza tra il giudizio preordinato alla pronuncia di condanna, che presuppone l'acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell'imputato, e la delibazione funzionale all'esercizio del potere cautelare, che implica un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza.

[15] Cfr. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 36267 del 30/05/2006 in motivazione:

Diverso è senz'altro nei due accertamenti il grado di conferma dell'ipotesi accusatoria.

In quello posto a base della decisione definitiva sulla regiudicanda, la conclusione è sorretta da un quadro probatorio completo e non suscettibile di ulteriori aggiornamenti o variazioni, con l'effetto che ogni margine d'incertezza resta superato.

Nell'accertamento incidentale de libertate, invece, il convincimento giudiziale è esposto al flusso continuo di conoscenze potenzialmente idonee a smentirlo, a prescindere dalla scansione in fasi e gradi del processo "principale". In quest'ultimo caso, la conclusione inferenziale della relativa delibazione è assunta sulla base di dati conoscitivi ancora suscettibili di accrescersi ed evolversi con l'apporto di ulteriori informazioni che stimolano la continua verifica della capacità dell'ipotesi accusatoria di resistere a interpretazioni alternative. Di tanto la decisione cautelare, nel momento in cui viene adottata, non può non tenere conto, nell'apprezzare la forza induttiva del materiale indiziario, sino a quello stesso momento acquisito, rispetto al fatto-reato considerato e al suo collegamento, secondo il criterio sostanziale di elevata probabilità di colpevolezza, con chi ne appare l'autore. Il quadro di gravità indiziaria ai fini cautelari, concetto differente da quello enunciato nell'art. 192/2 c.p.p., che allude alla c.d. prova logica o critica, ha, sotto il profilo gnoseologico, una propria autonomia, non rappresenta altro che l'insieme degli elementi conoscitivi, sia di natura rappresentativa che logica, la cui valenza è strumentale alla decisione de libertate, rimane delimitato dai confini di questa e non si proietta necessariamente nel diverso e futuro contesto dibattimentale relativo al definitivo giudizio di merito. In sostanza, la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di "prova" idoneo ad integrare la condizione minima per l'esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare, non può che riferirsi al grado di conferma, allo stato degli atti, dell'ipotesi accusatoria, e ciò a prescindere dagli effetti, non ancora apprezzabili, eventualmente connessi alla dinamica della prova nella successiva evoluzione processuale.

[16] Cfr. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 36267 del 30/05/2006 in motivazione: Nella fase delle indagini preliminari, invero, convivono due distinte categorie di attività, quella diretta alla ricerca e alla raccolta delle conoscenze necessarie per verificare la fondatezza della notitia criminis e quella che sfocia in provvedimenti che comprimono diritti di rilievo costituzionale, qual è quello della libertà.

Nell'ambito di quest'ultima attività, ferme restando la netta distinzione tra gli indizi cautelari e la prova ai fini del giudizio e, quindi, la diversità di prospettiva in cui gli uni e l'altra si muovono, v'è una chiara "spinta all'omologazione" dei parametri di valutazione e di utilizzabilità del materiale conoscitivo oggetto delle decisioni del giudice della cautela e di quello del merito.

[17] La gravità indiziaria “… infatti, come è noto, è connessa all'individuazione di quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, sia diretti che indiretti, che, resistendo ad interpretazioni alternative e contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sé a dimostrare, al di la di ogni ragionevole dubbio, l'attribuibilità del reato all'indagato, attingendo la soglia dimostrativa propria del giudizio di cognizione. E tuttavia apprezzati, nella loro consistenza e nella loro coordinazione logica, consentono di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi di giudizio, nel vaglio dibattimentale, saranno idonei a dimostrare la responsabilità, fondando, nel frattempo, una qualificata probabilità di colpevolezza . ( Sez U. 21-4-1995, Costantino ; Cass 10-3-1999, Capriati, Rv., 212998; Cass. 4-11-1999, Cerqua, Rv. 214668 ; Sez. 4, n.118/06 del 28 -10-2005, Rv. 232627; Sez. 4 n.37878 del 6-7-2007, Rv. 237475; Sez. 5, n. 36079 del 5-6-2012 n. 36079, Rv. 253511 ).

[18] Così prosegue la motivazione della sentenza: “… Ed anzi, muovendo da questa impostazione, che ancora il concetto di gravità indiziaria alla ravvisabilità di una rilevante probabilità di reità, la giurisprudenza si è evoluta in direzione di una sempre più pregnante e rigorosa accezione della nozione in disamina, essendosi ritenuto non corretto sottolineare la minore valenza dimostrativa degli indizi cautelari, rispetto alle corrispondenti prove, quasi che ad essi sia da ascriversi il valore di una semiplena probatio. Si è invece preferito accedere ad una prospettiva concettuale che riconnette alla gravità indiziaria la valenza epistemica di "una prova allo stato degli atti", poiché essa è sottoposta alla cognizione del giudice in una fase in cui la formazione del materiale probatorio è in itinere e non è ancora intervenuto il vaglio dibattimentale. In quest'ottica, è soltanto questo profilo dinamico e non la minore consistenza dimostrativa a contraddistinguere i "gravi indizi" rispetto alla prova idonea a giustificare la declaratoria di responsabilità ( Sez. 1 n.19867 del 5-5-2005, Lo Cricchio)…”.

[19] Cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 4 marzo 2014, n. 12032: la S.C. annullò senza rinvio l'ordinanza del tribunale del riesame e quella applicativa della custodia in carcere, la cui motivazione era costituita dalla integrale trascrizione della richiesta del P.M., preceduta da una generica affermazione circa la sussistenza delle condizioni di legge per applicare la misura custodiale, e seguita solo dall'ulteriore locuzione "Ricorrono, sulla base delle considerazioni sopra esposte, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai gravi reati ipotizzati".

29/10/2015
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