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Messa alla prova, le Sezioni Unite sciolgono la questione della impugnazione dell'ordinanza di rigetto predibattimentale

di Federico Piccichè
Avvocato del Foro di Monza e membro del Consiglio Direttivo della Scuola Forense di Monza
Cass. Pen., Sez. Un., sent. 31 marzo 2016 (dep. 29 luglio 2016), n. 33216, Pres. Canzio, Rel. Fidelbo

Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite, risolvendo la questione se l'ordinanza predibattimentale di rigetto della richiesta dell'imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova sia autonomamente ricorribile per cassazione, oppure, sia impugnabile solo congiuntamente alla sentenza ai sensi dell'art. 586 c.p.p., hanno affermato il seguente principio di diritto: “L'ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova non è autonomamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 586 cod. proc. pen., in quanto l'art. 464-quater, comma 7, cod. proc. pen., nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell'imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova”.[1]

L'articolato percorso motivazionale della decisione può essere così sintetizzato.

La Corte premette che, intorno alla questione, si contendono il campo due orientamenti interpretativi.

Secondo il primo indirizzo, l'ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova è autonomamente e immediatamente impugnabile per cassazione, atteso che il testo dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., stabilendo genericamente che il ricorso può essere proposto contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova, prescindendo se di contenuto positivo o negativo, deve essere inteso nel senso che il ricorso è possibile contro qualsiasi provvedimento decisorio, sia esso di tipo ammissivo o reiettivo.[2]

Secondo il contrapposto indirizzo, invece, soltanto l'ordinanza ammissiva della richiesta è direttamente e autonomamente ricorribile per cassazione, al pari di quanto avviene con l'art. 28 del D.P.R. n. 448/88, relativo alla messa alla prova dei minori, mentre l'ordinanza di rigetto è impugnabile, esclusivamente, unitamente alla sentenza in conformità al disposto di cui all'art. 586 c.p.p..[3]

Come già anticipato, la Corte ha concluso condividendo l'ultimo dei due indirizzi sopra richiamati.

Scendendo più nel dettaglio.

Innanzi tutto, la Corte afferma che l'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., consente certamente l'impugnabilità diretta e autonoma per cassazione del provvedimento ammissivo, con cui il Giudice sospende il procedimento per dare corso alla prova, “giacché in tal caso alle parti non sarebbe altrimenti consentito alcun rimedio avverso la decisione assunta”.

Il problema si pone, dunque, soltanto con riferimento al provvedimento di rigetto.

I sostenitori della immediata impugnabilità dell'ordinanza di rigetto fanno leva sul tenore letterale dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., che non distingue tra provvedimenti ammissivi o reiettivi, “sicché anche il rigetto risulterebbe ricorribile in cassazione”.

Sennonché, osserva la Corte, “questo argomento non appare in grado di giustificare in pieno una deroga alla disciplina generale stabilita dall'art. 586, comma 1, cod. proc. pen.”.

Infatti, esaminando l'art. 464-quater, c.p.p., nel suo complesso, si può affermare che il comma 7, menzionando l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova, abbia inteso riferirsi all'ordinanza ammissiva, dal momento che i commi che precedono il comma 7 disciplinano l'oggetto e gli effetti del provvedimento di accoglimento, mentre l'ordinanza reiettiva viene menzionata solamente “nel successivo comma 9, che prevede la possibilità per l'imputato di riproporre l'istanza respinta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, senza alcun riferimento all'impugnazione del provvedimento”.

Pertanto, in forza del comma 7, da leggere in stretta connessione con i commi precedenti, l'unica ordinanza che deve ritenersi ricorribile per cassazione è quella che accoglie la richiesta di messa alla prova, che l'imputato può avere comunque interesse ad impugnare, ad esempio, deducendo il mancato proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p., oppure, il mancato accertamento sulla volontarietà della richiesta, oppure, l'erronea qualificazione giuridica del fatto, con le conseguenti sue ricadute sulla durata del programma, oppure, l'integrazione o la modifica del programma effettuata senza il consenso dell'imputato.

Al fine di dare più forza al proprio ragionamento, la Corte osserva che esso trova conferma, pure, nell'ultimo inciso dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., secondo cui “l'impugnazione non sospende il procedimento”.

Orbene, secondo la Corte, il procedimento, cui si riferisce la norma, non è quello di cognizione in corso, bensì quello avente ad oggetto la messa alla prova.

In questo senso, diventa chiara la previsione della non sospensione del procedimento, in caso di impugnazione del provvedimento ammissivo della richiesta.

Infatti, in difetto di tale espressa previsione, avrebbe funzionato la regola di cui all'art. 588, c.p.p., che impone in via generale la sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato; regola che, se avesse avuto modo di operare, nel nostro caso, avrebbe determinato la sospensione del procedimento di messa alla prova, ovvero, la sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato di accoglimento della richiesta.[4]

Secondo la Corte, poi, un ulteriore riscontro alla tesi, che esclude l'immediata ricorribilità dell'ordinanza di rigetto, si ricava guardando alle fasi precedenti del procedimento.

Invero, sia nel corso delle indagini sia nell'udienza preliminare, il provvedimento di rigetto della richiesta di messa alla prova non è in alcun modo impugnabile, prevedendo la legge soltanto “un meccanismo di recupero della richiesta, attraverso la sua riproposizione nella fase processuale successiva: gli artt. 464-ter, comma 4, e 464-quater, comma 9, consentono all'interessato, che si sia visto rigettare l'istanza nel corso delle indagini oppure nell'udienza preliminare, di rinnovarla prima  dell'apertura del dibattimento”.

Con la conseguenza che se l'istanza viene rigettata “all'ultimo stadio, quello che avviene in apertura del dibattimento”, l'unica via percorribile per l'imputato sarà quella della impugnazione del provvedimento negativo, ma solo unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 586 c.p.p..

In aggiunta a questo, la Corte osserva che tale assetto è in linea “con il sistema vigente in materia di controllo sulle richieste di messa alla prova per i minorenni”, in cui l'art. 28, comma 3, D.P.R. n. 448/88, che poco si discosta sul piano dei contenuti dal comma 7 dell'art. 464-quater, c.p.p., in base ad una giurisprudenza ormai collaudata, viene letto “nel senso di ritenere che l'impugnabilità in via diretta e autonoma è circoscritta al provvedimento ammissivo, mentre l'ordinanza di rigetto rimane impugnabile soltanto con la sentenza, secondo la regola generale fissata dall'art. 586 cod. proc. pen.”.

Ma ancora.

Muovendosi alla ricerca di una soluzione che cerchi di non penalizzare i diritti dell'imputato, la Corte precisa che “proprio il riferimento ai limiti del sindacato di legittimità può rappresentare un'ulteriore ragione per escludere l'immediata impugnabilità dell'ordinanza che rigetta la richiesta di messa alla prova”.

Infatti, se prevalesse la tesi di coloro che sostengono l'autonoma e immediata ricorribilità per cassazione del provvedimento di rigetto, le contestazioni veicolate tramite il ricorso subirebbero i limiti derivanti dall'art. 606, c.p.p., in forza del quale il ricorso può essere proposto soltanto se i motivi riguardano violazioni di legge o vizi di motivazione, escludendo dunque ogni questione attinente al merito delle scelte effettuate dal Giudice.

“In questo caso”, scrive efficacemente la Corte, “il ricorso per cassazione, seppure immediato, determinerebbe una forte dequotazione della difesa dell'imputato, che si troverebbe impedito nel formulare censure riguardanti il merito. Infatti, si consentirebbe un sindacato di sola legittimità nei confronti di un provvedimento, come quello di rigetto, che il giudice assume soprattutto sulla base di valutazioni che attengono al merito”.[5]

In quest'ottica, l'unico strumento che può garantire all'imputato un nuovo esame nel merito è rappresentato dall'appello dell'ordinanza reiettiva unitamente alla sentenza, ai sensi dell'art. 586 c.p.p..

La Corte, dunque, conclude affermando che il ricorso per cassazione in via autonoma e immediata è consentito soltanto contro l'ordinanza di accoglimento della richiesta di messa alla prova.

Il provvedimento di rigetto, invece, non sarà impugnabile fino alla dichiarazione  di apertura del dibattimento, essendo consentito, fino a quel momento, all'imputato di reiterare la richiesta precedentemente respinta; mentre diventerà impugnabile, ma solo con la sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 586 c.p.p., il provvedimento di rigetto emesso nella fase predibattimentale.

Per una maggiore completezza, in chiusura della sentenza, la Corte aggiunge un altro dato di particolare importanza e, cioè, che se l'appello contro l'ordinanza di rigetto viene accolto sarà la Corte d'appello a gestire la prova.[6]

Conseguentemente il Giudice dell'appello, in forza del principio di conservazione degli attie di economia processuale, “si sostituirà a quello di primo grado per sospendere il processo e disporre la messa alla prova dell'imputato”;in linea peraltro, anche in quest'ultima ipotesi, con quanto stabilito dalla giurisprudenza relativa al processo minorile, che ammette il probation in appello. 

Questi, in sintesi, i punti salienti della sentenza.

Resta il dubbio se l'interpretazione data dalla Corte dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., sia effettivamente conforme alle intenzioni del legislatore.[7]

Nella Relazione dell'Ufficio del Massimario, stilata immediatamente dopo l'introduzione del nuovo istituto della messa alla prova, si possono leggere delle parole, che sono risultate poco profetiche: “Il dettato del comma settimo dell'art. 464-quater ... non dovrebbe ingenerare dubbi circa l'autonoma ricorribilità da parte dell'imputato e del suo difensore sia delle ordinanze che ammettono la misura, sia di quelle che rigettano la relativa domanda”.[8]

Al di là di questo, però, la sentenza della Corte è importante soprattutto perché rafforza la tutela dei diritti dell'imputato.

Infatti, mentre nel corso delle indagini o dell'udienza preliminare resta salva la facoltà per l'interessato di riproporre l'istanza di messa alla prova precedentemente respinta, l'impugnabilità dell'ordinanza di rigetto predibattimentale unitamente alla sentenza di primo grado consente all'imputato di censurare il provvedimento di rigetto, entrando a pieno titolo nel merito; cosa che, invece, l'imputato non avrebbe potuto fare, in ragione delle note strettoie fissate dall'art. 606, c.p.p., se si fosse imposta la tesi della immediata e autonoma ricorribilità per cassazione dell'ordinanza reiettiva.[9]

 


[2] I sostenitori di questo indirizzo ritengono che la loro tesi sia confermata dal fatto che “la sospensione del procedimento con messa alla prova presuppone lo svolgimento di un iter procedimentale alternativo alla celebrazione del giudizio, sicché detta alternatività resta salvaguardata proprio dalla autonoma impugnabilità dell'ordinanza di rigetto”; inoltre, essi affermano che la loro interpretazione risulta riscontrata anche dall'inciso contenuto nell'ultima parte dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., che prevede che “l'impugnazione non sospende il procedimento”, avendo taleinciso un senso soltanto se lo si riferisce “all'ipotesi di ricorso avverso il provvedimento reiettivo, atteso che nel caso di ordinanza di accoglimento il processo sarebbe automaticamente sospeso per la messa alla prova dell'imputato”.

[3] In particolare, i sostenitori di questo indirizzo ritengono non rilevante che l'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., menzioni genericamente l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova, “atteso che tale formula deve essere letta, al pari di quanto avviene con l'art. 28 D.P.R. n. 448 del 1988, relativo alla messa alla prova dei minori, alla luce della complessiva concatenazione dei commi precedenti dell'articolo citato, i quali disciplinano l'oggetto e gli effetti del provvedimento di accoglimento, mentre quello di reiezione viene menzionato solo nel successivo comma 9, all'esclusivo fine di prevedere la facoltà di riproposizione della richiesta”. I sostenitori di questo indirizzo, poi, affermano che, con l'inciso contenuto nell'ultima parte dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., secondo cui l'impugnazione non sospende il procedimento, il legislatore abbia inteso riferirsi al sub-procedimento di messa alla prova, a seguito della emissione della ordinanza di accoglimento della relativa istanza e non al procedimento penale in corso. Da ultimo, essi osservano che “l'autonoma impugnazione del provvedimento di rigetto senza la contestuale previsione del potere del giudice di sospendere il procedimento in attesa della decisione sul ricorso, apparirebbe scelta irragionevole”, anche alla luce degli effetti dirompenti che potrebbero verificarsi “nel caso in cui la Cassazione dovesse annullare con rinvio l'ordinanza negativa, provocando situazioni paradossali sul processo, che nel frattempo potrebbe essersi concluso con la condanna dell'imputato, anche al risarcimento dei danni in favore della persona offesa costituita parte civile”.

[4] "Nel caso in esame”, scrivono le Sezioni Unite, “il provvedimento impugnato è l'ordinanza di ammissione alla prova e l'art. 464-quater, comma 7, prevede, appunto, una deroga alla sospensione, consentendo che il relativo 'procedimento' vada avanti nonostante l'impugnazione”.

[5] Già nella Rel. n. III/07/2014 dell'Ufficio del Massimario della Cassazione, intitolata Le nuove disposizioni in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, PICCIRILLO aveva segnalato il problema, evidenziando che “la ricorribilità (solo) per cassazione delle ordinanze di rigetto della misura precluderebbe allora impugnazioni fondate sul merito delle scelte compiute dal giudice del primo grado nell'esercizio della sua discrezionalità, non potendo la Corte di cassazione valutare, per esempio, il giudizio prognostico negativo o la valutazione di inidoneità del programma di trattamento che risultino adeguatamente motivati”.

[6] Secondo il massimo Consesso di legittimità, infatti, “l'accoglimento dell'appello contro l'ordinanza che abbia respinto la richiesta di messa alla prova, proposto, ai sensi dell'art. 586 cod. proc. pen., unitamente alla sentenza di condanna di primo grado, non rientra in alcuna delle ipotesi di annullamento indicate dall'art. 604, ipotesi tassative che vanno considerate eccezionali e non estensibili a evenienze diverse da quelle contemplate espressamente dalla legge”.

[7] Le Sezioni Unite hanno comunque riconosciuto “una oggettiva ambiguità nei contenuti della disposizione in esame, che ha dato luogo a letture e applicazioni differenti”.

[8] V. la nota n. 5.

[9] Per completezza, occorre precisare che la Corte ha escluso che “possa esservi una sorta di cumulabilità tra ricorso immediato per cassazione e appello dell'ordinanza di rigetto unitamente alla sentenza, dal momento che un rimedio esclude l'altro.”

 

12/09/2016
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