Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

La giurisprudenza del Tribunale di Roma dopo il revirement della Corte di cassazione sull’assegno divorzile

di Franca Mangano
presidente di sezione del Tribunale di Roma
Nell’ultimo anno i giudici della I Sezione civile del Tribunale di Roma si sono confrontati con la sentenza n. 11504/2017 valorizzando, per quanto possibile, gli aspetti di continuità con la precedente giurisprudenza, in vista di una interpretazione dell’istituto dell’assegno divorzile adeguata alla mutata fisionomia del matrimonio ma anche coerente con i principi di solidarietà garantiti dalla Costituzione, nell’auspicio che le Sezioni unite prestino attenzione allo sforzo ricostruttivo dei giudici di merito.

1. A distanza di un anno dalla sentenza della I sezione civile della Corte di cassazione n. 11504/2017, è ormai prossima la decisione delle Sezioni unite sul diritto dell’ex coniuge a percepire l’assegno divorzile, previsto dall’art. 5, comma 6 della legge n. 898/1970. L’intervento delle Sezioni unite, auspicato dalla generalità dei commentatori e richiesto dalla stessa Procura generale presso la Corte di cassazione [1], è stato provocato dal Presidente aggiunto della Corte, ai sensi dell’art. 374, comma 2, cpc, in considerazione della «particolare importanza» della questione, dopo che la I sezione civile aveva rifiutato di rimetterla alle Sezioni unite ai sensi del comma 3 dello stesso art. 374 cpc.

Le aspettative che si concentrano sulla imminente decisione delle Sezioni unite sono dunque pressanti e richiamano esigenze di chiarezza e di uniformità, generalmente connesse alla funzione nomofilattica.

I giudici di merito, da un momento all’altro, si sono visti privati del parametro costituito dal «tenore di vita», con il quale, per quasi trent’anni, avevano dato un contenuto concreto al criterio della mancata disponibilità di redditi adeguati (o impossibilità oggettiva di procurarseli) da parte dell’ex coniuge richiedente. Trascorso un intero anno, durante il quale la giurisprudenza di merito si è esercitata ad applicare (o a non applicare) il nuovo criterio dell’«autosufficienza economica» (in sé indeterminato e quindi bisognoso dell’integrazione di un parametro più concreto), si attende ora che le Sezioni unite forniscano un canone di giudizio idoneo a regolare gli effetti patrimoniali della fine delle unioni matrimoniali.

Ma al di là di questa esigenza, direttamente connessa alla soluzione del quesito rimesso alle Sezioni unite, va rimarcata una aspettativa di ordine più generale, attinente alla possibilità di riallacciare il dialogo con la giurisprudenza di merito, che la sentenza n. 11504/17 sembrerebbe avere bruscamente interrotto, misconoscendo in gran parte l’evoluzione che i tribunali, in consonanza con le pronunce di legittimità, hanno assicurato alla definizione dei presupposti dell’assegno divorzile, in perfetta sintonia con il cambiamento vissuto dalla società civile e dalle famiglie, negli ultimi venti anni. Del resto, anche la circostanza che la sentenza della I sezione civile della Cassazione sia stata adottata ai sensi dell’art. 384, comma 4, cpc, limitandosi a «correggere la motivazione» dopo un doppio grado di merito conforme, costituisce un indice evidente di una sintonia reale, che la Cassazione ha preferito mettere in secondo piano, a fronte della volontà di assumere una decisione dalla forte connotazione ideologica.

2. La giurisprudenza di merito, dopo le sentenze gemelle delle Sezioni unite del 1990, ha fornito un contributo determinante alla creazione di quel diritto vivente di cui la Corte Costituzionale, sollecitata a verificarne la conformità agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione [2], ha colto il contenuto attuale, riferito ad un orientamento consolidato, idoneo ad escludere qualunque vizio di incostituzionalità dell’interpretazione corrente [3].

Gran parte dei principi contenuti nella sentenza n. 11504/2017, infatti, sono presenti da tempo nelle sentenze dei giudici di merito e hanno concorso a modificare la fisionomia dell’assegno divorzile. Che nelle fattispecie concrete nelle quali viene riconosciuto, è molto lontano dal costituire una «illegittima locupletazione» fondata sulla mera preesistenza di un rapporto matrimoniale ormai estinto: ciò si ricava dalla considerazione delle pronunce dei tribunali che, nel complesso, accordano l’assegno divorzile in meno del 15% dei casi di divorzio e per importi mediamente non elevati, orientamento del tutto riscontrato nella giurisprudenza del Tribunale di Roma.

La mutazione dell’istituto del matrimonio dopo l’introduzione del divorzio e, successivamente, con il moltiplicarsi delle famiglie non necessariamente costituite sul matrimonio, è un presupposto sociologico e normativo del diritto vivente formatosi dal 1990 in poi. «…Il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione, in quanto dissolubile», declinato dalla sentenza n. 11504/17 come presupposto fondante della inversione di giurisprudenza, costituisce una acquisizione consolidata dei giudici di merito, i quali, nella regolazione delle fattispecie concrete, hanno concorso, prima ancora che aderito, alla formulazione del principio secondo cui «la formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale da parte dell’altro coniuge, il quale, quindi, non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo» [4].

Altrettanto acquisita la valorizzazione del principio di autoresponsabilità, nella misura in cui esso si concretizza nei criteri di valutazione della capacità reddituale delle parti, che, dal punto di vista dell’obbligato non può comprendere e considerare quegli incrementi reddituali del tutto straordinari rispetto alle prevedibili evoluzioni patrimoniali derivanti dalla sua professionalità e dal suo percorso personale [5], mentre, dal punto di vista della parte creditrice, assegna alla stessa l’onere di provare la mancanza di disponibilità reddituali e della capacità di procurarseli, con l’attribuzione di un adempimento probatorio, parimenti in linea con i principi esposti dalla Corte come fondamento del nuovo indirizzo e certamente rispondenti al diverso ruolo sociale della componente femminile della coppia matrimoniale.

Dunque, rispetto allo stato della giurisprudenza in materia di assegno divorzile, il criterio del tenore di vita quale parametro della misura di adeguatezza dei redditi del coniuge beneficiario piuttosto che «collidere radicalmente con la natura stessa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici, esponendo ad una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale», in realtà, ha dimostrato un notevole grado di flessibilità e di versatilità nel traghettare l’istituto dell’assegno divorzile, dall’epoca del matrimonio divenuto dissolubile dopo essere stato per lungo tempo fonte dell’unica e riconosciuta comunità familiare indissolubile, all’epoca del matrimonio ab origine dissolubile, nell’ambito di un panorama variegato di differenti esempi di comunità familiari.

I giudici di merito, tacciati dalla I sezione civile della Corte di cassazione di operare una «indebita commistione tra le due fasi del giudizio e tra i relativi accertamenti», partendo dal parametro del tenore di vita e utilizzando i criteri di ponderata moderazione dell’art. 5 comma 6, come peraltro avallato dalla stessa Corte costituzionale, hanno in realtà compiuto un più che ragionevole adeguamento del dettato normativo alla mutata fisionomia sociologica dell’istituto.

3. È difficile negare che la sentenza n. 11504/2017, nella sua dichiarata volontà di sovvertire il precedente orientamento per aprire ad una interpretazione rinnovata dei presupposti dell’assegno divorzile, non a torto definita come un ritorno al passato [6], ha interrotto questo dialogo. Tanto netta e radicale è stata l’affermazione secondo cui doveva essere indicato un parametro diverso da quello sin qui utilizzato.

I giudici del Tribunale di Roma, nel corso dell’ultimo anno, si sono fatti carico di mantenere aperto ogni spiraglio di dialogo, che potesse ricavarsi dalla decisione della I sezione civile della Corte di cassazione.

E ciò sulla base di due ragioni di fondo.

La prima ragione è che, come già osservato, i presupposti sociologici della pronuncia della Cassazione costituiscono premesse altrettanto acquisite delle pronunce di merito. Da tempo il Tribunale di Roma ha verificato la tangibile riduzione dei casi di attribuzione di un assegno divorzile, così come ha riscontrato il fenomeno della contrazione delle domande di assegno di divorzio, indicatore dei mutati equilibri di genere all’interno della coppia matrimoniale o conseguenza della più breve durata dei matrimoni.

La seconda ragione, di ordine sistemico è che alla sentenza di una sezione semplice della Corte di cassazione, per quanto costituisca la fonte di un vincolo esclusivamente endoprocessuale, culminante nell’eventuale rinvio al giudice di merito, non può comunque non riconoscersi una funzione nomofilattica concorrente con quella delle Sezioni unite, in un disegno fisiologico di formazione del diritto vivente.

4. Del resto, questo approccio metodologico è stato incoraggiato dalla constatazione che la sentenza n. 11504/2017, a fronte della proclamata e radicale scelta di abbandonare i criteri interpretativi sin qui applicati, indica un parametro non agevolmente delimitabile, lasciando irrisolte alcune fondamentali questioni interpretative.

La prima e fondamentale opzione interpretativa riguarda l’alternativa tra una nozione oggettiva/astratta del criterio di indipendenza economica e una nozione soggettiva/concreta. 

I giudici della “Sezione famiglia” del Tribunale di Roma hanno condiviso l’interpretazione, secondo cui il criterio dell’indipendenza economica può essere utilizzato, soltanto escludendone una connotazione meramente oggettiva e astratta. Non soltanto nella sua definizione uniforme e generalizzata [7], ma anche nella sua eventuale tabellarizzazione per aree geografiche o fasce sociali, cui potrebbe alludere il riferimento contenuto nella sentenza della Cassazione «al costo della vita nel luogo di residenza», quale indice di valutazione della componente patrimoniale.

La considerazione del richiedente come singolo, come pretende la sentenza n. 11504/17, non può essere astratta e statica, bensì concreta e dinamica, poiché la richiesta non è avanzata nei confronti di un ente generale e terzo, come potrebbe essere lo Stato, tenuto ad un dovere di assistenza pubblica, bensì nei confronti dell’altro soggetto del rapporto coniugale, con il quale è stato condiviso una parte del percorso di vita, che ha condotto il richiedente ad avere i requisiti (età, professionalità, etc.) valutati dal legislatore. Requisiti a cui il soggetto debitore non è estraneo, avendo concorso a determinarli, vuoi con attribuzioni patrimoniali nel corso del matrimonio vuoi con la condivisione di condizioni familiari facilitanti il proprio percorso personale.

Del resto, anche la Cassazione richiama requisiti personali (età, sesso, etc.), in relazione al criterio di più delicata attuazione da cui dedurre la sussistenza della indipendenza economica, ossia la capacità e le possibilità effettive di lavoro personale.

In realtà, l’interpretazione soggettiva e personalizzata del criterio di autosufficienza economica, costituendo una opzione di fondo, accomuna i quattro indici di fatto individuati dalla sentenza n. 11504/2017, quali criteri per accertare la sussistenza dell’indipendenza economica del coniuge richiedente (e dei quali deve essere provata la sussistenza, laddove la presenza di uno solo di essi non è sufficiente, se non in quanto accertata in misura del tutto eccezionale). Non solo, dunque, la capacità e le possibilità effettive di lavoro, ancorate a criteri personali per espressa indicazione del giudice di legittimità, ma anche gli altri indici devono essere oggetto di adeguata personalizzazione e non valutati secondo una scala meramente quantitativa. È di tutta evidenza che un immobile deve avere un diverso peso nella valutazione della sussistenza del diritto, a seconda che provenga dalla famiglia di origine del richiedente ovvero sia stato oggetto di intestazione da parte dell’un coniuge a favore dell’altro nel corso del matrimonio; analogamente per la disponibilità di una sistemazione abitativa, che deve considerare non solo il titolo del godimento, ma anche il luogo e le caratteristiche dell’immobile, in relazione alle esigenze personali del richiedente (eventuale cambio di residenza per scelta o necessità; eventuali disabilità dell’ex coniuge o dei figli che impongano determinate caratteristiche architettoniche, etc.).

5. Sulla base di tali premesse, nel corso dell’ultimo anno la selezione delle fattispecie concrete ha condotto il Tribunale di Roma a decisioni del tutto sovrapponibili a quelle adottate prima del maggio 2017.

Il criterio soggettivo e concreto del principio di autosufficienza economica del coniuge richiedente ha portato all’accoglimento della domanda della ex coniuge, seppur titolare di un reddito da lavoro di circa € 2.500,00 al mese, in considerazione, non tanto del disallineamento con il reddito dell’altro coniuge, dieci volte superiore, quanto del fatto che il reddito personale deriva da una condizione lavorativa di gran lunga deteriore rispetto a quella che la moglie ricopriva prima di sposarsi e che aveva abbandonato per seguire il coniuge all’estero, agevolando la sua ascesa professionale a tutto discapito della propria. Scelta di vita, che, una volta rientrata in Italia, la moglie aveva dovuto scontare, in termini di ruolo e di sviluppo futuro, sia economico sia professionale [8].

Analogamente, il diritto ad ottenere un assegno divorzile da parte di un coniuge lavoratore dipendente con reddito medio (€ 2.500,00/3.000,00) è stato accordato alla ex coniuge, che mai aveva lavorato nel corso del matrimonio, di durata ventennale, per dedicarsi all’accudimento di due figli con disabilità, per quanto all’atto del divorzio ella, tuttora convivente con i due figli titolari di pensione di invalidità, avesse la disponibilità di un somma di circa € 100.000,00 pervenutale in eredità [9].

D’altra parte, nella quantificazione del diritto della moglie cinquantacinquenne, casalinga, dedita all’accudimento dei figli e all’agevolazione del progresso professionale del marito, e titolare di immobili trasferitile dal marito nel corso del lungo matrimonio, la considerazione dei criteri dell’art. 5, comma 6, ha condotto alla quantificazione di un assegno mensile di € 6.500,00, allo scopo di assicurare alla moglie una condizione di autosufficienza congruente alle sue qualità personali e sociali, nella accertata impossibilità di procurarsi redditi personali adeguati [10].

Infine, nel matrimonio durato sei anni e coronato dalla nascita di due figli, la moglie professionista con incarichi saltuari nel corso del matrimonio e proprietaria della casa familiare, si è vista negare l’assegno divorzile (pur essendo stata titolare di un assegno di mantenimento durante la separazione, da parte del coniuge percettore di un reddito di € 4.000,00 mensili) sul presupposto che il ricavo della vendita della casa familiare di circa € 500.000,00, con il trasferimento assieme ai due figli in altra città più piccola, nella casa di residenza della di lei madre, benché avesse notevolmente ridotto le sue opportunità lavorative e professionali sarebbe stata frutto di una scelta indicativa di una concreta indipendenza economica, oltre a gravare l’altro genitore di maggiori spese per frequentare i figli [11].

In tutti i casi ricordati e in molti altri ancora, il concetto di indipendenza economica, inteso in una accezione soggettiva e concreta ha manifestato sufficiente flessibilità. Bilanciando la mutata fisionomia del matrimonio, il rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza sostanziale e del conforme vigente sistema normativo di solidarietà post coniugale (art. 9, comma 3, e art. 12-bis della legge n. 898/70 e successive modifiche), con la concreta considerazione della condizione femminile, tuttora generalmente coincidente con la parte economicamente più debole e maggiormente esposta alla crisi del mercato del lavoro, che conosce una notoria accentuazione di genere del fenomeno della disoccupazione.

6. Soltanto in tal modo i principi indicati dal giudice di legittimità, possono vivere nella giurisprudenza di merito senza sprecarne il percorso compiuto e, a tale precipuo fine, la giurisprudenza del Tribunale di Roma ha inteso applicare le indicazioni derivanti dalla I sezione civile della Cassazione, valorizzandone gli aspetti di continuità, attraverso il metodo (temporaneo e sperimentale) della cd. doppia motivazione.

È innegabile che tale linea interpretativa ha fortemente ridimensionato il valore, percepito come rivoluzionario, della pronuncia della Cassazione, oggetto di una clamorosa amplificazione mediatica non pienamente corrispondente ai suoi reali contenuti, destinati, in realtà, ad incidere su fattispecie del tutto marginali, riguardanti ingentissimi patrimoni, che la pur ricca casistica del Tribunale di Roma conosce nell’ordine di poche unità all’anno, per lo più definite in via transattiva.

L’auspicio è che le Sezioni unite prestino attenzione anche a questo percorso; che le decisioni dei giudici di merito non vengano liquidate, con una sommaria censura del metodo comparativo, a cui i tribunali e le Corti, secondo la sentenza n. 11504/2017, si affiderebbero in via esclusiva, per decidere l’attribuzione dell’assegno divorzile.

In tal modo misconoscendo tutte le buone prassi istruttorie dei giudizi di divorzio e di separazione, fondate sulla previsione dell’art. 5, comma 9, legge n. 898/70 e successive modifiche, e sulla più recente formulazione dell’art. 706, comma 3, cpc. Prima fra tutte la cd. discovery anticipata, imposta con il decreto di fissazione dell’udienza presidenziale utilizzato dal Tribunale di Roma, ma adottato anche da molti altri tribunali, con il quale si richiede alle parti di depositare, prima dell’udienza presidenziale, oltre ai documenti fiscali, una autodichiarazione analiticamente riferita alle proprie condizioni economico-patrimoniali; prassi cui consegue la valutazione della condotta delle parti ai sensi dell’art. 116 cpc in relazione all’inadempimento del dovere di lealtà processuale, che nei giudizi separativi ha una connotazione più stringente in applicazione degli artt. 29 e 30 Cost., nei quali è declinato il più generale principio di solidarietà dell’art. 2 Cost.. O ancora, il particolare bilanciamento del diritto alla privacy del coniuge con l’esigenza di accertamento dei redditi e del patrimonio «personale e comune», avallata anche dalla recente formulazione dell’art. 492-bis cpc e 155-sexies disp. att. cpc.

7. Prassi istruttorie che hanno orientato le decisioni dei giudici di merito e hanno rinnovato il contenuto sostanziale di molte formule di giudizio, ormai ripetute tralaticiamente, e che si auspica che le Sezioni unite vogliano fare oggetto di un complessivo ripensamento, in funzione del loro superamento.

In primo luogo, il “dogma” della distinzione tra i due momenti di valutazione dell’an debeatur e del quantum debeatur, che la sentenza della I sezione civile della Cassazione pretende di rivitalizzare, nella prospettiva individualistica dei principi di auto-responsabilità.

Posizione interpretativa di difficile tenuta logica e pratica. Infatti, la struttura bifasica della valutazione si giustifica a condizione che, per la determinazione dell’an, si applichi un criterio relazionale fondato sul tenore di vita della passata comunione familiare, suscettibile di correttivi al ribasso (sino alla possibile eliminazione del diritto) in considerazione di criteri indicativi della posizione individuale e del ruolo svolto dal singolo coniuge nel matrimonio. Nella riproposta interpretazione, invece, la fase di valutazione dell’an, ancorata a valutazioni individualistiche funge da filtro selettivo, con cui mal si coordina l’applicazione successiva dei criteri dell’art. 5, comma 6.

Tale incongruenza logica si conferma con particolare evidenza nella sua applicazione a fattispecie concrete, che ne evidenziano i prevedibili effetti distorsivi. Nel matrimonio ventennale nel corso del quale il tenore di vita era assicurato esclusivamente dal reddito da lavoro dipendente di circa € 6.000,00 mensili del marito, mentre la moglie, sprovvista di una qualificazione professionale specifica, si era solo occupata della casa e del figlio, la separazione aveva assicurato alla moglie, oltre all’assegnazione della casa coniugale, un reddito mensile di € 1.200,00, dei quali € 600,00 per lei e altrettanti per il figlio con l’integrale pagamento delle spese straordinarie. La stessa moglie che, pur accettando una occupazione (badante e domestica part-time) socialmente distante dal contesto nel quale era vissuta come coniuge di un funzionario dello Stato, si assicura durante la separazione un reddito mensile di circa € 1.000,00, per garantire a sé e al figlio un tenore di vita meno distante dal precedente, con il sistema della doppia fase di valutazione, secondo la più recente interpretazione, sarebbe pregiudicata rispetto alla coniuge «inerte», rimasta priva di reddito. Soluzione tanto più iniqua se si pensa che la negazione di un assegno divorzile, anche modesto, esclude la coniuge dalla partecipazione al Tfr del marito lavoratore dipendente o, eventualmente, alla pensione di reversibilità.

In secondo luogo, va ripensata la ripetuta natura esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, che la pratica dei giudizi dimostra essere ormai il simulacro di una funzione nella quale prevalgono, in realtà, i profili compensativi degli effetti di un percorso di vita comune, che ha condizionato le vicende individuali dei due protagonisti.

Del resto, la funzione compensativa dell’assegno divorzile è molto più consona ad arginare il paventato effetto di ultrattività del matrimonio, definitivamente concluso sul piano personale e affettivo, di quanto non sia la funzione assistenziale.

La conclusione di una vicenda matrimoniale reca con sé l’esigenza di “fare i conti”, comparando i benefici acquisiti con i contributi personali di ciascuno, in relazione al dato di primario rilievo costituto dalla durata del matrimonio.

8. È ben vero che lo strumento di cui dispone il giudice del divorzio, ossia l’obbligo di erogazione periodica e a tempo indeterminato di somme di danaro, mal si concilia con la finalità compensativa ormai prevalente.

Soltanto il legislatore può apprestare soluzioni più adeguate alle mutate esigenze, disegnando un sistema complessivo di disciplina degli effetti patrimoniali del divorzio.

In attesa di un intervento riformatore, tuttavia, esistono spazi per una ricostruzione aggiornata dell’istituto dell’assegno divorzile, che spetta alla giurisprudenza delineare.

La giurisprudenza di merito, attraverso la selezione delle fattispecie concrete ritenute meritevoli di tutela; la giurisprudenza di legittimità, attraverso l’elaborazione di principi di diritto uniformi, che costituiscano precedenti autorevoli e convincenti. L’una e l’altra in un percorso comune, pur nella diversità di ruoli, per la più equilibrata tutela delle diverse domande di giustizia.



[1] L’istanza di rimessione alle Sezioni unite nel procedimento R.G. n. 8917/2016 (P.G. Sorrentino) è stata respinta nella sentenza del 22 giugno 2017 n. 15481 in Foro it., 2017, I, 2259.

[2] Trib. Firenze, ord. n. 239 del 22 maggio 2013 (G.U. n. 46, I, 2013).

[3] Corte cost., 11 febbraio 2015 n. 11 in Foro it., 2015, I, 1136.

[4] Cass, sez. I, 3 aprile 2015 n. 6855 in Giur.it, 2015, 2078.

[5] Cass.,sez. I, 5 marzo 2014 n. 5132; Cass., Sez. I , 16 ottobre 2013, n. 23442.

[6] G. Luccioli, Il nuovo che sa di antico, in Giudice Donna, n. 3/2017; G. Casaburi, Tenore di vita e assegno divorzile (e di separazione): c’è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d’antico, in Foro it., 2017, I, 1895.

[7] Trib. Milano, ord. 22 maggio 2017, in Dir. Fam., 2017, II, 863.

[8] Trib. Roma, 11 settembre 2017 n. 16887, annotata da C. Ravera, Assegno divorzile: per valutare l’indipendenza economica si deve tenere conto della peculiarità del caso concretohttp://ilfamiliarista.it/articoli/giurisprudenza-commentata/assegno-divorzile-valutare-lindipendenza-economica-si-deve-tenere.

[9] Trib. Roma, 26 settembre 2017, in Giur. it., 2017, 2627, annotata da A. Di Majo, Passato e presente nell’assegno divorzile.

[10] Trib. Roma, 2 ottobre 2017, n. 18520 in Il familiarista.it, nota redazionale, Ex moglie dedita alla famiglia e al sostegno della carriera del marito: riconosciuto l’assegno divorzilehttp://ilfamiliarista.it/articoli/news/ex-moglie-dedita-alla-famiglia-e-al-sostegno-della-carriera-del-marito-riconosciuto-l.

[11] Trib. Roma, 23 giugno 2017 in www.ilfamiliarista.it.

10/05/2018
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