Magistratura democratica
Europa

L’Europa come spazio investigativo comune:
verso il procuratore europeo

di Andrea Venegoni
Magistrato distaccato presso OLAF
Problematiche e prospettive dalle esperienze amministrative
alla creazione (prossima) del Pubblico Ministero Europeo
L’Europa come spazio investigativo comune:<br>verso il procuratore europeo

Introduzione

Non dovrebbe mancare ormai molto all’uscita della proposta di regolamento della Commissione Europea per istituire l’Ufficio del Procuratore Europeo. Una proposta che, come si è già avuto modo di dire in precedenti occasioni, conterrà degli elementi di notevole interesse sia per quanto attiene alla struttura, che alla competenzaed ai poteri dell’ufficio. La competenza, in particolare, sarà, almeno nell’immediato, verosimilmente limitata ai reati che attentano agli interessi finanziari della Unione Europea, secondo quanto previsto dall’art. 86 comma 1 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea, e quindi, tipicamente, la frode, la corruzione e il riciclaggio, sebbene la Commissione Europea abbia di recente presentato una proposta di direttiva tendente, tra l’altro, ad ampliare il novero di tali reati alla turbata regolarità delle gare d’appalto coinvolgenti fondi comunitari e al peculatoNell’immaginario collettivo, ma si spera anche in concreto, il nuovo ufficio evoca, a partire dal nome, unadimensione ampia, appunto “europea”, che, nelle riflessioni che si stanno compiendo per definire il testo legislativo, potrebbe manifestarsi sia per quanto attiene alla struttura dell’ufficio, sia ai suoi poteri investigativi, soprattutto nelle indagini di dimensione transnazionale.

Quanto alla struttura, infatti, sarebbe importante che l’ufficio avesse una dimensione “europea” nel senso di un ufficio in cui i procuratori che ne fanno parte appartengano comunque ad una struttura comunitaria, indipendentemente dalle varie soluzioni pratiche ipotizzabili e ipotizzate in studi più o meno recenti, quali un modello “centralizzato” o “decentrato”, “a rete” o collegiale e che comunque esprima una relazione con Eurojust, come esplicitamente indicato dall’art. 86 TFUE.

Quanto ai sistemi di acquisizione e circolazione della prova, i meccanismi di assistenza giudiziaria e mutuo riconoscimento, sui quali si fondano attualmente le indagini che coinvolgono più Stati,nell’esperienza comune non sempre producono risultati soddisfacenti. In Italia, poi, dove le indagini transnazionali si basano quasi esclusivamente sul sistema di assistenza giudiziaria, avendo il nostro Paese adottato pochissimi strumenti legislativi europei basati sul principio del mutuo riconoscimentoe facendosi limitato ricorso ad altri strumenti normativi o pratici per favorire la cooperazionetale insoddisfazione è probabilmente ancora più accentuata, dipendendo il successo di una rogatoria internazionale da molti fattori che vanno dalla conoscenza dello strumento, allaidentificazione dell’autorità dello Stato estero al quale inviare la domanda, dalle questioni linguistiche alla maggiore o minore disponibilità dello Stato richiesto a fornire l’assistenza, ai tempi di risposta. Non vi è quindi da sorprendersi se, come già ricordato in altri scritti, da un sondaggio della Commissione Europea condotto su procuratori dei vari Stati membri che si occupano di casi transnazionali di frodi comunitarie, è risultato che il 60% degli intervistati percepisce la transnazionalità di una indagine come un fattore problematico, che spesso demotiva dall’allargare gli orizzonti della stessa, piuttosto che come una opportunità.

Se, quindi, il testo della proposta per istituire l’ufficio del pmeuropeo, e più ancora il regolamento stesso nel testo finale che uscirà dal completamento dell’iter legislativo, sarà veramente ingrado di portare elementi di novità in questo senso, lo stesso avrà certamente una portata epocale e rappresenterà un passo molto significativo verso il principio della creazione di un autentico spazio comune europeo di giustizia.

Oltre tutto, l’idea che il territorio dell’Unione Europea rappresenti uno spazio comune ai fini di attività investigative non è nuova, e non solo perché questo concetto è stato oggetto di molti studi accademici e di ricerca negli ultimi quindici anni, ma ancheperché ve ne sono già attuazioni praticheEsistono, infatti, esempiconcreti, e già da vari anni, della possibilità di condurre indagini senza limiti territoriali all’interno della Unione. La stessa può essere considerata, quindi, già da tempo uno spazio comune ai fini di determinate tipologie di attività investigativa. Certo, non si tratta di indagini penali, e in questo senso la novità del Procuratore Europeo acquisterebbe un significato ben più eclatante, ma si tratta pur sempre di vera e propria attività investigativa, che può comportare, direttamente o indirettamente, l’applicazione di sanzioni anche molto invasive, e rappresenta un interessante precedente per quella, possibile, del nuovo ufficio inquirente europeo.

Si tratta, in particolare, dell’attività nel settore del contrasto alle frodi comunitarie sul piano amministrativo per l’applicazione delle regole di concorrenza. Un’analisi di tali sistemi può quindirivelarsi interessante e di auspicio per il nuovo Ufficio, fermo restando che, esercitando il Pm europeo indagini di carattere penale, ipotizzare il pieno accostamento ai sistemi appena citati è difficile per la sensibilità della materia penale rispetto alle altre discipline, e quindi la normativa sul Pm europeo rappresenterà una storia a sé.

1. Le indagini per la tutela degli interessi finanziari dell'Unione

Da quando l’allora Comunità Europea si dotò di un sistema di finanziamento attraverso il sistema delle c.d. “risorse proprie”, e quindi fin dagli anni 70, e incrementò il suo impegno finanziario su vari fronti, al proprio interno ma anche al proprio esterno, per favorire una maggiore coesione sociale, un sostegno ad una politica agricola comune, un supporto a partner extraeuropei con i quali esistevano intensi rapporti commerciali o a paesi che diventavano via via candidati ad entrare nella Comunità, la necessità di tutela delle proprie finanze da frodi, appropriazioni, irregolarità gestionali divenne sempre più pressante. Per questo, alla fine degli anni ’80, la Commissione Europea istituì al proprio interno un nucleo investigativo, denominato UCLAF (Unitè decoordination pour la lutte anti-fraude), per condurre indaginiamministrative, e si dotò di strumenti legislativi, ed in particolareregolamenti, in quanto tali applicabili direttamente in tutti gli stati membri, per permettere ai propri organismi di avere a disposizione mezzi investigativi, più o meno invasivi, ma comunque di un certorilievo. Si creò, così, un primo quadro normativo in base al quale gli uffici comunitari avevano, a certe condizioni, il potere di condurre accertamenti amministrativi sull’uso dei fondi e sulla corretta riscossione delle entrate in tutto il territorio della Unione, di fatto senza limitazioni territoriali.  

Con la creazione della Unione Europea a seguito del Trattato di Maastricht, tale esigenza divenne ancora più pregnante. Anche a seguito di alcuni eventi che dimostrarono come il sistema esistente non fosse pienamente efficiente, nel 1999 si decise di fare un salto di qualità nella lotta antifrode, istituendo un apposito ufficio abilitato a condurre vere e proprie indagini amministrative nel campo della lotta alle irregolarità e alle frodi. Si trattavadell’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (OLAF). A differenza dell’UCLAF, che era una mera unità d’inchiesta incardinata allinterno di un ufficio della Commissione, il Segretariato Generale, lOLAF è invece stato costituito come servizio autonomo, di carattere generale, con un proprio Direttore Generale come tutte le altre Direzioni Generali e Servizi della Commissione, e con uno specifico statuto di indipendenza nella conduzione delle indagini.

In questo modo, l’Unione ha cercato di regolare l’aspetto amministrativo della lotta alle condotte lesive dei propri interessi finanziari; trattandosi di un settore di interesse proprio per la Comunità (e poi lUnione)lo stesso apparteneva a quell’area di azione dell’Unione definito come il “primo pilastro”, e gli atti che lo disciplinavano erano atti legislativi aventi prevalentemente forma di regolamenti, direttive e decisioni.

Peraltro, è chiaro a tutti che gli atti lesivi degli interessi finanziari della Comunità potevano e possono anche rappresentare degli illeciti penali, e non solo amministrativi. In tal caso, in mancanza di una riconosciuta base legale per la Comunità a legiferare in materia penale, tale competenza  spettava principalmente agli Stati Membri. Tuttavia con il Trattato di Maastricht (ma anche prima a seguito soprattutto dell’attività interpretativa della Corte di Giustizia) una certa competenza per la Unione a emanarenormative anche nel settore penale iniziò ad affermarsi, consacrata nel Trattato di Maastricht con la creazione di quel specifico settore di azione dell’Unione denominato “terzo pilastro” e riguardante proprio la cooperazione giudiziaria, in particolare quella penale. In tale ambito l’Unione legiferava con atti e procedure differenti da quelle degli atti di primo pilastro, ed in particolare con atti quali le convenzioni e poi le decisioni quadro, dove la procedura legislativa prevedeva sempre un ruolo significativo degli Stati Membri . Anche nel settore della tutela delle proprie finanze, quindi, l’Unione non si limitò più ad emanare normativa per il contrasto sul piano amministrativo, ma iniziò a legiferare per armonizzare la normativa penale sostanziale degli Stati e facilitarne la cooperazione. Atto fondamentale in tal senso è una convenzione del 1995, con annessi protocolli del 1996 e 1997, denominata proprio Convenzione per la tutela degli interessifinanziari della Unione Europea.

Tralasciando in questo scritto tutto il settore della normativa penale della lotta antifrode ed anche i suoi sviluppi alla luce del più recente trattato di Lisbona, su cui si rinvia agli scritti già citati,lattività dellOLAF è, invece, regolata da una serie di atti legislativi, anche se non molto numerosi per la verità, emessi nell’ambito del Primo pilastro, e quindi essenzialmente regolamenti e decisioni .

Il regolamento 1073/99, in particolare, prevede che l’ambito di azione dellOLAF è quello di lottare contro la frode, la corruzione e ogni altra attività  illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità (Unione) Europea, nonché ricercare i fatti gravi, connessi all'esercizio di attività  professionali, che possono costituire un inadempimento agli obblighi dei funzionari e agenti delle Comunità così come un inadempimento agli obblighi analoghi del personale delle istituzioni comunitarie ai quali non si applica lo statuto dei funzionari e degli agenti .

In linea di massima e semplificando un poco, si può affermare che gli interessi finanziari della UE corrispondono a quelle voci facenti parte del bilancio comunitario che ne rappresentano le entrate e le spese, e quindi, tra le entrate, essenzialmente i diritti doganali, i prelievi agricoli e l’iva, così come, tra le spese, quelle a gestione condivisa con gli Stati membri (spese agricole e fondi strutturali), oltre alle spese dirette quali quelle per la ricerca, per la cultura e leducazione, le spese di amministrazione interna. Le spese ai paesi in via di sviluppo riguardano ugualmente gli interessi finanziari della UE sebbene siano tecnicamente gestite anche tramite un fondo  che non rientra nel bilancio comunitario in senso stretto.

Per raggiungere lo scopo della protezione degli interessi finanziaridella UE, in particolare, lUfficio conduce indagini amministrative denominate esterne  qualora le stesse riguardino fatti attribuibili a soggetti non facenti parte delle Istituzioni comunitarie einterne  qualora le condotte siano attribuibili a soggetti comunque legati da un rapporto di lavoro con le Istituzioni. In tale ultimo caso, peraltro, la competenza dellOLAF può anche prescindere dallesistenza di un danno economico alla Unione, - sebbene debba trattarsi pur sempre di una condotta attinente alla sfera economico-finanziaria tenuta nellesercizio delle funzioni - in quanto una condotta infedele da parte di un funzionario crea comunque dei danni allimmagine e alla reputazione delle Istituzioni Europee.

Nel corso di tali indagini, che sono aperte su segnalazioni provenienti da una varietà di fonti che includono anche i privati cittadini che possono contattare direttamente l’Ufficio, l’OLAF dispone di una serie di poteri investigativi. Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità di sentire persone informate sui fatti e le persone sottoposte ad inchiesta, ma soprattutto alla possibilità di effettuare i c.d. “controlli sul posto”. Si tratta di una misura che è disciplinata dai già citati regolamenti comunitari emanatianteriormente alla creazione dell’Ufficio, ed in particolare il regolamento 2185/96 e il regolamento 2988/95, perché rappresentavano i primi strumenti di cui la Commissione Europea si dotò per combattere irregolarità e frodi. Gli stessi sono stati poi previsti anche da normativa più specifica, la c.d. “normativa settoriale” relativa ai controlli in specifici settori di spesa o di entrata, e sono spesso richiamati anche in accordi quadro che la Commissione Europea stipula con Paesi Terzi o beneficiari di fondi in occasione dell’attribuzione degli stessi, in modo da creare una base legale per le effettuazione di tali controlli anche negli specifici settori di riferimento.

Nell’esecuzione degli atti investigativi sopra menzionati, l’OLAF opera veramente in regime di transnazionalià, nel senso che, dalla propria sede di Bruxelles, gli investigatori OLAF possono recarsi in qualunque luogo del territorio della Unione senza incontrare alcuna limitazione spaziale, come invece avviene, in un modo o nell’altro, nelle indagini penali. Ai fini delle indagini OLAF, quindi, il territorio della Unione Europea è veramente un’area investigativa comune unica. Per compiere tali atti, che sono condotti presso i locali degli operatori economici coinvolti nei fatti che si assumono lesivi degli interessi finanziari della UE, non vi è alcuna necessità per l’Ufficio di chiedere autorizzazioni o richiesta di riconoscimento di atti da parte degli Stati Membri sul cui territorio si deve condurre l’attività. Vi è solo  un onere di informazione delle autorità investigative degli Stati e un obbligo per questi ultimi di fornire collaborazione, se richiesta, per eventualmente condurre insieme le operazioni, fermo restando che le stesse sono e restano operazioni dell’OLAF. Nel corso di tali controlli gli agenti OLAF hanno la possibilità di visionare documenti e scritture contabili, di esaminare il contenuto di supporti informatici, estraendone copia. In caso di indagini transnazionali, quindi, l’OLAF ha la possibilità di assumere nella stessa inchiesta elementi di prova raccolti nel territorio di più Stati Membri sulla base di una attività investigativa condotta senza limiti territoriali.

Questa è una caratteristica peculiare dell’attività dell’Ufficio che lo rende unico nel panorama giuridico non solo europeo, ma probabilmente mondiale, e questo anche a causa della unicita' di un organismo come l'Unione Europea. Non esiste, infatti, nessun altro organismo investigativo di livello sovranazionale che sia abilitato a condurre liberamente indagini amministrative sul territorio di più Stati, senza dovere chiedere alcuna autorizzazione per compiere tali atti.

Sulla base di tali elementi di prova, poi, l’OLAF formula le sue conclusioni in un rapporto finale di indagine che viene trasmesso ai competenti uffici della Commissione Europea interessati dalla voce di spesa o di entrata del caso specifico, per la possibile adozione di sanzioni amministrative, finanziarie o anche, in casi estremi, più invasive, quali, per esempio, la esclusione per il soggetto coinvolto dalla partecipazione in futuro a gare d’appalto della Commissione Europea. Questo, in sintesi e con notevole semplificazione, il meccanismo di funzionamento dell’Ufficio.

Se poi si pensa che, ai sensi del regolamento 1073/99, le risultanzedelle indagini OLAF e le prove acquisite, consacrate nel rapporto di indagine, possono anche essere trasmesse alle autorità giudiziarie degli Stati Membri ai fini di iniziare e sviluppare indagini penali e che, ai sensi dell’art. 9 dello stesso regolamento – in quanto tale norma direttamente applicabile negli Stati Membri – il rapporto OLAF ha lo stesso valore nei procedimenti giudiziari nazionali dei rapporti redatti dalle autorità amministrative nazionali, si deve concludere che la possibilità nel procedimento penale di utilizzare prove raccolte con modalità che presuppongono uno spazio investigativo europeo comune esiste già oggi, seppure indirettamente tramite l’azione dell’OLAF ed il successivo trasferimento delle prove stesse nel procedimento penale. Infatti, ferme restando poi le prassi e le interpretazioni della normativa comunitaria e nazionale, che purtroppo variano ancora molto da Stato a Stato, la autorità giudiziaria che le ricevenon dovrà ripetere la stessa attività investigativa per ottenere le medesime prove, almeno con riferimento a determinate tipologie delle stesse, quali le prove documentali. Il tutto, per di più, considerando che le modalità di acquisizione degli elementi di prova da parte dell’OLAF forniscono oggi sempre più ampie garanzie difensive, per cui questo riduce notevolmente i problemi in materia di utilizzabilità nel procedimento penale, anche con riferimento alle prove dichiarative.

2. Le indagini per l’applicazione delle regole di concorrenza

Ugualmente interessante  è l’analisi delle indagini per l’applicazione delle regole della concorrenza. Come si sa, la concorrenza è un meccanismo fondamentale dell’economia di mercato che permette ai consumatori di ottenere prodotti e servizi alle condizioni più favorevoli. E’ quindi una componenteessenziale di quel mercato comune dove le merci, i prodotti e i servizi possano circolare liberamente a disposizione dei consumatori, che è una delle idee di base su cui si fondò findall’inizio la costituzione dell’allora Comunità Economica Europea. Essa è quindi da sempre una delle politiche fondamentali della Comunità ed oggi dell’Unione. Tuttavia, per potere operare effettivamente, la concorrenza richiede che le società che offrono tali prodotti o servizi agiscano senza condizionamenti reciproci. Per questo, la politica europea per la tutela della concorrenza ha sempre affermato come fondamentali alcuni principi base, consacrandoli nei Trattati. In primo luogo, la normativa europea ha vietato gli accordi restrittivi della concorrenza tra due o più operatori indipendenti del mercato (art. 81 Trattato CE ed oggi art. 101 TFUE), intendendosi per tali sia gli accordi orizzontali che verticali, i c.d. “cartelli” per la fissazione di prezzi o la ripartizione di quote di mercato). In secondo luogo, la normativa europea ha vietato alle imprese che detengono una posizione dominante in determinati mercati di abusare della stessa per esempio fissando prezzi iniqui dei servizi o dei prodotti, limitando la produzione o non svolgendo attività di ricerca e innovazione (art. 82 Trattato CE ed oggi art. 102 TFUE).  

Per rendere effettivi tali divieti, e favorire quindi le condizioni per lo sviluppo di una libera concorrenza tra imprese, i Trattati hanno dotato la Commissione Europea di specifici poteri non solo investigativi, ma anche sanzionatori.

Strumento normativo fondamentale a questi fini, oltre ai Trattati, è, anche in questo caso, un regolamento, essendo questa una politica fondamentale della Comunità ed appartenendo quindi la stessa a quello che, dopo il Trattato di Maastricht e fino al Trattato di Lisbona, rappresentava il c.d. “primo pilastro”.

Il regolamento CE 1/2003 del Consiglio, del 16.12.2002 ha rappresentato una innovazione nel settore della lotta alle condotte limitative della libera concorrenza.  Mentre, infatti, il sistema vigente fino alla sua entrata in vigore, fondato su un precedente regolamento del 1962si basava su una struttura centralizzata, il regolamento 1/93 ha introdotto un sistema decentralizzato che si configura come una “rete”, dove non solo la Commissione Europea, ma anche le autorità nazionali garanti della concorrenza e le giurisdizioni degli Stati Membri assumono un ruolo direttonell’applicazione dei principi enunciati dai Trattati in materia.

In particolare, il capitolo V del regolamento attribuisce alla Commissione specifici poteri investigativi che possono essereesplicati in tutto il territorio della UE senza limitazioni territoriali. Tali poteri consistono, in particolare, nella richiesta diinformazioni (art. 18), nel potere di raccogliere dichiarazioni (art. 19), nel potere di accesso ai locali, terreni e mezzi di trasporto delle imprese o nella loro disponibilità, inclusi i domicili di amministratori, direttori e altri membri del personale, con possibilità di controllare i libri, documenti, estrarne copia, apporre sigilli (art. 20 e 21). Attività investigativa può essere anche compiuta, però, dalle autorità nazionali garanti della concorrenza,su richiesta della Commissione o di un’autorità garante nazionale di un altro Stato Membro (art. 22). Alcuni di questi atti possono anche richiedere una autorizzazione delle autorità giudiziarie dello Stato Membro interessato, senza che però le stesse possano sindacare la necessità degli accertamenti né chiedere che siano fornite informazioni contenute nel fascicolo della Commissione. Infatti, il controllo della legittimità della decisione dellaCommissione è riservato alla Corte di giustizia. Le autorità giudiziarie possono valutare solo che la misura non sia arbitraria o sproporzionata, anche in considerazione della gravità dell'infrazione, del valore della prova e del ruolo nella asserita violazione dell'impresa che subisce la misura. Si assiste quindi aduna interessante commistione tra procedimento amministrativo e autorizzazione giudiziaria.

Acquisite le informazioni, il regolamento assicura una spedita circolazione delle fonti di prova nel territorio comunitario tra gli Stati o rispetto alla Commissione con una norma specifica sullo scambio di informazioni (art. 12) e, ai sensi anche del “considerando” n. 21 del preambolo del regolamento, le stesse possono essere utilizzate come mezzo di prova dalle giurisdizioni nazionali che, ai sensi dell’art. 6, sono competenti ad applicare gli articoli del Trattato nella materia (prima gli articoli 81 e 82 Trattato CE, oggi art. 101 e 102 TFEU).

Si è di fronte, quindi, ad un altro esempio di possibilità di effettuare, attraverso questa “rete” di soggetti, attività investigativa in tutto il territorio UE con la possibilità di uno scambio di informazioni in tutto il territorio della UE senza eccessive formalità. Certo, anche in questo caso si tratta diindagini amministrative, ma resta il fatto che il territorio comunitario è, a questi specifici fini, un’area comune ed è possibile, anche in questo caso, lutilizzo di tali informazioni, a certe condizioni, da parte delle autorità giudiziarie.

3. Conclusioni

I due esempi sopra indicati, seppure diversi tra loro, basandosi il primo su una struttura investigativa centralizzata e il secondo su una struttura “a rete” ramificata nei singoli Stati Membri, mostrano però come il territorio UE possa già essere considerato, a certi fini, un’area investigativa senza barriere territoriali.

A questi esempi si potrebbe poi aggiungere la tematica della vigilanza bancaria, dove una recente proposta della Commissione tende a dare poteri investigativi alla banca centrale Europea esercitabili in tutto il territorio della UE o quello della libera circolazione delle informazioni investigative nella UE tra autorità nazionali; si pensi, per esempio, all’attività investigativa doganale dove sul piano amministrativo vi è una certa libertà di circolazione delle informazioni tra le varie autorità nazionali, ma si pensi ovviamente anche allo scambio di informazioni a seguito dell’attività di coordinamento di Eurojust, organismo che però non conduce attività investigativa propria e quindi in questo si differenzia dagli esempi illustrati sopra.

Ribadita ancora una volta la differenza tra gli esempi di indagini amministrative cui si è accennato nel presente scritto e le indagini penali che dovrà svolgere l’Ufficio dell’istituendo Pubblico Ministero Europeo, è significativo però mettere in luce che il concetto del territorio della Unione come “spazio investigativo comune” esiste già a determinati specifici fini, per cui la sua eventuale applicazione alle indagini del procuratore europeo – indipendentemente dalla forma in cui potrà manifestarsi - non sarebbe di per sé un fatto completamente nuovo e privo di qualunque precedente.

Ulteriori valutazioni potranno essere compiute quando la proposta legislativa della Commissione Europea sarà di pubblico dominio.Non si possono in questa sede né alimentare aspettative (per chi è in favore di un pubblico ministero europeo dotato di poteri investigativi esercitabili in tutto il territorio degli Stati Membri –almeno di quelli che aderiranno al progetto – senza limiti territoriali) né timori (per chi vede questa ultima possibilità con estrema preoccupazione in primo luogo per la tutela delle garanzie difensive).

Quello che, però, è innegabile è che, oggi, il solo parlaredell’uscita di una proposta di regolamento istitutiva dell’ufficio del Pm europeo come prossima rappresenta un fatto che solo pochi anni fa appariva, nonostante gli studi accademici condotti, difficilmente ipotizzabile in termini concreti.

Non vi è dubbio, quindi, che questa proposta avrà un significato, anche simbolico, di grande valore. Se poi la stessa sia l’inizio di una nuova era o una manifestazione di buona volontà troppo in anticipo sui tempi lo diranno i fatti e dipenderà da molti elementi, anche imprevedibili al momento. Il cammino europeo è stato spesso contrassegnato da apparenti contraddizioni in un alternarsi di spinte in avanti e passi indietro, cosa che, però, non ha impedito fino ad ora di procedere sulla strada di una maggiore integrazione in numerosi settori. Del resto, anche in queste settimane il concetto di unione politica europea continua ad essere esplicitamente citato ed invocato da capi di Stato e di Governo.

La giustizia, soprattutto penale, è però certamente una di quelle aree in cui più difficile è questo percorso, dovendosi lo stesso confrontare con tradizioni a volte secolari degli Stati Membri, che rappresentano ancora oggi tra le più tipiche espressioni delle sovranità nazionali.

Maggiori riflessioni potranno compiersi una volta che il testo della proposta legislativa sarà di pubblico dominio ed il dibattito e gli studi che, prevedibilmente, si svilupperanno sulla stessa saranno certamente utili per riflettere in quale direzione vorrà andare l’Unione.

 

28/06/2013
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