Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

L'avvocato e i diritti delle persone

di Roberto Conti
Consigliere Corte di Cassazione
Alla ricerca delle basi per una dimensione europea della professione forense
L'avvocato e i diritti delle persone

Di ritorno dalla due giorni di Reggio Emilia dedicata all’Assemblea nazionale degli osservatori sulla giustizia civile alla quale ho avuto il privilegio di partecipare grazie all’invito ricevuto da Luciana Breggia e da Annamaria Casadonte, mi pare utile una breve riflessione su una delle tante prospettive che l’Assemblea, dedicata ai tempi della giustizia ed al tempo dei diritti, ha cercato di focalizzare.

La sessione pomeridiana dedicata al tema “Europa” ha segnato, infatti, nell’esperienza degli Osservatori, una novità di non poco momento, dimostrando come gli organizzatori abbiano inteso suscitare un dibattito sulle prospettive che la dimensione europea del diritto e dei diritti aprono rispetto all’essere Giudice ed Avvocato.

Riservando ad altro momento il tema del ruolo del giudice in questo ambito, mi sembra indispensabile sollecitare l’attenzione verso la prospettiva che guarda al ruolo dell’Avvocato in un processo di trasformazione, in atto ormai da parecchi anni ma che, oggi più che prima, richiede alcune risposte precise ad interrogativi che continuano a condizionare, in modo marcato, il salto di qualità richiesto agli operatori del diritto “tutti”.

Le poche riflessioni che cercherò qui di sintetizzare, frutto di un’esperienza maturata in questi anni a contatto stretto con i temi “europeisti” intendono porsi, dunque, come spunto dal quale partire per individuare le basi, quanto più solide possibili, sulle quali edificare un sistema efficace ed effettivo di protezione dei diritti, per realizzare il quale il ruolo di giudice ed avvocato rimane ineludibile.

Orbene, per rispondere al quesito Perché l'avvocato deve avvicinarsi ai temi europei? un approccio “tradizionale” – almeno per quanti, autorevolmente, si sono accostati al tema- alla questione renderebbe quasi dovuto (e, forse, scontato) il rinvio al tema dei diritti fondamentali, alle plurime forme di tutela che essi godono attraverso le Carte dei diritti nazionali e non, come anche alla dimensione globale che tali diritti hanno ormai assunto. Da qui la prospettiva che pone l’avvocato come “difensore” degli interessi immediati- economici e non- del cliente che stanno a valle, ma anche di quegli inderogabili ed indeclinabili diritti che stanno “a monte”, senza i quali la tutela immediata reclamata rimane monca, acefala e, dunque non completa, non appagante e, in definitiva, ingiusta. Dunque, una prospettiva che pone il difensore come artefice, o protagonista dei diritti, il tecnicismo dei quali, reso imponente dalla proliferazione delle fonti -scritte e non- e dalla dimensione multiculturale che la società va sempre più assumendo, non solo impedisce al cittadino di far da sé, ma impone al tecnico del diritto una visione complessiva delle vicende, un loro dimensionamento in un contesto nel quale l’affermazione dei diritti passa, ormai spesso, attraverso una verifica di compatibilità del sistema di regolazione adottato ai valori fondamentali, come detto di matrice interna e sovranazionale.

Ora, se questa prospettiva è, agli occhi di chi scrive, non solo corretta, affascinante, avvincente e pienamente condivisibile, cogliendo lo spostamento del baricentro delle forme di tutela dal “diritto scritto” a quello che viene concretamente attuato nelle aule di giustizia ad opera del Giudice la stessa, tuttavia, non sembra potere realizzare, da sola, il fine che pure intende realizzare, appunto costituito dalla realizzazione piena ed indifferenziata dei diritti. Alla dimensione etica dell’Avvocatura che promuove un ruolo propulsivo dei diritti ad opera dell’Avvocato va, a me pare, affiancata una dimensione più pragmatica, ma non meno rilevante, dalla quale il “difensore” non può prescindere, a pena di essere tagliato fuori dal mercato – lo si dice in senso virtuoso- delle professioni. Non solo, infatti, l’esistenza, già attuale all’interno dei studi professionali di media-grande dimensione, di specializzazioni che guardano alla prospettiva appena tracciata ma, soprattutto, la circostanza che la formazione universitaria e post universitaria delle nuove generazioni ha ormai tracciato una figura “europea” del giurista lasciano presagire, da qui a pochi (ma davvero pochi) anni, una proliferazione di “nuovi giuristi” che, acquisita dimestichezza e pratica sicuramente maggiore di quei professionisti i quali, non per loro colpa, di questa offerta formativa non hanno potuto godere per ragioni anagrafiche, saranno in grado di condizionare le sorti dei casi e delle cause molto più di quanto oggi il professionista attrezzato dotato di una preparazione “classica” riesca a fare. Condizionamenti che si badi, potrebbero anche essere di segno negativo, le quante volte l’uso non adeguato, non proporzionato o anche solo inappropriato delle fonti sovranazionali venga realizzato al solo fine della “difesa” del cliente e risulti, poi, idoneo a condizionare le sorti del giudizio, magari a causa di un ruolo inadeguato svolto da chi è chiamato a decidere e giudicare.

Ed allora, anche per arginare una dimensione patologica del diritto europeo, appare ineludibile un dovere di attrezzarsi da parte di chi, non per sua colpa, non ha avuto analoga fortuna rispetto ai “nuovi professionisti”.

Si tratta, a ben considerare, di una prospettiva capace di coniugare la dimensione etica della professione a quella che non perde di vista l’esigenza, altrettanto rilevante per ogni professionista, di affermarsi in un sistema delle professioni sempre più marcato da logiche competitive e concorrenziali, attraverso profili di preparazione e specializzazione sempre più complessi, ai quali corrispondono obblighi e responsabilità parimenti incisivi.

Ed è proprio il tema della “responsabilità” del professionista che sembra marginalizzare l’idea che la dimensione europea dell’Avvocato possa essere affidata ad una scelta volontaristica dell’avvocato imponendosi, piuttosto, con tratti di doverosità capaci di tracciare una linea ben marcata all’interno dell’Avvocatura.

Si vuol dire, in termini ancora più crudi, che nel prossimo futuro le dinamiche del contenzioso -civile come amministrativo, penale e tributario- risulteranno progressivamente condizionate dalle ricadute che il diritto di fonte sovranazionale – sia esso diritto dell’UE, dei trattati internazionali e, soprattutto, di quello che guarda alla tutela dei diritti fondamentali apprestati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo- produrrà, in modo mediato o diretto, sulle liti e, in definitiva sui diritti che in esse si agitano.

Ed allora, il ruolo proattivo dell'avvocatura nella tutela dei diritti deve essere garanzia di piena attuazione dei diritti ma, al contempo, metro sul quale misurare la professionalità, l’affidabilità e l’efficacia dell’attività dell’Avvocato.

E’ noto che rispetto a quanto si è detto, una delle principali remore rispetto al ruolo dell’Avvocato per come succintamente descritto -al quale, peraltro, fa da contraltare un giudice “diverso” da quello che si è abituati a pensare ed immaginare, quale mero applicatore del diritto - sta nella perdita di certezza del diritto che sarebbe, in definitiva, condizionata anche dal ruolo dell’avvocato se solo si caldeggia la prospettiva di cui si è detto.

Il tema è ampio e complesso.

Qui può solo dirsi che è ormai alle porte un’era nella quale alla “certezza del diritto” tradizionalmente intesa si affianca quella, non meno gravida di questioni, della “certezza dei diritti”, sempre più proiettata verso la verifica delle vicende all’interno di un processo(civile) nel quale la tradizionale dimensione dispositiva del diritto lascia, sempre di più, il passo ad una prospettiva che accentua l’esigenza di offrire una tutela efficace, effettiva ed adeguata ai diritti e che, in definitiva, guarda alla inderogabilità di alcuni valori portanti della società ed al perseguimento di un ideale di giustizia che sembra, a volte, allontanarsi dall’idea di processo come luogo di affermazione di una mera verità formale.

Valori che, proprio per la loro indeclinabilità “devono” trovare spazio nel processo anche se non trovano nelle difese di parte un diretto e preciso sviluppo.

Ora, è chiaro che l’attuale sistema pone, nei rapporti tra diritto interno e diritto dell’Unione europea, l’accento sulla operatività ex officio del diritto di matrice eurounitaria, in nome del “primato” del primo sul secondo.

Ed è sempre l’attuale quadro dei rapporti fra diritto interno ed i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU a delineare un sistema di protezione forte, realizzato attraverso l’attività di conformazione del diritto interno ai canoni convenzionali o comunque al controllo di convenzionalità per ora affidato alla Corte costituzionale.

Ma in questo contesto il ruolo dell’Avvocato non esce affatto sminuito o “decentrato” ma, semmai, ancora una volta, arricchito, apparendo evidente che rispetto al crescente ruolo del giudice non può non affiancarsi quello dell’avvocato che sia in grado di verificare la correttezza e coerenza dell’operato del giudicante, ove questi indossi il cappello, come a me piace dire, di giudice comunitario o di giudice della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Non resta, a questo punto, che rispondere all’ultimo quesito, forse il più spinoso, volto a verificare come l’Avvocato deve accostarsi ad una prospettiva che non tende a caldeggiare un’idea euroentusiasta ma nemmeno euroscettica guardando, piuttosto, in maniera concreta ad un approccio, questo sì, euroformato ed euroinformato del giurista.

Qui, il passaggio dalle parole ai fatti è complesso, se proprio si considera che l’approccio formativo tradizionale, affidato allo studio del “manuale” non riesce a dare la misura di quello che è richiesto al giurista del nostro tempo, piuttosto richiedendosi una conoscenza del “law in action” difficile da trasmettere ed acquisire senza la conoscenza dell’armamentario di base, anch’esso spesso scolpito da principi desumibili soltanto dal “diritto vivente” delle Corti, nazionali e sovranazionali.

La scommessa che gli osservatori sulla giustizia civile hanno deciso di mettere in campo aprendo al tema “Europa” nell’assise nazionale appena conclusa chiama, dunque, tutte le persone di buon senso a mettersi “al servizio” di una prospettiva che, tenendo a mente la dignità della persona e dei diritti che ad essa fanno capo, dovrebbe valorizzare le realtà già esistenti – mailing list, osservatori, scuole, accademia- cercando di razionalizzarle attraverso forme di cooperazione e di dialogo capaci di marginalizzare i personalismi, peraltro assolutamente comprensibili se si guarda all’impegno singolarmente profuso fin qui su tali questioni, e di coinvolgere in modo massiccio quanti hanno a cuore la professione svolta ed i diritti.

 

14/06/2013
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