Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

L’affidabilità delle decisioni giudiziarie nella prospettiva della legge n. 24 del 2017

di Mario Ardigò
sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma
Lo scopo delle indagini sui casi clinico-giudiziari è l’affidabilità delle decisioni giudiziarie, non il numero delle condanne. La legge n. 24 del 2017, con il rilievo dato alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali e la previsione dell’impiego di un collegio di consulenti tecnici anziché del solo medico legale, offre un’importante opportunità in questo senso. Ma richiede ai magistrati una conquista culturale: dare credito alla scienza contemporanea

1. Il primo aprile 2017 è entrata in vigore la legge n. 24 del 2017 che si occupa di vari aspetti della gestione del rischio da trattamento sanitario.

Ogni attività umana può produrre danni non voluti. La probabilità che ciò accada è misurabile con metodi statistici. Il rischio da trattamento sanitario è la probabilità di produrre danni non voluti, che vengono definiti anche “eventi avversi”. Non esiste un trattamento sanitario con rischio zero. L’organizzazione sanitaria cerca di ridurre tali tipi di rischi, imparando dalle esperienze di eventi avversi. Questa attività è definita di “risk management” ed è svolta nell’industria da specifici settori. Nella sanità italiana, la legge di stabilità 2016 l’ha resa obbligatoria per le strutture pubbliche e private (art. 1, comma 539, legge n. 208/2015).

Avveratosi un rischio sanitario, quindi prodottosi un evento avverso, insorgono controversie in merito al danno subito dal paziente. Chi ne risponde e a che titolo? È risarcibile? A quanto ammonta il risarcimento? Queste vicende possono anche avere un seguito giudiziario in sede civile e penale.

La giurisdizione, data la possibilità di condanna, è, per le organizzazioni sanitarie e per i professionisti sanitari, uno dei rischi dei trattamenti sanitari da loro attuati. Lo riconosce la norma della legge di stabilità 2016 citata. Comprende infatti nell’attività di “risk management” quella di “assistenza tecnica verso gli uffici legali della struttura sanitaria nel caso di contenzioso”. Quindi l’attività giudiziaria è in grado di influire su quella sanitaria, perché le strutture, nel “risk management”, cercheranno di minimizzare anche il rischio giudiziario. È una grande responsabilità per i magistrati, che non sono competenti in medicina. Al di fuori del diritto sono degli ignoranti colti.

2. La medicina non è “una” scienza, ma un complesso di scienze ultraspecialistiche. Al centro dei trattamenti sanitari c’è il caso clinico, vale a dire il problema di salute presentato da un paziente. Esso viene indagato dall’ultraspecializzazione di riferimento per l’organo, il distretto, la funzionalità, l’agente nocivo implicati. Ma richiede la collaborazione di altre ultraspecializzazioni che vengono chiamate in consulenza. Tutti i centri sanitari e gli ultraspecialisti sono connessi a livello globale. Questo consente la rapidissima diffusione dei progressi scientifici in materia sanitaria. Dagli anni ’70 questi progressi sono valutati sistematicamente e statisticamente in base a prove cliniche di efficacia sulla base dell’esperienza clinica su campioni significativi[1].

In base a questi studi vengono diffuse raccomandazioni denominate “linee guida”. Dato un caso clinico, si raccomanda di seguire una tecnica che, in casi simili, ha dimostrato un certo grado di efficacia, comprovata dall’osservazione clinica sistematica. La sistematicità dell’osservazione clinica distingue le linee guida dalla documentazione di buone pratiche clinico-assistenziali. Queste ultime consistono essenzialmente in ciò che si è imparato dagli errori commessi. Non bisogna confondere le linee guida con i “protocolli”, i quali sono regole da seguire con precisione in certe procedure sanitarie o nella somministrazione di farmaci: l’operatore non ha discrezionalità.

I documenti contenenti linee guida sono pubblicati in riviste scientifiche insieme con altri documenti che non lo sono, ad esempio, altra documentazione su casi valutati con prove di efficacia, “conferenze di consenso” (i maggiori specialisti condividono certe argomentazioni su problemi controversi), documentazione su buone pratiche clinico-assistenziali, descrizioni di singoli casi clinici, altri trattati su argomenti su cui non si hanno ancora prove sistematiche di efficacia[2]. Le linee guida sono diffuse da centri clinici o società di specialisti e da altri enti pubblici o privati. Ve ne possono essere diverse, e non necessariamente tra loro coincidenti, per ogni caso clinico, a seconda dell’esperienza clinica a cui si fa riferimento per le prove di efficacia.

3. Nel 2004 il Ministro della salute (dm, 30 giugno 2004) ha istituito un complesso di uffici, il Sistema Nazionale Linee Guida, con il compito di elaborare linee guida per i trattamenti sanitari. L’art. 5 della legge 24/2017 lo incarica di raccogliere e integrare nel proprio sistema di linee guida quelle elaborate da altri enti e associazioni compresi in un elenco istituito e regolato dal Ministro della salute, aggiornato ogni due anni. L’Istituto superiore di sanità è incaricato di pubblicare le linee guida indicate dal Sistema Nazionale Linee Guida dopo averne valutato le metodologie e le prove di efficacia.

La legge 24/2017, al medesimo art. 5, introduce l’obbligo giuridico per gli operatori sanitari di attenersi alle linee guida pubblicate dall’Istituto superiore di sanità, salve le specificità del caso concreto. In mancanza, fa loro obbligo di attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali. L’art. 6, poi, introduce un nuovo art. 590-sexies del codice penale, nel quale è prevista una scriminante se l’operatore sanitario abbia rispettato quelle linee guida, quando sia in questione l’imperizia e salve le specificità del caso concreto. In questo modo si è ritenuto di attenuare lo specifico rischio penale conseguente per gli operatori sanitari ai trattamenti sanitari da loro effettuati.

3. Da alcuni anni mi occupo di procedimenti penali su casi clinico-giudiziari. Di seguito svolgerò quindi alcune osservazioni sulle implicazioni della legge 24/2017 in questo settore.

Al centro di un’inchiesta penale in materia sanitaria vi è il caso clinico dopo che si è verificato un evento avverso, vale a dire la morte o una lesione o una malattia o aggravamento di malattia, determinato da errore di un operatore sanitario. L’errore sanitario è il fallimento, non dovuto al caso ma ad una condotta generalmente ritenuta inappropriata, nel produrre un risultato voluto. Nei trattamenti sanitari vi è anche il rischio di eventi avversi non determinati da errore sanitario. Il rischio clinico globale di evento avverso somma quelli da errore sanitario e da evento casuale. Il compito del magistrato è di individuare, in un caso clinico, l’errore sanitario a cui sia conseguito un evento avverso, quindi di trattare un caso clinico-giudiziario. Il parametro è costituito dalle linee guida pubblicate dall’Istituto superiore di sanità o dalle buone pratiche assistenziali. La loro comprensione e applicazione richiede la collaborazione di specialisti medici, così come la raccolta di elementi cognitivi sul caso clinico, ad esempio mediante autopsia, esami istologici, esami analitici e strumentali, visite mediche specialistiche. L’errore giudiziario in questo campo avviene quando la decisione giudiziaria non è affidabile alla luce delle scienze mediche implicate, ad esempio non lo è quando il magistrato fa ricorso a fonti non affidabili, come l’“amico medico” o la sua scienza privata per precedenti sue o altrui esperienze cliniche, o quando ritiene di avere la missione di migliorare la sicurezza delle cure: egli non ha né la competenza, né gli strumenti per farlo. L’affidabilità di una decisione giudiziaria dipende da quella delle sue fonti.

Un caso clinico giudiziario è possibile perché ci sono norme penali, l’art. 589 e l’art. 590 del codice penale, che puniscono come reato l’errore sanitario, con la limitazione contenuta nell’art. 590-sexies del codice penale. Nella gran parte dei casi le notizie di reato relative a casi clinici non provengono da fonti affidabili, vale a dire da ambienti clinici. Ma anche quando provengono da questa fonte, sono di solito a livello embrionale, vanno molto sviluppate.

Di solito la statistica giudiziaria, con le relative valutazioni di efficacia, si fa con una proporzione tra condanne definitive e notizie di reato. Ad esempio: per quanti omicidi si è riuscito a far condannare un colpevole? Questo modo di ragionare fa danno nel settore dei casi clinico-giudiziari. I magistrati sono frustrati perché riescono a far condannare pochi operatori sanitari. Allora si disaffezionano. La valutazione di efficacia dovrebbe farsi invece tra notizie di reato e decisioni affidabili, assolutorie o di condanna che siano. Se le decisioni sono affidabili e si hanno in prevalenza archiviazioni o proscioglimenti, questo può essere considerato un segno di buon funzionamento del sistema sanitario, anche se non ha un valore statistico in quel senso perché non è detto che tutti gli errori sanitari si traducano in una notizia di reato.

Un evento clinico avverso può coinvolgere emotivamente il magistrato. Egli può quindi essere tentato di usare la sua intuizione, come, ad esempio, per un’indagine su un omicidio volontario. Allora prescinderà dal giudizio tecnico delle persone competenti e fatalmente sarà spinto a collegare quell’evento clinico avverso ad un trattamento sanitario solo perché il primo sia seguito al secondo e sceglierà tra le possibili fonti di convincimento quella che lo confermerà in questa opinione. Non solo: potrebbe essere tentato di influire indebitamente sul proprio consulente.

La legge 24/2017, all’art. 15, ha inteso migliorare l’affidabilità delle decisioni giudiziarie imponendo al magistrato, nei casi clinico-giudiziari, la nomina di più consulenti: il medico legale, che costituisce il mediatore culturale del magistrato, e altri specialisti, “uno o più”, in relazione alle conoscenze implicate nel caso in analisi.

4. Un tempo i magistrati si servivano dei medici legali come dei tuttologi. Non lo sono. Per un magistrato sono dei mediatori culturali, perché conoscono le nozioni tecniche di base di medicina e diritto. Hanno competenza ultraspecialistica nelle procedure e osservazioni necroscopiche. Fanno osservazioni macroscopiche sui reperti autoptici e possono trovarne conferma leggendo preparati istologici. Le diagnosi sui reperti istologici (vetrini e inclusioni) competono però all’anatomo-patologo. Il medico legale però, per valutare un caso clinico, ha necessità del parere delle altre ultraspecializzazioni implicate: egli, nei confronti degli altri ultraspecialisti, è poco di più di un ignorante colto, benché molto più acculturato di un magistrato nelle scienze mediche.

Di fronte a più consulenti tecnici, il magistrato è disorientato. Una volta andava all’ultima pagina per il responso del medico legale. In definitiva, poteva essere quest’ultimo a decidere il caso clinico-giudiziario.

Il rilievo dato dalla legge alle linee guida e buone pratiche clinico-assistenziali richiede di accostarsi ai documenti che le contengono. Di solito sono scritti in inglese, quindi comprensibili a una persona colta; ma in questo sforzo torna utile il consulente medico legale, al quale possono essere chiesti chiarimenti. La documentazione clinica citata come fonte di linee guida o di buone prassi dovrebbe sempre essere allegata in copia alle relazioni tecniche, oltre che citata con precisione. I consulenti tecnici la reperiscono presso le università di riferimento che hanno gli abbonamenti del caso.

Il confronto con pubblicazioni scientifiche richiede di acculturarsi nella biologia del corpo umano, avendo a portata di mano un manuale in uso oggi nei licei.

Il valore di una relazione tecnica dipende dall’affidabilità delle fonti, dalla precisione delle osservazioni, dalla correttezza dei ragionamenti e delle procedure. Non è detto che i consulenti tecnici del pubblico ministero siano i più affidabili. Occorre prendere in esame anche le argomentazioni di quelli di parte, soprattutto quando hanno nei loro curricoli una importante esperienza clinica riconosciuta dalla comunità scientifica. È necessario uno sforzo per farsi spiegare e per capire.

La legge 24/2017 chiede al magistrato di servirsi, come consulenti, di specialisti iscritti negli Albi tenuti dai tribunali. Questo è un bel problema perché, per quanto mi consta, pochi degli specialisti di riferimento nei vari settori, compresi i medici legali universitari che utilizziamo correntemente, risultano esserlo. Nella legge, all’art. 15, comma 2, si prevede l’inserimento di informazioni ulteriori sugli iscritti per valutarne, per quanto possibile, l’affidabilità professionale. Nella pratica di solito parto dal medico legale, che poi mi indica gli specialisti che occorrono: è necessario costituire una squadra che possa lavorare bene insieme. Il magistrato di solito non ha idea di quali specialisti ulteriori occorrano e quali siano quelli più adatti.

Nel caso di incarichi collegiali, la legge sulle spese di giustizia prevede che l’onorario sia determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del 40% per ogni ulteriore consulente tecnico componente il collegio. La legge 24/2017 prevede che non si applichi tale aumento, per cui, che si nomini un consulente o se ne nominino cinque, i componenti del collegio dovranno dividersi l’onorario che sarebbe spettato al singolo. Il paradosso è che si nominano più consulenti nei casi complessi, ma è proprio in questi casi che, essendo di più i consulenti, i membri del collegio saranno pagati meno. Nel gruppo di lavoro della Procura di Roma abbiamo deciso di applicare, nei casi di incarichi collegiali in materia sanitaria, l’aumento per i casi complessi previsto dall’art. 52, 1° comma, d.lgs 115/02.

Ma, una volta “capito” un caso clinico giudiziario, elevandoci, con l’aiuto dei consulenti tecnici che hanno interloquito nel procedimento, al livello delle migliori scienze contemporanee, sapremo attenerci ai risultati di queste ultime, anche se sembrano contrastare con il senso comune? Daremo credito alla scienza? Bisogna prendere sul serio ciò che la senatrice Elena Cattaneo ha scritto il 23 aprile 2017 su La Repubblica: «[…] si resta colpiti di fronte a una giurisdizione che […] ritiene di poter risolvere questioni di estrema complessità con il “libero convincimento” del magistrato a valle di “consulenze tecniche” che propongono esiti difformi dall’orientamento scientifico prevalente, che per sua natura non può essere “innovato” in un’aula di tribunale».

___________________

[1] Per ulteriori informazioni si rimanda a: M. Tombesi, Medicina basata sulle prove di efficacia, www.treccani.it, 2007

[2] I medici si informano su queste pubblicazioni attraverso siti web come quello del National Center for Biotechnology Information, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/

31/05/2017
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