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Il ritorno in “Destinazione Italia” dell’ “insensata” competenza per territorio dell’art. 80 del “Dl Fare”

di Giuseppe Tucci
Avvocato ed Ordinario diritto privato. Università di Bari.
1. – Destinazione Italia come living document. La Misura 13, prevista nel documento e la sua asserita funzione di rafforzamento del Tribunale delle imprese. 2.- Il precedente dell’art. 80 del “Decreto del Fare” e la sua eliminazione in sede di conversione . 3.- Le ragioni egualmente “insensate” addotte per giustificare l’analoga Misura 13 di Destinazione Italia. 4. – La ventilata ulteriore riforma della competenza per materia del Tribunale delle imprese e la riproposizione della competenza esclusiva di Milano, Roma e Napoli per le controversie che coinvolgono società straniere
Il ritorno in “Destinazione Italia” dell’ “insensata” competenza per territorio dell’art. 80  del “Dl  Fare”

1.- L’ultima “trovata” autunnale dei nostri Governanti è Destinazione Italia; documento, datato 19 settembre 2013, che si può consultare qui.

Come si legge nell’Introduzione, Destinazione Italia sarebbe stato “sviluppato” in stretto raccordo con le priorità di politica economica, indicate dal Documento di economia e finanza e dalla Legge di Stabilità.

Esso ha l’ambizione di definire “un complesso di misure finalizzate a favorire in modo organico e strutturale l’attrazione degli investimenti esteri e a promuovere la competitività delle imprese italiane, che verranno introdotte progressivamente nell’ordinamento secondo una tempistica che costituirà l’agenda del Governo”.

Con la solita sufficienza “anglofona” pseudobocconiana, che caratterizza il modo di comunicare della parte “ colta” dei nostri Governanti, si aggiunge: “ Destinazione Italia è un living document. Sulla base di questa versione 0,5 il Governo avvierà una consultazione pubblica di tre settimane coinvolgendo cittadini, imprenditori italiani ed esteri, associazioni non solo di categoria, sindacati ed esperti, che condurrà alla versione 1,0”.

La Misura n. 13) dell’ineffabile living document avrebbe lo scopo di rafforzare il Tribunale delle Imprese, perché, secondo il nostro patrio legislatore, “ occorre utilizzare meglio il tribunale delle imprese per fornire agli investitori un foro adeguato per la risoluzione delle controversie”.

Per raggiungere tale meta vengono indicate, sempre nella stessa Misura 13, anche le relative soluzioni, che si individuano: a) nello “estendere le competenze del tribunale delle imprese a tutte le controversie sulle transazioni commerciali, creando così un canale efficiente di accesso alla giustizia per gli investitori; b) nel concentrare su Milano, Roma e Napoli tutte le controversie rientranti nelle materie di competenza del tribunale delle imprese che coinvolgano società con sede principale all’estero, anche se con rappresentanza stabile in Italia. Illudersi di suscitare una consapevole e non demagogica “consultazione pubblica”, tale da coinvolgere anche comuni cittadini, su indicazioni così generiche, è pura demagogia; tanto più con riferimento ad argomenti estremamente specialistici e complessi, come quelli relativi alla competenza territoriale ed alle sue conseguenze pratiche sull’amministrazione della giustizia. Se queste erano le finalità perseguite da Destinazione Italia, il documento, più che un living document, deve considerarsi un vero e proprio aborto.

2. - Riguardo al merito della Misura 13, che dovrebbe perseguire lo scopo di rafforzare il Tribunale delle imprese, risulta chiaro che, con tale misura, anche se genericamente enunciata, si vuole introdurre nel nostro ordinamento processuale la strana competenza inderogabile per territorio, riguardante il Foro delle società con sede all’estero, già disciplinata dall’art. 80 del “Decreto del Fare” (D.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98) ; norma eliminata in sede di conversione di quel decreto legge per la sua palese insensatezza.

Come è noto, il richiamato art. 80 del “Decreto Fare”, eliminato in sede di conversione, prevedeva “ La concentrazione esclusiva presso i Tribunali e le Corti di appello di Milano, Roma e Napoli delle cause che coinvolgono gli investitori stranieri ( senza sedi stabili in Italia) con lo scopo di garantire una maggiore prevedibilità delle decisioni e ridotti costi logistici”.

In realtà, con tutta la buona volontà di questo mondo, nessuno è mai riuscito a capire- né riesce ora, di fronte alle ancora generiche proposte di Destinazione Italia - per quale ragione i Tribunali e le Corti di appello di Milano, Roma e Napoli, avrebbero dovuto garantire agli “ investitori esteri ( senza sedi stabili in Italia)” e non agli altri comuni mortali “una maggiore prevedibilità delle decisioni”, oppure perché mai solo Milano, Roma e Napoli avrebbero dovuto dare efficienza al nostro sistema giudiziario e, sole ed uniche sedi giudiziarie, avrebbero dovuto dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese. I Magistrati di Bari, di Bologna e di Verona, sono forse degli affossatori del sistema produttivo? E poi: perché le decisioni di Palermo, Salerno o Bari dovrebbero essere meno prevedibili di quelle di Napoli? E ancora: perché le decisioni di Bologna , Ancona, Firenze o Perugia dovrebbero essere, sempre per i sedicenti “ investitori esteri ( senza sedi stabili in Italia)” meno prevedibili di quelle di Roma?

Infine: perché mai la concentrazione esclusiva presso i Tribunali e le Corti di appello di Milano, Roma e Napoli delle cause che coinvolgono gli investitori stranieri ( senza sedi stabili in Italia), dovrebbe garantire a questi ultimi “ridotti costi logistici”?

Forse gli alberghi ed i ristoranti di Bari, Palermo, Lecce o Salerno, sono più costosi di quelli di Napoli?

O quelli di Ancona, Bologna o Perugia più costosi di quelli di Roma?

Le domande erano e sono ancora oggi più che legittime, se si tiene presente che, nell’introdurre questa strana fattispecie a maglie larghissime di competenza territoriale esclusiva ed inderogabile, il buon Legislatore, in sede di “Decreto del Fare”, non aveva certamente introdotto un rito speciale oppure delle Sezioni specializzate, ma soltanto un sedicente ed a prima vista inspiegabile privilegio non solo per gli “Investitori nazionali e internazionali”e per la “Certezza del credito” , ma, come riconosceva espressamente testo della disposizione non convertito, per tutte le “Società con sede all’estero”, siano esse di persone o di capitali, turistiche o sportive, banche oppure società di rating.

3. - Gli interrogativi e le perplessità, sopra evidenziate per il famigerato art. 80 del “Decreto del Fare”, si ripropongono negli stessi termini per la Misura 13 di Destinazione Italia, con l’ulteriore aggravante che il legislatore del futuro si propone di realizzare quella strana concentrazione su Milano, Roma e Napoli, dopo avere esteso “….le competenze del tribunale delle imprese a tutte le controversie sulle transazioni commerciali, creando così un canale efficiente di accesso alla giustizia per gli investitori”.

Questa ulteriore estensione delle competenze del Tribunale delle imprese, sempre al fine, almeno così sostiene il nostro Legislatore, di creare un efficiente canale di accesso alla giustizia per i soliti investitori e, a quanto pare, per essi soltanto, non può non suscitare una scandalizzata meraviglia, in primo luogo per il modo con cui si prevede di realizzarla.

Come è noto, nella continua ubriacatura per l’uso disinvolto del decreto legge, l’art. 2 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, il c.d. “decreto liberalizzazioni”, convertito dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, ha istituito le Sezioni specializzate di Tribunale e di Corte d’appello in materia di impresa, le quali hanno preso il posto di quelle in materia di proprietà industriale ed intellettuale, rinominando le dodici sezioni specializzate dei Tribunali e delle Corti d’appello preesistenti ( Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia) ed istituendo ulteriori sezioni in tutte le città capoluogo di Regione, che ne erano prive in precedenza; e ciò al fine di non rendere eccessivamente gravoso per gli utenti l’accesso alla Giustizia.

Lo stesso art. 2, comma 1°, lett. d), ha modificato l’art. 3 del D.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, che aveva appunto istituito le Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ampliando la competenza per materia rispetto a quella delle preesistenti sezioni, che rimane però sempre specifica e limitata ad alcune materie.

Il provvedimento legislativo che la Misura 13 di Destinazione Italia ipotizza, in termini ancora estremamente vaghi, a brevissima distanza di tempo, interverrebbe di nuovo sulle competenze così delicate e complesse di un organo come il Tribunale delle imprese, con una logica che ricorda il comportamento rimproverato da Dante alla Firenze del suo tempo (“ …fai tanti sottili/ provvedimenti, ch’a mezzo novembre/ non giugne quel che tu d’ottobre fili" Purg. VI, 144).

L’intervento annunciato, sul quale dovrebbe aprirsi la consultazione pubblica di tre settimane, prevede due forme di intervento, tra loro collegate: a) l’estensione delle competenze del Tribunale delle imprese a tutte le controversie sulle “transazioni commerciali”; b) la concentrazione su Milano, Roma e Napoli di tutte le controversie rientranti nelle materie, opportunamente dilatate, di competenza del Tribunale delle imprese, che coinvolgano società con sede principale all’estero.

4. - Il primo intervento estende e dovrebbe poi delimitare la competenza funzionale del Tribunale delle imprese sulla base del dubbio criterio delle controversie comunque inerenti alle “Transazioni commerciali”.

Il termine, come è noto, con il solito servilismo linguistico del nostro Legislatore, è mutuato dall’esperienza nordamericana ( Commercial Transactions), dove sta a significare ogni contratto estraneo all’area del diritto del consumo, sicché, quando viene usato nel nostro ordinamento, come nel caso del D.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, Attuazione della Direttiva 2000/35/CE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, acquista un significato particolare, che viene determinato dall’apposita definizione, contenuta nell’art. 2, lett. a) dello stesso Decreto legislativo.

In linea generale, “contratti commerciali “ sono i contratti conclusi da soggetti nell’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale, in cui parte non è una persona fisica, che conclude il contratto per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale, ma il termine diventa pericolosamente generico e quindi assolutamente non idoneo ad essere utilizzato per determinare una competenza funzionale di un organo giurisdizionale.

In ogni caso, però, l’estensione generalizzata delle competenze, così come prevista nella Misura 13, sembra attribuire al Tribunale delle imprese un ruolo molto simile agli antichi Tribunali di commercio, sicché non risulta chiaro, sulla base del living document, se realmente il futuro legislatore voglia incamminarsi su tale strada, che finirebbe con il far rivivere,in termini e modi diversi, uno di quei privilegi corporativi per il ceto dei “commercianti”, giustamente sanzionati da Cesare Vivante non solo nei suoi scritti di pura dottrina, ma anche nei numerosi interventi “ divulgativi” su Critica sociale, la prestigiosa rivista di cultura politica, diretta da Filippo Turati, nei lontani tempi in cui cultura e politica non erano nemiche mortali.

Il presunto rafforzamento del Tribunale delle imprese, però, non si limita all’estensione ed alla generalizzazione della sua competenza funzionale per materia, ma si dovrebbe realizzare anche attraverso la concentrazione su Milano, Roma e Napoli di tutte le controversie rientranti nelle materie di competenza del Tribunale delle imprese, che coinvolgano società con sede principale all’estero, anche se con rappresentanza stabile in Italia, ottenendo in pratica gli stessi risultati che si volevano conseguire con la competenza inderogabile per territorio, sancita dal poi soppresso art. 80 del “Decreto del Fare”.

Dopo i ripetuti confronti in sede di Commissione Affari Costituzionali, dopo i giusti rilievi del CSM, che hanno portato ad eliminare, in sede di conversione, l’abnorme competenza territoriale esclusiva , prevista dall’art. 80, ex art. 75 del “Decreto del Fare”, il nostro Patrio Legislatore, ci riprova, questa volta attraverso l’ulteriore e dubbia riforma della competenza per materia del Tribunale delle imprese: vuole, in pratica, concentrare su Milano, Roma e Napoli tutte le controversie rientranti nelle materie di competenza del Tribunale delle imprese, che coinvolgano una società estera.

In una parola, vuole che siano solo le sedi giudiziarie delle tre città a giudicare una società straniera. Agli altri Giudici tale compito dovrebbe essere precluso.

Naturalmente, non è dato assolutamente capire perché in tal modo il Tribunale delle imprese, per il quale si prevedono adeguate sedi per ogni Regione, verrebbe utilizzato meglio e perché, sopra tutto, si fornirebbe agli investitori un foro adeguato per la risoluzione delle controversie.

Tanto per citare uno dei numerosi casi che si verificano nella pratica giudiziaria di tutti i giorni, non è dato capire per quale ragione una banca straniera verrebbe privata di un foro adeguato per la risoluzione delle controversie, se venisse citata, insieme al suo promotore finanziario, da un suo cliente a Trapani, a Bari oppure a Bologna, dove il danno si è verificato e dove è legittimo, oltre che opportuno, secondo la razionalità delle norme generali in tema di competenza, che si accerti la verità attraverso il processo.

In nome di una presunta comodità per l’ormai mitizzato investitore straniero, verrebbe leso il diritto alla difesa, costituzionalmente protetto, del comune utente della Giustizia, costretto a spostarsi irragionevolmente per ottenere Giustizia, da Trapani a Napoli, da Bolzano a Milano oppure da Firenze a Roma.

Perché il nostro Legislatore vuole a tutti i costi raggiungere tale nefasto risultato, peraltro chiaramente incostituzionale, come hanno più volte messo in evidenza i critici del soppresso art. 80 del “Decreto del Fare”?

Forse - ed è l’ipotesi più ragionevole- per fornire un chiaro vantaggio organizzativo ai grandi studi legali, ai presunti “Signori della Giustizia”, che, aggiungendo alle usuali sedi di Milano e di Roma, la sede di Napoli, potrebbero attendere “in casa” le loro controparti; queste, invece, per difendere le loro ragioni, dovrebbero spostarsi, senza alcuna ragione plausibile, da una parte all’altra di quel lungo Stivale che è la nostra Italia.

16/10/2013
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