Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Il giudizio ordinario di primo grado nel d.d.l. 2953-A della Camera dei Deputati

di Bruno Capponi
Ordinario di diritto processuale civile della Luiss Guido Carli

Nel disperato tentativo di conseguire, a costo zero, il “rilancio” del giudizio di cognizione ordinaria di primo grado, il d.d.l. 2953-A, approvato nel febbraio scorso dalla Commissione Giustizia della Camera, sembra muovere dalla distinzione tra giudizi di competenza decisoria collegiale (attuale art. 50-bis c.p.c.), il cui novero andrebbe ampliato «in considerazione della oggettiva complessità giuridica e della rilevanza economico-sociale delle controversie» (art. 2-bis d.d.l.) e giudizi di competenza decisoria del giudice singolo, da trattare col rito sommario che, traslocato dal Libro IV al Libro II, assumerebbe la denominazione «rito semplificato di cognizione di primo grado» perdendo (litteris) la qualificazione di «sommario» (che lo aveva appunto fatto collocare, con scelta dubbia invero dai più criticata, tra gli speciali sommari dopo il monitorio e la convalida).

I giudizi collegiali sarebbero soggetti al rito ordinario senza possibilità di disporre il passaggio a quello semplificato (art. 2-quater d.d.l.), quelli monocratici resterebbero soggetti al semplificato senza possibilità di passaggio al rito ordinario (art. 2-ter d.d.l.). Due giudici diversi, che applicano riti diversi destinati a non comunicare.

Il rito ordinario resterebbe quel che è, nonostante l’art. 183 c.p.c. con le sue note appendici di trattazione scritta (comma 6) e i suoi bypass verso conciliazioni e sommario non abbia dato ottima prova. L’impressione è che i giudizi collegiali verranno lasciati a loro stessi, tanto da non prevedere neppure esili ritocchi del rito (esclusivo strumento al quale l’attuale legislatore affida le “riforme” della giustizia civile).

Il nuovo rito semplificato presenterebbe, rispetto all’attuale sommario, un più penetrante potere organizzativo del giudice singolo che, nel rispetto del principio del contraddittorio (curioso che lo si debba ricordare), acquisterebbe la “facoltà” di assegnare termini perentori per la precisazione e modificazione di domande, eccezioni e conclusioni nonché per le deduzioni istruttorie (art. 2-ter d.d.l.). Il tutto perseguendo l’obiettivo di «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e garantire la ragionevole durata del processo» (art. 2 d.d.l.).

Il collegio, però, potrà decidere a seguito di trattazione orale (art. 2-sexies d.d.l.) con conseguente ristrutturazione della fase decisoria (ma l’art. 2-sexies d.d.l. richiama sorprendentemente l’art. 190-bis c.p.c., norma introdotta dalla legge n. 353/1990 e poi abrogata dal d. lgs. 51/1998). L’art. 2-septies d.d.l. è di difficile comprensione, richiamando esso il contenuto dell’attuale art. 187, commi 1 e 2, c.p.c. (la c.d. rimessione anticipata), che non è mai stato abrogato.

Si rinuncia all’idea, propria del d.d.l. governativo, di assegnare efficacia immediata a tutte le sentenze di primo grado (anche, cioè, a quelle di accertamento mero e costitutive). Sul punto non si può non consentire, stante le difficoltà della materia dimostrate dagli orientamenti di legittimità che pure hanno fatto registrare caute aperture ma anche repentini ripensamenti (rinviamo, per brevità, al nostro Orientamenti recenti sull’art. 282 c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 265 ss.).

Sul carattere bizzarro di molti passaggi (specie della relazione) del d.d.l. governativo ci siamo già espressi (cfr. Il d.d.l. n. 2953/C/XVII «delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile», in questa Rivista, 31 marzo 2015); a quelle considerazioni non possiamo che rinviare. Ma dopo il passaggio parlamentare il testo continua a presentare criticità.

Ciò di cui va preso atto – con sconcerto – è che, dopo un lunghissimo e altalenante percorso riformatore iniziato con la legge n. 353/1990 – i cui “lavori preparatori” erano nella nota proposta di riforme urgenti di Fabbrini, Proto Pisani e Verde – il punto di arrivo è proprio nel risultato che quegli illustri studiosi intendevano scongiurare: la sommarizzazione indiscriminata del processo civile di ordinaria cognizione.

Non ci si può nascondere, infatti, che, salvo ristrutturazioni impreviste (e, certo, non auspicabili) dell’art. 50-bis c.p.c. col ritorno al giudice collegiale di primo grado – obiettivo che sarebbe contrario non tanto alle riforme realizzate dal 1990 in poi, quanto alle realtà recepite da innumerevoli raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa – il processo ordinario di primo grado di più comune applicazione diverrebbe quello “semplificato”, vale a dire l’attuale “sommario” a suo tempo (2009) concepito sulla falsariga del procedimento cautelare (art. 669-sexies c.p.c.) con l’aggiunta, forse, di un (ulteriore) potere direttivo del giudice che, condizionato dall’applicazione del canone della ragionevole durata, potrebbe dar luogo a risultati sorprendenti (sufficiente il rinvio a Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Il difficile rapporto tra giudice e legge, Esi, Napoli, 2012).

E non si può non notare che il giusto processo «regolato dalla legge» (art. 111, comma 1, Cost.) esprime un principio fondamentalissimo in ragione del quale dev’essere la legge, e non il giudice, a dettare la disciplina del processo, specie di quello “ordinario” perché vocato alla tutela normale. Ne deriva l’illegittimità di quei processi (o almeno di quei processi su diritti) nei quali l’esercizio dei poteri del giudice e delle parti non sia preventivamente regolato dalla legge per essere lasciato alla discrezionalità dell’ufficio, sia pure da esercitarsi entro limiti posti dai princìpi costituzionali (ciò avviene anche allorché la legge processuale detti una norma “in bianco”, lasciando a chi ha la direzione del procedimento un’ampia libertà di individuare modi, forme e termini sia pure nel rispetto dei princìpi fondamentali, quali ad esempio quello della domanda o del contraddittorio – ai quali dobbiamo aggiungere, ora, quello di ragionevole durata, che però ha giustificato applicazioni contrastanti con gli altri princìpi).

Quindi il senso della norma costituzionale è chiarissimo con riguardo al processo su diritti che ha luogo nelle forme dell’ordinaria cognizione regolata dal Libro II del codice; più sfumato in rapporto ai processi di cognizione speciale, ai procedimenti speciali di cui al libro IV, ad altri procedimenti regolati da leggi speciali ove il discorso non può esser quello della meccanica e aproblematica trasposizione delle soluzioni tecniche adottate in rapporto al processo di cognizione ordinaria. Non a caso, il proprium della tutela sommaria, cautelare, camerale, interinale etc. rispetto alla tutela ordinaria si coglie proprio sul riflesso della diversa qualità degli accertamenti sui fatti rilevanti ai fini del decidere (perché la tutela sommaria comporta di per sé accertamenti e verifiche parziali, superficiali, incompleti e via discorrendo).

Già da tempo la Corte costituzionale (con l’avallo costante della Corte di cassazione) afferma, quanto alla possibilità che la legge preveda riti diversi da quello ordinario (pure non preregolati per legge come quest’ultimo) che «la Costituzione non impone un modello vincolante di processo» (Corte cost. 27 ottobre 2006 n. 341, 14 dicembre 2004 n. 386, 14 ottobre 2005 n. 389, 10 luglio 1975 n. 205), riaffermando «la piena compatibilità costituzionale della opzione del legislatore processuale, giustificata da comprensibili esigenze di speditezza e semplificazione, per il rito camerale, anche in relazione a controversie coinvolgenti la titolarità di diritti soggettivi» (così ancora Corte cost. 23 gennaio n. 10, Corte cost. 29 maggio 2009 n. 170, Corte cost. 20 giugno 2008 n. 221, Corte cost. 10 maggio 2005 n. 194; v. anche Corte cost. 23 gennaio 2013 n. 10, Corte cost. 20 giugno 2008 n. 221, Corte cost. 10 maggio 2005 n. 194; Corte cost. 10 luglio 1975 n. 202).

Ma, quando è il rito della cognizione ordinaria a diventare “sommario”, sebbene pudicamente il legislatore intenda ora chiamarlo “semplificato” (ma la sostanza non cambia, mentre il riferimento a poteri discrezionali del giudice non può che indurre a serie preoccupazioni alla luce delle varie applicazioni del principio di ragionevole durata), è evidente che il termine di paragone salta. Saltano le diversità di disciplina, costituzionalmente giustificabili, tra il modello “prototipo” del processo su diritti (Corte cost., 15 maggio 1995, n. 177) e quelli che intorno gli fanno corona, avendo sempre nel primo il proprio riferimento perché solo portatore di quel coerente complesso di garanzie che nel linguaggio costituzionale determinano la sua “giustizia”.

Si tratta di un risultato davvero disperante. Ma che è il frutto coerente della scelta di non rafforzare gli uffici giudiziari, adeguandoli ai crescenti carichi della domanda di giustizia (rinviamo, per più ampio discorso, al nostro Salviamo la giustizia civile. Cosa dobbiamo dare, cosa possiamo chiedere ai nostri giudici, Milano, 2015). Le riforme fatte sulla carta, a costo zero (la formula burocratica: «senza variazioni di bilancio»), giocando sulle parole senza variare la sostanza degli istituti, ritoccando i riti qui e là secondo una tendenza che impone quello cautelare come il rito normale, traslocando gli istituti da un Libro all’altro del c.p.c., dimidiando i termini senza alcuna giustificazione (e utilità pratica) non possono che produrre simili risultati; e ancor più disperante è il dover prendere atto che ciò sembra avvenire nell’apparente indifferenza delle categorie chiamate ad applicare la legge del processo, le quali, anche per il loro assordante silenzio, sono tutte responsabili dell’irreversibilità della crisi della nostra giustizia civile.

 

___________________

(sui progetti di riforma del processo civile si rinvia anche al n.4/2015 della rivista trimestrale)

23/03/2016
Altri articoli di Bruno Capponi
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Tempi di discussione dell'istanza di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c. e nuovo rito civile

L’Autore affronta la questione della possibilità, dopo la riforma del rito civile, di discutere un’istanza di provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. del decreto ingiuntivo opposto in un’udienza precedente a quella di prima comparizione e trattazione, regolata dal novellato art. 183 c.p.c., come ritenuto recentemente anche dal Tribunale di Bologna in un decreto del 21 settembre 2023.

07/12/2023
Le cosiddette ordinanze definitorie. Prime riflessioni

Le novità legislative introdotte dalla riforma Cartabia con riguardo alle “ordinanze definitorie” presentano criticità prevalenti rispetto alle implicazioni potenzialmente positive. Allo stato, non è prevedibile una significativa diffusione dei due nuovi istituti.

02/06/2023
Le impugnazioni civili dopo il d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149

Il contributo offre una prima lettura delle norme sulle impugnazioni civili, così come modificate dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della legge delega 26 novembre 2021, n. 206. Nelle conclusioni si sottolinea come la riforma delle impugnazioni appaia insufficiente a cambiare radicalmente le sorti dell’amministrazione della giustizia, non solo per la mancanza di scelte radicali, ma anche per la necessità di incidere contemporaneamente anche sulla formazione culturale di magistrati e avvocati e anche sulle troppo spesso trascurate regole di accesso alla professione.

01/06/2023
Il procedimento semplificato di cognizione (o meglio il “nuovo” processo di cognizione di primo grado)

La disciplina del processo di cognizione di primo grado è stata profondamente innovata dalla recente riforma, con l’intento di semplificare, razionalizzare e velocizzare l’attività processuale. Il nuovo rito ordinario appare tuttavia di difficile gestione, con la conseguenza che l’efficienza e la speditezza del sistema sono affidati al nuovo “rito semplificato”, soggetto a regole che si pongono in gran parte in linea di stretta continuità con quelle dell’ormai abrogato processo a cognizione piena.
Appare dunque fondamentale convincere gli avvocati a instaurare il processo nelle forme del rito semplificato, a tal fine potendo concorrere un’interpretazione non restrittiva dell’art. 281-duodecies, quarto comma, cpc per il deposito delle memorie scritte contenenti l’attività di controreplica e le richieste istruttorie.

31/05/2023
Processo civile: modelli europei, riforma Cartabia, interessi corporativi, politica

Il saggio rivolge uno sguardo d’insieme alle strutture del processo civile negli ordinamenti europei, articolando uno schema di alternative modellistiche; indica spunti di comparazione con la riforma del 2021/2022 del processo civile italiano; presenta le Regole europee modello sul processo civile, approvate nel 2020; in seno a queste delinea la combinazione dinamica tra i principi di cooperazione e di proporzionalità, con particolare riguardo alla fase preparatoria; esplora infine alcuni contesti critici per il buon funzionamento della giustizia civile: la crisi dell’unità della figura del giurista, l’insegnamento universitario del diritto, la necessità che la politica recuperi l’autorevolezza per arginare il peso degli interessi corporativi.

30/05/2023
Nuove linee guida operative per l'azione del pm e della Procura di Tivoli nei procedimenti civili in materia di allegazioni di violenza di genere e tutela dei minorenni

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli ha emanato delle linee guida finalizzate ad assicurare una effettiva ed efficace presenza del pubblico ministero nei procedimenti civili in cui si rende necessaria protezione e tutela delle vittime di violenza domestica e dei minorenni. Le linee guida - che costituiscono aggiornamento di quelle emanate nel 2019 dalla medesima Procura della Repubblica - tengono conto degli effetti dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 149 del 2022. La particolare interconnessione del procedimento civile e del procedimento penale in questa materia rende opportuno che sia il giudice civile che il pubblico ministero possano, nel rispetto delle norme processuali, conoscere gli atti dei rispettivi procedimenti al fine di pervenire a valutazioni non parcellizzate. Nelle linee guida vengono richiamate le norme nazionali e sovranazionali di riferimento, nonché la risoluzione del CSM del 2018 in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica. Il livello di dettaglio delle premesse e dell'articolato, e il costante riferimento all'esperienza concreta, rendono le linee guida Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli uno strumento pratico applicabile anche nel contesto di altri uffici giudiziari

15/03/2023
Il nuovo giudizio di appello

Il d.lgs n. 149 del 2022 mantiene l’attuale fisionomia del processo di secondo grado quale controllo pieno sulla controversia caratterizzato da effetto devolutivo e divieto di nova, abroga l’ordinanza di inammissibilità ex art. 348-bis cpc, prevedendo in sostituzione un modulo di decisione semplificato in caso di manifesta infondatezza del gravame e reintroduce la figura del consigliere istruttore, conformando la struttura del giudizio di appello a quella di primo grado.

09/03/2023
Per un linguaggio non ostile dentro e fuori il processo. Il potere delle parole. Avere cura delle parole

Le linee guida varate dagli Osservatori della giustizia civile vogliono essere il grimaldello per spalancare la porta alla consapevolezza che bisogna avere grande cura delle parole che si usano nel processo, e che nel percorso che conduce alla decisione le emozioni hanno una parte fondamentale 

05/11/2022
Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione

La necessità di rendere compatibile la vincolatività nel processo del principio di diritto enunciato in sede di rinvio pregiudiziale con la tendenza evolutiva della giurisprudenza impone di affidare la decisione sul rinvio alle sezioni unite. Ai fini dell’inerenza del rinvio pregiudiziale all’oggetto del processo, devono essere esposte nell’ordinanza di rinvio le circostanze di fatto che rendono necessario il rinvio e il primo presidente della Corte di cassazione deve avere il potere di dichiarare inammissibile il rinvio pregiudiziale quando risulti manifesto che la detta necessità non ricorre.

30/09/2021