Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Il diritto di asilo costituzionalmente garantito versus il concetto di “Stato terzo sicuro” nel parere dell’Assemblea generale del Consiglio di Stato francese

di Serena Bolognese
dottore di ricerca in diritto internazionale, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e Università di Parma
Un’Europa insicura circondata da Paesi sicuri? Il concetto di “Stato terzo sicuro” alla prova del diritto costituzionale d’asilo nel parere del Consiglio di Stato francese

1. Introduzione

In una fase in cui il diritto di asilo in Europa sta attraversando il suo momento più buio, il parere del 16 maggio 2018 dell’Assemblea generale del Consiglio di Stato francese pone i riflettori sugli ultimi capisaldi a cui il diritto di asilo, in pieno naufragio, può ancorarsi: i principi e le norme nazionali di rango costituzionale.

Nel contesto della proposta della Commissione europea di trasformare la “direttiva procedure” in regolamento [1] e di rendere così obbligatorio, fra gli altri, il concetto di Stato terzo sicuro, il Primo Ministro francese Edouard Philippe ha chiesto al Consiglio di Stato di verificare la compatibilità del ricorso a tale concetto con la Costituzione francese [2].

Il Consiglio di Stato, nella forma dell’Assemblea generale, incaricata di fornire pareri giuridici al governo in merito ai disegni e alle proposte di legge, ha reso un parere di sette pagine firmate dal Consigliere Patrick Stefanini, nelle quali si legge che «un règlement européen qui imposerait à la France, et plus précisament a l’Ofpra [Office Francais de Protection des Refugies et Apatrides] de rejeter comme irrecevible une demande de asile au motif qu’un pays peut etre regardé comme un pays tiers sur pour le demandeur (…) ne serà pas comforme au quatrième alinéa du préambule de la Constitution de 1946, auquel renvoie la Constitution de 1958» secondo cui «tout homme persécuté en raison de son action en faveur de la liberté a droit d’asile sur les territoires de la République». In quest’ottica, sarebbe la stessa Costituzione francese a farsi limite contro l’indirizzo del nuovo “regolamento procedure” – limite superabile, secondo il Consiglio di Stato, solo con l’approvazione di una legge costituzionale o, più fattibilmente, con la previsione nel regolamento di una clausola che consenta agli Stati di non ricorrere al concetto di Stato terzo sicuro.

Di questo parere riservato è entrato in possesso il quotidiano Le Monde [3], che ne ha dato notizia lo scorso 14 giugno. Emergono così i dettagli di uno scenario non propriamente unanime all’interno del governo francese, con il Primo Ministro meno assertivo sulla compatibilità della nozione di Stato terzo sicuro con la Costituzione francese di quanto non sia il ministro dell’Interno, Gérard Collomb, fermo sostenitore dell’indirizzo della Commissione e confortato in questa direzione dalla Direction Générale des Etrangers en France (DGEF). Proprio quest’ultima, persuasa della necessità di fermare i flussi in ingresso in Europa, avrebbe inviato una nota a Matignon, esprimendo la propria delusione circa la rimozione da parte del Presidente Macron del riferimento al concetto di Stato terzo sicuro nella “Legge Collomb” prima della sua discussione in seno al Consiglio dei ministri del 22 febbraio 2018.

Nelle seguenti pagine, si cercherà innanzitutto di chiarire i profili di maggiore criticità relativi al concetto di Stato sicuro per poi soffermarci sul contributo che potrebbe derivare dal parere in commento per l’indirizzo politico francese. Più in generale, è necessario riflettere sull’adozione di questo regolamento procedure e, quindi, del concetto di Stato sicuro, anche con riferimento al bilanciamento che si renderebbe inevitabile fra l’obiettivo dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di asilo e la piena difesa dei principi costituzionali interni in tema di tutela dei richiedenti asilo.

2. Sul concetto di “Stato sicuro”

Occorre qui ricordare che il concetto di Stato sicuro, introdotto nella “direttiva procedure” (direttiva 2005/85/CE) e mantenuto nella sua rifusione (direttiva 2013/32/UE), consente di analizzare le domande di asilo con procedure accelerate e/o di frontiera nel caso in cui il richiedente provenga da uno Stato di origine sicuro. La provenienza da uno Stato terzo ritenuto sicuro o da uno Stato di primo asilo può invece far dichiarare inammissibile la domanda di asilo presentata dal richiedente [4]. La ratio che accomuna entrambi i concetti è quella di legittimare l’allontanamento altrove di richiedenti asilo, trasferendo verso Stati terzi la responsabilità di protezione nei loro confronti. Ciò avviene o perché i richiedenti provengono da uno Stato di origine sicuro e, pertanto, possono farvi ritorno, o in quanto questi abbiano transitato o abbiano trovato protezione in uno Stato terzo verso cui si possa parimenti rinviare. Secondo alcuni Stati la mancata provenienza diretta del richiedente asilo dallo Stato di persecuzione giustificherebbe il rinvio del richiedente asilo verso lo Stato in cui questi abbia precedentemente transitato e goduto di una forma di tutela [5].

Ciò che qui interessa sottolineare è che, trattandosi di una direttiva, non tutti gli Stati aderenti al sistema europeo comune di asilo hanno trasposto tale concetto nel proprio ordinamento interno: l’Italia, ad esempio, non rientra tra gli Stati che utilizzano tale nozione, a differenza di Stati membri, come la Francia, che ha invece trasposto a livello nazionale il concetto di Stato di origine sicuro e di Stato di primo asilo e non quello di Stato terzo sicuro [6]. Per di più, esistono significative divergenze non solo nel recepimento o meno del concetto ma anche nelle modalità di trasposizione della nozione di Stato sicuro a livello nazionale [7]. Divergenze significative si rinvengono sia sotto il profilo sostanziale, ovvero nella scelta o nell’interpretazione di alcuni criteri che ai sensi della direttiva definiscono sicuro uno Stato di origine o uno Stato terzo [8], sia sotto il profilo procedurale.

Con riferimento al primo profilo, l’identificazione di parametri comuni sulla base dei quali si possa qualificare uno Stato come sicuro costituisce un punto controverso. Il fallimento del tentativo di determinare una unica lista di Stati sicuri per tutti gli Stati membri dell’Unione europea rappresenta forse la prova più evidente della mancanza di criteri comuni nella definizione della sicurezza di uno Stato [9]. Divergenze significative si registrano anche nella scelta o nell’interpretazione di singoli criteri che rendono sicuro uno Stato terzo [10], o di alcuni parametri di cui si deve tener conto quando uno Stato sia ritenuto Paese di primo asilo [11]. Sotto il profilo procedurale, invece, l’aspetto problematico più rilevante riguarda il rischio che procedure accelerate e/o di ammissibilità riducano significativamente le garanzie dei richiedenti protezione internazionale a discapito della tutela effettiva dei loro diritti fondamentali. Basti pensare ai tempi ridotti di analisi delle domande di asilo di chi provenga da uno Stato ritenuto sicuro: la riduzione dei tempi, anche questa lasciata alla discrezionalità degli Stati, può avvenire sia per l’esame in prima istanza sia per quello in seconda istanza.

A ciò si aggiunga che nelle procedure accelerate di analisi delle domande di asilo, pesa sul richiedente l’onere di scardinare la presunzione di sicurezza dello Stato di provenienza davanti alle autorità competenti ad analizzare la domanda di protezione internazionale. La provenienza del richiedente da uno Stato sicuro porta a presumere che la relativa domanda di asilo sia infondata (nel caso di chi provenga da uno Stato di origine ritenuto sicuro) o inammissibile (se si ritiene sicuro lo Stato terzo), a meno che il richiedente non ribalti tale presunzione durante il procedimento. Il fatto che l’onere della prova sia a carico esclusivo del richiedente rischia tuttavia di comportare un pregiudizio non da poco per gli interessi di questo soggetto, se si considera che nelle procedure ordinarie l’accertamento della sicurezza di uno Stato avviene tramite la cooperazione tra richiedente e autorità accertante [12]. Pregiudizio peraltro acuito se si pensa ai tempi eccessivamente ridotti sia in prima sia in seconda istanza che potrebbero rendere inefficaci anche i mezzi lasciati ai richiedenti per ribaltare la presunzione di sicurezza [13]. Si potrebbe persino paragonare questo onere della prova invertito all’approccio tipicamente civilistico in cui la richiesta di una prova contraria finirebbe per costituire una cd. probatio diabolica.

La provenienza da uno Stato sicuro ha inoltre ricadute significative anche sul ricorso che il richiedente può esperire avverso la decisione che rigetta la propria domanda di protezione internazionale e quindi sul diritto a un ricorso effettivo. Oltre a tempi ridotti per poter presentare un ricorso, la provenienza da uno Stato considerato sicuro consentirebbe agli Stati membri di negare l’effetto sospensivo del ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale. La non automaticità dell’effetto sospensivo relativamente all’efficacia dell’atto impugnato potrebbe infatti essere previsto a livello nazionale anche per i ricorsi avverso le domande dichiarate manifestamente infondate (e quindi anche per la mera provenienza da uno Stato di origine sicuro) e per i ricorsi avverso una domanda dichiarata inammissibile (quindi anche per la provenienza da uno Stato di primo asilo) [14]. Poiché la proposizione del ricorso avverso tali decisioni potrebbe non produrre un effetto sospensivo dell’atto impugnato, il richiedente che volesse evitare l’allontanamento verso lo Stato di provenienza avrà come unico rimedio esperibile quello di presentare un’apposita istanza cautelare al giudice nazionale che deciderà sulla permanenza o meno dello stesso in attesa dell’esito del ricorso. Tuttavia, la prassi statale sembra piuttosto divergente sul punto, lasciando ampia discrezionalità agli Stati rispetto alla questione relativa al diritto di rimanere nel territorio dello Stato ospitante in pendenza del ricorso [15]. Senza dubbio, la mancanza di un effetto sospensivo automatico potrebbe inficiare l’effettività dello stesso rimedio giurisdizionale, in considerazione dell’irreparabilità delle conseguenze che si verificherebbero al rientro del richiedente nello Stato di origine o di provenienza [16].

Infine, la scarsa attenzione del legislatore europeo nel disciplinare il sistema di revisione delle liste è ragione di ulteriore disomogeneità tra gli elenchi degli Stati. Ai sensi del considerando 49 della direttiva Procedure viene specificato che, quando gli Stati membri vengono a conoscenza di un significativo cambiamento nella situazione relativa alla tutela dei diritti umani in un Paese designato da essi come sicuro, questi dovrebbero provvedere affinché sia svolto quanto prima un riesame di tale situazione e, ove necessario, rivedere la designazione di tale Paese come sicuro. Sebbene tale considerando incoraggi la previsione di un sistema di modifiche interno, gli Stati sono lasciati liberi di individuare le modalità interne di revisione e quindi di designare anche l’organo competente cui affidare tale funzione. Si pone allora la questione relativa all’individuazione di un modello appropriato di revisione delle liste. Nel farlo ci si potrebbe interrogare su quali possano essere i principi generali a cui l’attività di questi organi di revisione debba ispirarsi. Si potrebbero, così, immaginare, tre possibili modelli di organi di revisione. Un primo modello potrebbe essere interno, ovvero coincidere con lo stesso apparato o organo che abbia inizialmente redatto le liste di Stati sicuri. Tuttavia, una criticità che potrebbe facilmente sollevarsi rispetto a questo modello è che affidare allo stesso organo interno il compito di emendare gli elenchi potrebbe presentare il rischio di una gestione ancora troppo “politica” anche della fase della loro revisione. Un secondo modello potrebbe allora consistere nell’affidamento della revisione a un organo completamente esterno e diverso da quello che abbia in origine redatto le liste di Stati sicuri, quale ad esempio un organo giurisdizionale. Tuttavia, un sistema solo esterno, a maggior ragione di questo tipo, renderebbe la revisione delle liste strettamente dipendente dalla mera presentazione di ricorsi giurisdizionali. Per di più, non sembra del tutto realizzabile l’adozione di un simile modello, dal momento che l’organo di designazione nazionale delle liste perderebbe del tutto il potere di controllo ultimo sulle liste di Stati sicuri. Infine, un terzo modello, certamente più convincente, potrebbe essere misto, composto, cioè, sia da membri facenti parte dell’organo che ha inizialmente redatto le liste di Stati sicuri, a cui rimarrebbe il controllo degli elenchi, ma anche da esperti in materia di tutela dei diritti umani, come membri permanenti. Di questo modello si apprezzerebbe l’eterogeneità della sua composizione che favorirebbe un bilanciamento costante delle diverse istanze rappresentate. La predisposizione di un meccanismo di revisione interno delle liste, ma misto per composizione, consente inoltre una periodica e completa revisione delle liste senza che questa sia dipendente esclusivamente dai ricorsi giurisdizionali, la cui presenza rimane fondamentale come strumento di ulteriore garanzia e, soprattutto, di indipendenza ma a cui non si può affidare esclusivamente la revisione degli elenchi nazionali [17].

Fintanto che adeguati strumenti di revisione interni non siano predisposti a livello nazionale, ciò porterà sul piano pratico al paradosso che alcuni Stati siano presenti come sicuri negli elenchi di alcuni Stati e non in quelli di altri. Tali divergenze minano evidentemente due obiettivi chiave del sistema europeo comune di asilo: l’armonizzazione e l’equità delle procedure dal momento che un richiedente originario di questi Paesi potrebbe vedere la propria domanda analizzata con procedure accelerate e/o di frontiera a seconda di dove presenti domanda di asilo. Non sembra perciò che la previsione nel considerando di meccanismi di revisione sia davvero risolutiva, a meno che non si dia avvio ad una vera e propria revisione da parte della Commissione europea che, proprio come previsto dalla “direttiva procedure”, periodicamente dovrà revisionare le liste nazionali. Nel frattempo, sarebbe da incoraggiare un maggior uso delle informazioni sui paesi di origine (cd. Country of Origin Information) fornite da organizzazioni internazionali e da agenzie specializzate come l’UNHCR e l’European Asylum Support Office (EASO). Simili strumenti, malgrado se ne raccomandi il ricorso nella direttiva stessa, rimangono ancora scarsamente utilizzati [18].

3. Sulle criticità esistenti e persistenti di una lista comune di Stati sicuri nella proposta della Commissione europea

Sebbene la letteratura sia sempre stata attenta al tema del ricorso al concetto di Stato sicuro [19], il dibattito intorno a tale concetto è tornato pressante in tempi recenti quando, per l’appunto, la Commissione europea ha proposto l’adozione di un regolamento connesso alla “direttiva procedure” recante un elenco comune di Stati sicuri [20]. La proposta è stata poi mantenuta nel quadro di revisione complessiva del sistema europeo comune di asilo, che prevede l’avvio di una terza generazione di strumenti normativi, in sostituzione di quelli vigenti [21], ed è stata perciò inserita nell’ambito della proposta della Commissione di trasformare la direttiva Procedure in regolamento.

L’adozione di una lista europea comune di Stati sicuri è frutto evidentemente di una ri-politicizzazione del concetto di Stato sicuro, connessa alla necessità di controllo e contenimento dei flussi migratori. Non è infatti casuale che nella proposta della Commissione europea di una lista comune di Stati sicuri siano stati inclusi i Paesi balcanici e la Turchia: nel 2015, vi era infatti stata una forte pressione migratoria sulla rotta balcanica, con un conseguente aumento delle richieste di protezione internazionale negli Stati membri dell’Unione europea [22]. Come rimedio a tale pressione migratoria, alcuni Stati, soprattutto gli Stati posti a confine di tale rotta, avevano emendato le proprie legislazioni nazionali, introducendo o modificando le liste nazionali di Stati sicuri. L’Ungheria, ad esempio, nel luglio 2015, ha adottato una lista nazionale di Stati sicuri che include appunto Stati quali Kosovo, Macedonia e Serbia, emendando il cd. Hungarian Asylum Act [23] e il suo decreto di attuazione. In questo modo, quindi, le liste nazionali di Stati sicuri avevano lo scopo di respingere un ampio numero di richiedenti asilo verso Stati di transito, o di origine, ritenuti sicuri. Se si guarda ai dati, infatti, il 99% delle domande provenienti dalla Serbia venivano dichiarate manifestamente infondate dalle autorità competenti ungheresi.

Lungo la stessa direzione si colloca la proposta da parte della Commissione europea di inserire, accanto agli Stati balcanici, anche la Turchia come Stato sicuro. Non a caso, l’Unione europea ha realizzato con tale Stato un’articolata cooperazione con l’intento di contenere i flussi migratori da questo Paese. Per la prima volta è stato regolato l’allontanamento verso detto Stato non solo dei migranti irregolari ma anche dei richiedenti asilo la cui domanda sia stata dichiarata inammissibile o infondata, sulla base della qualificazione della Turchia come Stato di primo asilo. Proprio questa qualificazione è stata inserita dalla Grecia nella propria legislazione nazionale, in conseguenza degli accordi intercorsi tra l’Unione e la Turchia [24]. Già dalle primissime fasi di negoziazione, tale proposta ha sollevato una forte preoccupazione dell’Alto Rappresentante delle Nazioni Unite per i rifugiati, il quale ha mostrato perplessità nella misura in cui tale strumento potesse favorire un respingimento indiscriminato di migranti, senza le garanzie per la protezione dei rifugiati stabilite nel diritto internazionale [25]. Non sono peraltro mancate puntuali osservazioni critiche anche in dottrina [26]. Peraltro, ora che è stata sbloccata la seconda tranche di tre dei sei miliardi garantiti alla Turchia per l’accoglienza dei circa tre milioni di migranti, in gran parte cittadini siriani, l’allontanamento di migranti verso detto Stato dovrebbe continuare, così come continueranno a persistere i dubbi sulla sicurezza della Turchia sia come Stato di origine sia come Stato terzo verso cui rinviare [27].

Ciò che va qui evidenziato è che la proposta di un elenco comune di Stati sicuri sembrerebbe essere accompagnata da un abbassamento complessivo anche dei diritti procedurali garantiti ai richiedenti asilo, specie se le domande verranno analizzate sempre più con procedure di ammissibilità. Non può infatti essere trascurata la rinnovata centralità delle procedure di frontiera e delle procedure accelerate e di ammissibilità nel progetto di riforma della “direttiva procedure” in Regolamento. Come è noto, le procedure di frontiera e di ammissibilità non rappresentano mai un esame pieno e completo della domanda, limitandosi spesso ad alcuni specifici accertamenti che nella maggior parte dei casi consistono nella verifica della mera provenienza o transito da uno Stato sicuro. Va da sé che, se l’analisi della domanda si limita al solo accertamento della provenienza da uno Stato sicuro, è verosimile che non si indaghino a fondo le esigenze di protezione internazionale di ciascun richiedente asilo con un conseguente rischio di violare il divieto di trattamenti inumani e degradanti.

Ci basti qui ricordare che le condotte di allontanamento delle autorità ungheresi, facenti leva sul concetto di Stato sicuro, sono state considerate dalla Corte europea dei diritti umani in netta violazione dell’articolo 3 Cedu, proprio in ragione del rischio di tortura o trattamenti inumani derivanti dal rischio di respingimenti a catena al quale i ricorrenti sarebbero stati sottoposti [28].

Ulteriore considerazione critica deve svolgersi alla luce della coesistenza dell’elenco comune europeo di Stati sicuri con gli elenchi nazionali. Infatti, nella proposta della Commissione europea, l’elenco comune andrebbe a sostituire gradualmente, nel corso di cinque anni, gli elenchi nazionali attualmente vigenti. Soltanto dodici Stati ricorrono alle liste di Stati sicuri; pertanto, in attesa della loro sostituzione, si continuerà ad avere un quadro dell’Europa a due anime: quella respingente, di cui l’Ungheria di Orbàn è espressione, e quella di altri Stati che non hanno (ancora) adottato liste di Stati sicuri. In sintesi, quindi, le disuguaglianze e le iniquità nelle procedure di esame delle domande di asilo non diminuiranno tra richiedenti asilo sulla base della loro provenienza [29].

Merita infine sottolineare che si tratta di un concetto, quello dello Stato sicuro, destinato a trovare sempre più applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea. Il concetto in esame ha trovato infatti un inquadramento giuridico anche negli strumenti volti a determinare lo Stato competente ad analizzare le domande di asilo. Benché il regolamento (UE) n. 604/2013 (cd. regolamento Dublino III) sia teso a individuare lo Stato competente ad analizzare la domanda di asilo, esso lascia aperta la possibilità di inviare il migrante o il richiedente asilo verso uno Stato terzo ritenuto sicuro [30]. C’è di più. Alla luce di una pronuncia del 2016 della Corte di giustizia dell’Unione europea, nel caso Mirza, l’invio del migrante verso uno Stato terzo sicuro potrebbe avvenire non solo prima della determinazione dello Stato competente ad analizzare la domanda di asilo, ma anche successivamente l’individuazione dello Stato membro competente ad analizzare la sua domanda di asilo [31]. Peraltro, è appena il caso di rammentare che l’articolo 3, paragrafo 3, così come formulato nella proposta della Commissione europea di un nuovo Regolamento Dublino prevede espressamente che l’esame dei criteri di competenza avvenga soltanto dopo l’espletamento delle procedure di ammissibilità della domanda (per eventuale passaggio del richiedente in un Paese di primo asilo o Paese terzo sicuro), nonché della procedura accelerata (per provenienza del richiedente da Paese di origine sicuro) [32]. Va da sé che ciò porterà a un evidente aumento del ricorso al concetto di Stato sicuro come forma ulteriore di contenimento dei flussi migratori (per nulla paragonabili a quelli degli anni precedenti), con un conseguente rischio di svuotamento del diritto di cercare e godere asilo nel territorio dell’Unione europea, come già paventato in tempi ancora non sospetti [33].

4. Il valore simbolico del parere di un organo giurisdizionale nazionale nel sistema di tutela multilivello dei diritti fondamentali

Alla luce di tali riflessioni, il parere del Consiglio di Stato francese è di rilevante interesse nella misura in cui si tratta di un organo giurisdizionale nazionale a pronunciarsi sull’utilizzo del concetto di Stato sicuro.

Occorre qui ricordare che nessuna questione di legittimità costituzionale è stata sinora sollevata dinanzi al Consiglio di Stato con riferimento ai concetti di Stato sicuro trasposti nell’ordinamento francese nel quale, ad ogni modo, si rilevano alcune garanzie specifiche introdotte dal legislatore nazionale. Più precisamente, e con particolare riferimento all’allontanamento verso uno Stato di primo asilo, la legislazione francese prevede standard più favorevoli di quelli previsti dalla direttiva Procedure e comunque un dettato normativo conforme ai principi costituzionali. Il legislatore ha previsto che la protezione nel Paese di primo asilo debba infatti essere effettiva e non sufficiente, in conformità peraltro con alcune decisioni del Consiglio di Stato [34]. In secondo luogo, è fatta salva la possibilità per l’OFPRA di analizzare nel merito anche le domande presentate da chi provenga da un Paese di primo asilo, stabilendo espressamente che «l’office conserve la faculté d’examiner la demande présentée par un étranger persécuté en raison de son action en faveur de la liberté ou qui sollicite la protection pour un autre motif» [35].

Per quanto concerne invece il concetto di Stato di origine sicuro, in passato alcune decisioni del Consiglio di Stato avevano portato all’eliminazione di alcuni Stati dall’elenco nazionale francese [36]. Tali pronunce, seppur meritevoli di attenzione, in quanto espressione di una vigilanza sugli elenchi ad opera di un organo esterno e indipendente, non sono riuscite a contestare l’utilizzo in sé del concetto di Stato di origine sicuro.

Il parere in commento segna invece un’apertura significativa nella misura in cui il sindacato del più alto organo amministrativo francese investe per la prima volta la conformità ai principi costituzionali dell’utilizzo del concetto di Stato terzo sicuro in un atto dell’UE. Tale delibera è di interesse proprio per il ruolo che il diritto di asilo costituzionalmente garantito potrebbe rivestire, ovvero quello di rappresentare l’unico freno alle proposte di riforma del sistema europeo comune di asilo che puntano ad esternalizzare sempre più il diritto di asilo [37].

Il ricorso al concetto di Stato terzo sicuro, in un’accezione sempre più stato-centrica [38], si inserisce peraltro in un contesto, quello internazionale, in cui non esiste un dovere dello Stato di ammettere nel territorio un individuo e non esiste nemmeno un dovere a riconoscere l’asilo [39]. Sarebbe stato proprio il contenuto semi-aperto del principio di non-refoulement ad aver favorito le politiche di protezione altrove: se, per un verso, tale principio sancisce un esplicito divieto di allontanamento verso Stati non sicuri, per altro verso, esso non impone in capo allo Stato un obbligo positivo di ammissione nel proprio territorio.

Pertanto, non essendo espressamente vietato l’allontanamento verso Stati diversi o aree diverse da quelle di persecuzione o dove l’individuo possa subire trattamenti inumani e degradanti, gli Stati hanno iniziato a ricorrere al concetto di Stato sicuro per poter inviare altrove richiedenti asilo.

Tuttavia, laddove la presunzione assoluta di sicurezza non lasci spazio a uno scrutinio rigoroso e a considerazioni individuali, esiste un rischio reale che la protezione altrove non si traduca né in un efficace sistema di burden-sharing né in una protezione effettiva per l’individuo ivi inviato [40]. Al contrario, può esservi un rischio reale che tali allontanamenti siano potenzialmente lesivi dei diritti fondamentali. In questi contesti, il principio di non-refoulement deve dunque operare come limite all’espulsione e non come fondamento delle politiche di protezione altrove.

Va inoltre sottolineato che la tutela da accordare ai migranti inviati in Stati considerati sicuri non può limitarsi soltanto alla garanzia di non subire trattamenti inumani e degradanti o atti di tortura, ma dovrebbe comprendere – specie se gli individui sono bisognosi di protezione – anche il diritto di cercare e godere dell’asilo negli Stati di destinazione. E ciò per due ordini di ragioni: il primo è che, se è vero che si può ravvisare un divieto di inviare verso uno Stato non sicuro a partire dal diritto di cercare e godere dell’asilo previsto dall’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non può al contempo avallarsi un’interpretazione del principio di non-refoulement che limiti il diritto di cercare e godere protezione. Peraltro, alla luce dei principi generali in materia di interpretazione dei trattati, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, richiamata nel preambolo della Convenzione di Ginevra del 1951, può essere utile per chiarire il contenuto delle disposizioni normative e, quindi, nel caso che qui interessa, contribuire a chiarire il significato da attribuire al principio di non-refoulement [41]. Secondariamente, il principio di non-refoulement non può essere interpretato in maniera contraria all’oggetto e alle finalità previste dalla stessa Convenzione di Ginevra del 1951, il cui obiettivo è proprio quello di offrire protezione a chi venga riconosciuto come rifugiato.

Inoltre, il divieto di refoulement non può essere l’unico parametro di riferimento per valutare la sicurezza dello Stato di destinazione. E ciò nella misura in cui il divieto di refoulement non determina in capo all’individuo allontanato un diritto a vedersi riconosciuto l'asilo, ma soltanto il diritto a non essere mandato verso luoghi in cui la sua vita o libertà siano in pericolo. Gli Stati che effettuino il rinvio dovranno, pertanto, verificare non solo che negli Stati di destinazione considerati sicuri sia garantita la tutela da tortura o trattamenti inumani e degradanti, ma che sia anche riconosciuto il diritto di cercare e godere dell’asilo. Fintanto che il ricorso alla nozione di Stato sicuro funge da meccanismo per non ammettere o non analizzare una domanda di asilo, tale diritto di cercare e godere asilo deve ritenersi sospeso. E fintanto che non si sia verificata la possibilità di cercare e godere asilo, non possiamo escludere che ci sia un rischio di refoulement indiretto verso lo Stato di persecuzione [42].

La seconda considerazione sulla rilevanza della delibera in commento muove dalla constatazione che le pronunce delle giurisdizioni sovranazionali che sinora si sono direttamente occupate di questioni interpretative, o di legittimità di condotte di allontanamento, facenti leva sul concetto in esame, hanno lasciato spazio talvolta a incoerenze e/o a lacune nel sistema di tutela del diritto di asilo.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, nella summenzionata sentenza Mirza, ha fornito un’interpretazione del regolamento Dublino che consentirebbe anche allo Stato designato come competente ad esaminare una domanda di asilo di inviare verso uno Stato sicuro l’individuo in questione. Si assiste perciò a un processo di integrazione regionale che, se da una parte tende alla distribuzione di oneri e obblighi in materia di asilo tra gli Stati membri dell’Unione europea, dall’altro consentirebbe agli stessi Stati membri di ricorrere a misure restrittive di accesso al sistema di protezione internazionale, come il ricorso alla nozione di Stato sicuro. In tale ambito, il diritto di asilo che trova fondamento in molte costituzioni degli Stati membri può fungere da spinta per ritrovare quell’identità di valori perduta. Va qui allora sottolineata l’urgenza di ripartire dal riconoscimento delle tradizioni costituzionali comuni, quali fonti di principi generali comunitari ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del TUE. Come già osservato, «il diritto costituzionalmente tutelato potrebbe contribuire ad individuare quelle tradizioni costituzionali comuni sulle quali […] la Corte di giustizia può basare il riconoscimento di un analogo diritto proprio dell’ordinamento dell’Unione ai sensi dell’articolo 6 (3) Tue» [43].

Sempre in tema di pronunce di tribunali internazionali, e dei loro eventuali limiti e/o lacune, si possono qui richiamare le sentenze della Corte Edu che, seppur abbiano sancito l’illegittimità convenzionale dell’allontanamento verso uno Stato considerato a priori sicuro, hanno riconosciuto violazioni dell’articolo 3 solamente in presenza di violazioni sistemiche o nei casi di particolare vulnerabilità del ricorrente. Anche nella sentenza Ilias and Ahmed v. Hungary, la violazione dell’articolo 3 è stata riconosciuta dalla Corte in ragione delle evidenti carenze procedurali serbe che non sarebbero state tenute in debito conto da parte dell’Ungheria [44]. Ciò lascerebbe inoltre intendere che, qualora lo Stato di destinazione dovesse assicurare una tutela equivalente o, ai fini che qui interessano, non dovesse presentare lacune nel proprio sistema di asilo, i trasferimenti potrebbero essere legittimi, ancorché effettuati in applicazione del concetto di Stato sicuro. Tale posizione è da attribuire all’atteggiamento da parte della Corte tendente a limitare il proprio sindacato su condotte imposte dal diritto dell’Unione europea. D’altro canto, occorre tenere in mente che la stessa Corte, quando si è pronunciata in merito ai trasferimenti Dublino, ha modulato sempre la valutazione circa la sicurezza dello Stato, facendo un costante bilanciamento tra la necessità di tutela del ricorrente, ma anche stando attenta a non scardinare completamente i criteri di riparto di competenze del regolamento Dublino [45].

Riassumendo, se, per un verso, vanno accolte positivamente le sentenze della Corte Edu che consentono di offrire una tutela effettiva al singolo individuo, per altro verso, esse sembrerebbero (almeno al momento) limitate a casi eccezionali. Non sembrerebbe perciò che la Corte Edu sia in grado di favorire il consolidamento generale di un diritto di asilo che, non essendo previsto espressamente nel testo convenzionale, può rientrarvi solo in via interpretativa, passando per le maglie dell’articolo 3 Cedu – e, quand’anche questo avvenisse, non potrebbe che avere una portata caso per caso. Ciò che si avverte maggiormente invece è la necessità di massimizzare la tutela non tanto del singolo diritto dell’individuo che viene di volta in volta in gioco, quanto quella del diritto di asilo tout court, sempre più compromesso dall’allontanamento verso Stati terzi. Ed è qui che il ruolo del giudice nazionale delle leggi potrebbe rivelarsi centrale, eccependo l’illegittimità costituzionale dei regolamenti il cui obbligo in capo agli Stati di allontanare verso Stati presuntamente sicuri forzerebbe a violare il diritto di asilo costituzionalmente garantito [46].

5. Considerazioni conclusive

Con il ricorso a meccanismi che presumono o determinano a priori la sicurezza dello Stato di destinazione, la nozione di Stato sicuro sta diventando sempre più uno strumento che indebolisce la tutela dei diritti individuali dei richiedenti asilo, specie perché gli elenchi di Stati sicuri sono utilizzati sempre più in un’ottica securitaria, in merito alla quale, però, la sicurezza in questione è più dello Stato che allontana che non dello Stato di destinazione. 

A tal riguardo, risulta estremamente efficace la ricostruzione che Zygmunt Bauman propone del concetto di sicurezza, descrivendolo «come una condizione in cui si è protetti o non esposti a pericoli ma anche come un qualcosa che rende sicuri; una protezione, una difesa. Sicurezza è dunque uno dei pochissimi termini non comuni che lega quella condizione ai mezzi che si presume siano quelli giusti per conseguirla» [47].

Sembrerebbe allora che gli Stati membri dell’Unione europea abbiano ritrovato negli elenchi di Stati sicuri i mezzi più giusti per conseguire la loro protezione e difesa. L’immagine che rimane, certamente paradossale, è quella di un’Europa insicura, circondata da Stati sicuri.

In un simile contesto, ovvero quello di una evidente regressione dell’effettività del diritto di asilo in Europa - sancita e legittimata da un regolamento europeo che imporrà agli Stati di adottare, tra gli altri, il concetto di Stato terzo sicuro –, il parere del Consiglio di Stato dà agio al dibattito interno all’Esecutivo francese di proseguire fra coloro che, come il Ministro Collomb, paiono abbracciare senza esitazioni l’impostazione della Commissione europea e coloro che, invece, vi intravvederebbero profili di possibile illegittimità costituzionale. Questa vicenda, seppur interna alle dinamiche politiche francesi, potrebbe ripetersi, mutatis mutandis, in altri ordinamenti nazionali, riproponendo la tensione fra armonizzazione europea e principi costituzionali nazionali.

In definitiva, anche considerando che gli strumenti pattizi non riescono pienamente a limitare il rischio di un uso abusivo del concetto di Stato sicuro, il contributo tecnico al dibattito politico francese prestato dall’Assemblea generale del Consiglio di Stato assume una notevole rilevanza, sebbene non sia possibile prevedere il segno che riuscirà a imprimere sull’indirizzo politico che il governo francese seguirà nelle trattative per l’adozione del nuovo “regolamento procedure”. L’auspicio è che, malgrado l’incontestato potere degli Stati di ammettere e allontanare gli stranieri dal proprio territorio, sia preservato quel nucleo di diritti, come quello all’asilo, incomprimibili alle finalità di contenimento dei flussi migratori degli Stati e dell’Unione.



[1] European Commission Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council establishing a common procedure for international protection in the Union and repealing the Directive 2013/32/EU, COM (2016) 467.

[2] Sull’incostituzionalità del concetto di Stato terzo sicuro, la cui codificazione era inizialmente prevista nel progetto della cd. “Legge Collomb”, si è pronunciata anche la Commission National Consultative Des Droit De l’Homme. LA CNCDH ha affermato che «si la Constitution comporte depuis la révision du 25 novembre 1993 un nouvel article 53-1 selon lequel “La République peut conclure avec les Etats européens qui sont liés par des engagements identiques aux siens en matière d’asile et de protection des Droits de l’homme et des libertés fondamentales, des accords déterminant leurs compétences respectives pour l’examen des demandes d’asile qui leur sont présentées”, cette disposition permet seulement des accords visant à confier l’examen d’une demande d’asile à un Etat européen. Elle n’autorise pas la France à se délier de son obligation d’examen d’une demande d’asile en application du concept européen de pays tiers sûr qui exclut par définition le traitement de la demande par un Etat européen». Così, CNCDH, Avis Sur Le Concept de Pays Tiers Sur, 19 dicembre 2017, p. 6 (reperibile online).

[3] Voulu par l’EU, le principe pays tier sur est jugé inconstitutionnel par le Conseil d’Etat. Le renvoi hors d’Europe des demandeurs d’asile ne peut faire sans examen du dossier par l’Ofpra, in Le Monde, 14 giugno 2018. La delibera non è stata resa pubblica.

[4] Articolo 33, comma 2, direttiva Procedure, lett. a) b) e c).

[5] Tale prassi ha trovato una controversa base giuridica nell’articolo 31 della Convenzione di Ginevra del 1951, in particolare nel requisito della provenienza diretta («coming directly») del migrante dallo Stato di persecuzione. Diversi sono stati i tentativi da parte di alcuni Stati di giustificare proprio alla luce del criterio dell’arrivo o fuga diretta (direct flight) dallo Stato di persecuzione, contenuto nell’articolo 31, il mancato accoglimento della domanda di asilo presentata nei loro territori, quando si fosse accertato che tali richiedenti asilo non provenissero direttamente da uno Stato di persecuzione. Tale articolo è stato considerato da molti Stati la base giuridica per introdurre nelle proprie legislazioni statali la nozione di Stato di primo asilo. Per un’analisi approfondita dell’intero articolo 31 e, in particolare, per un approccio critico all’articolo 31 quale base giuridica della nozione di Stato di primo asilo, si veda G. NOLL, Article 31 (Refugees Unlawfully in the Country of Refuge), in A. ZIMMERMANN (a cura di), The 1951 Convention Relating to the Status of Refugees and Its 1967 Protocol. A commentary, Oxford 2011, pp. 1243-1276. Più in generale, sul concetto di Stato di primo asilo e sulla sua origine, si confronti, tra gli altri, M. KJAERUM, The Concept of Country of First Asylum, in International Journal of Refugee Law, vol. 4, 1992.

[6] L’Office Francais de Protection des Réfugiés et Apadries (OFPRA) ha fissato un elenco nazionale di Stati considerati Paesi di origine sicuri, in virtù delle disposizioni dell’articolo L. 722-1, del code de l’entrée et du séjur des étrangers et du droit d’asile (CESEDA), così come modificato dalla Loi du 29 juillet 2015, relativa alla riforma di asilo. Ai sensi dell’articolo L. 723-11 (CESEDA), l’OFPRA può dichiarare inammissibile una domanda presentata da chi sia già stato riconosciuto come rifugiato in uno Stato terzo a condizione che tale protezione sia effettiva e che il richiedente possa essere riammesso in detto Stato.

[7] A partire dallo studio del Parlamento europeo sul ricorso al concetto di Stato sicuro da parte degli Stati membri dell’Unione europea, Asylum in the EU Member States, Civil Liberties (LIBE), working paper, gennaio 2000, ulteriori analisi comparative sono riuscite a mettere in luce le numerose divergenze applicative del concetto in esame. Tra queste, si segnala lo studio della Commissione europea: European Commission, Study on the Law and Practice on Safe Country Principles against the Background of the Common European Asylum System and the Goal of a Common Asylum Procedure 2004 (reperibile online). Più di recente, European Council on Refugee and Exiles (ECRE), Debunking the Safe Third Country Mith, 2 novembre 2017 (reperibile online).

[8] I criteri di sicurezza (cd. safety criteria), individuati nella direttiva Procedure, sono parametri indicativi per gli Stati membri che vogliano trasporre a livello nazionale il concetto di Stato sicuro. Trattandosi di parametri indicativi, questi possono variare a livello nazionale. Tale preoccupante aleatorietà nella scelta dei criteri di sicurezza è emersa anche in tempi recenti. Si confronti sul punto la delibera della Commission National Consultative Des Droit de l’Homme in tema di concetto di Stato terzo sicuro, Avis Sur Le Concept de Pays Tiers sur, cit. In particolare, pp. 6-7.

[9] Se si guarda al sistema delle liste nazionali, uno stesso Stato può essere considerato sicuro da alcuni governi e risultare, al contempo, escluso dalle liste di altri. Per un’ analisi sulle divergenze più significative nelle liste nazionali, si rimanda alla Background note redatta nel 2015 dalla Commissione europea e reperibile al seguente sito: https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/2_eu_safe_countries_of_origin_en.pdf . Per un prospetto più aggiornato si rinvia al documento redatto dall’European Migration Network (EMN), Safe Countries of Origin, marzo 2018 (reperibile online).

[10] Si può qui ricordare che l’applicazione del concetto di Paese terzo sicuro è subordinata anche alle norme stabilite dal diritto nazionale, comprese le norme che richiedono un legame tra il richiedente e il Paese terzo in questione, secondo le quali sarebbe ragionevole per il richiedente essere rinviato in tale Paese. Se si guarda alla prassi nazionale, non esiste uniformità con riferimento a cosa si intenda esattamente per transito. Mentre alcuni Stati indicano come Stato terzo di transito quello in cui il richiedente asilo abbia risieduto per almeno un mese, per altri Stati basterebbe la presenza in quel territorio per uno o due giorni. Tra i numerosi studi condotti sull’applicazione del concetto di Stato terzo sicuro, si rimanda ai documenti già citati: European Commission, Study on the Law and Practice on Safe Country Principles against the Background of the Common European Asylum System and the Goal of a Common Asylum Procedure 2004 e al rapporto dell’ECRE, Debunking the Safe Third Country Mith, 2 novembre 2017 (entrambi reperibili online).

[11] Ai sensi dell’articolo 35 della direttiva Procedure, uno Stato è considerato Stato di primo asilo se riconosca all’individuo ivi inviato o la protezione di cui questi abbia goduto in passato o una protezione che il legislatore europeo definisce sufficiente e che comprenda, quanto meno, la tutela dal refoulement. Proprio con riferimento a questo secondo tipo di protezione, esistono alcune perplessità relative al livello di tutela che il richiedente debba godere nello Stato terzo affinché tale protezione sia considerata sufficiente. In assenza di precisazioni al riguardo, la conseguenza è che, a seconda del tipo di trasposizione dei criteri di sicurezza nella prassi nazionale, il richiedente asilo potrebbe godere di una protezione di maggiore o minore livello a seconda di come ciascuno Stato interpreti il concetto di Paese di primo asilo. A titolo di esempio, la Francia ha introdotto criteri più favorevoli di quelli previsti dalla direttiva Procedure. Per il legislatore francese, infatti, nello Stato di primo asilo, che non sia membro dell’Unione europea, il richiedente deve aver beneficiato dello status di rifugiato e di una protezione effettiva. Già soltanto la scelta di optare per il concetto di protezione effettiva (e non per quello di protezione sufficiente), è indice di una volontà del legislatore francese di accordare ai richiedenti una tutela maggiore. Tale posizione è peraltro in linea con quanto raccomandato dall’UNHCR: sul punto, si rinvia a UNHCR, Summary Conclusions on the Concept of “Effective Protection” in the Context of Secondary Movements of Refugees and Asylum-Seekers (Lisbon Expert Roundtable, 9-10 December 2002), February 2003.

[12] Ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di Stati terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (cd. direttiva Qualifiche), si stabilisce che lo Stato membro è tenuto a cooperare con il richiedente asilo tutti gli elementi significativi della sua domanda per valutare l’eleggibilità dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria.

[13] L’inefficienza di un rimedio può derivare anche dall’irragionevolezza e sproporzionalità dei termini per presentare un ricorso. Come stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza Samba Diouf (C-69/10), sentenza 28 luglio 2011, un richiedente deve poter disporre di un tempo sufficiente per potersi procurare il materiale e tutta la documentazione necessaria a supporto della propria domanda. In generale, tempi irragionevoli per poter ribaltare la presunzione di sicurezza non consentono di poter esercitare il diritto a un rimedio effettivo così come garantito sia dall’articolo 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sia dall’articolo 47 della Carta europea dei diritti fondamentali. Per uno studio approfondito sul tema del diritto a un ricorso effettivo in materia di asilo, si rimanda a M. Reneman, EU Asylum Procedures and the Right to an Effective Remedy, Oxford, 2014.

[14] La direttiva Procedure prevede il riconoscimento del diritto a rimanere sul territorio dello Stato durante la procedura giurisdizionale, con alcune eccezioni indicate all’art. 46, comma 6. In detti casi, la direttiva prevede che «un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso».

[15] Sul punto, si confrontino le divergenti prassi di alcuni Stati aderenti al sistema europeo comune di asilo che adottano il concetto di Stato di origine sicuro e procedure accelerate e/o di frontiera. In particolare, si rinvia a quanto emerso da due indagini conoscitive condotte dall’European Migration Network (EMN) e alle risposte statali pervenute: EMN, Ad-Hoc Query on Accelerated Asylum Procedures and Asylum Procedures at the Border; EMN, Ad-Hoc Query on Appeal Procedure and Reception Conditions After First Instance Decision for Nationals of Safe Countries of Origin (entrambi i documenti sono reperibile online).

[16] Si confronti sul punto la recente decisione del 19 giugno 2018 della Corte di giustizia dell’Unione europea, CGUE (C-181/16) Sadikou Gnandi v. État belge, nel corso della quale la Corte ha affermato che «the protection inherent in the right to an effective remedy and in the principle of non-refoulement must be guaranteed by according the applicant for international protection the right to an effective remedy with automatic suspensory effect at least before one judicial body». La Corte di Lussemburgo afferma inoltre che «Member States are required to provide an effective remedy against the decision rejecting the application for international protection, in accordance with the principle of equality of arms, which means, in particular, that all the effects of the return decision must be suspended during the period prescribed for lodging such an appeal and, if such an appeal is lodged, until resolution of the appeal». Sull’importanza di mantenere l’efficacia sospensiva dei ricorsi anche per chi provenga da Stati di origine considerati sicuri, si è espressa l’Agenzia europea per i diritti fondamentali (EU FRA): Opinion of the European Union Agency for Fundamental Rights concerning an EU common list of safe countries of origin FRA Opinion, 1/2016, 23 marzo 2016 p. 18-19 (reperibile online).

[17] Tale esigenza emerge chiaramente se si pensa all’eliminazione da parte del Consiglio di Stato francese di Stati quali Albania e Kosovo dall’elenco di Stati di origine sicuri e non anche del Mali, Stato anch’esso attraversato da una situazione di instabilità, dovuta a un colpo di Stato, eppure rimasto nell’elenco francese semplicemente perché non era stata presentata al Consiglio di Stato alcuna richiesta di annullamento verso detto Stato.

[18] Sul punto, si confronti E. Bussetto-A. Fiorini- E. Pieroni-S. Zarrella, Le informazioni sui Paesi di origine nella procedura di asilo: sempre più rilevanti, ancora poco considerate, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, fasc. 1, 2017 (reperibile online).

[19] Si veda, ex multis, B. Leimsidor, The Concept of “Safe Third Country in Asylum Legislation, Regulation, Practice: Political, Humanitarian and Practical Consideration, in L. Zagato (a cura di), Verso una disciplina comune europea del diritto di asilo, Padova, 2006; R. Byrne e A. Shacknove, Safe Third Countries: European Development, in International Journal of Refugee Law, vol. 7, 1995, p. 23 e ss.; M.T. Gil-Bazo, The Practice of Mediterranean States in the context of the European Union’s Justice and Home Affairs External Dimension: The Safe Third Country Concept Revisited, in International Journal of Refugee Law, vol. 18, n. 3-4, 2006, p. 571 e ss; M. Hunt, The Safe Country of Origin Concept in European Asylum Law: Past, Present and Future, in International Journal of Refugee Law, vol. 26, n. 4, 2014.

[20] Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un elenco comune dell’UE di paesi di origine sicuri ai fini della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, e che modifica la direttiva 2013/32/UE. Bruxelles, 9.09.2015 COM (2015) 452.

[21] Sul punto, si confronti G. Caggiano, Prime riflessioni sulle proposte di riforma del sistema europeo comune di asilo in materia di qualifiche, procedure e accoglienza, in SIDIBlog, 3 ottobre 2016 (reperibile online).

[22] Sull’aumento delle domande di asilo provenienti dai suddetti Stati, si rimanda al rapporto dell’European Asylum Support Office, EASO, Annual Report on the Situation of Asylum in the European Union, 2015, p. 10.

[23] Decreto governativo n. 191/2015 che ha emendato il c.d. Asylum Act (ACT LXXX, 2007 on Asylum).

[24] Il concetto di Stato terzo sicuro si applica nella cd. Fast-Track Border Procedure (procedura di frontiera accelerata) ai sensi dell’articolo 60, comma 4, della Legge ellenica, L. 4375/2016, nei confronti di chi sia arrivato nelle isole greche dopo il 20 marzo 2016.

[25] UNHCR, Legal Consideration on the return of Asylum Seekers and Refugees from Greece to Turkey as part of the EU-Turkey Cooperation in Tackling the Migration Crisis under Safe Third Country and First Country of Asylum Concept, 23 marzo 2016 (Paper reperibile online).

[26] C. Favilli, La cooperazione UE-Turchia per contenere il flusso di migranti e richiedenti asilo: obiettivo riuscito?, in Diritti umani e diritto internazionale, vol. 10, 2/2016, p. 405; E. Roman, L’accordo UE-Turchia: le criticità di un accordo a tutti i costi, in SIDIBlog, (reperibile online); M. Marchegiani e L. Marotti, L’Accordo tra l’Unione europea e la Turchia per la gestione dei flussi migratori: cronaca di una morte annunciata?, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, vol. 1, 2016, pp.59-82.

[27] Sul punto si rinvia ancora a M. Marchegiani e L. Marotti, L’Accordo tra l’Unione europea e la Turchia per la gestione dei flussi migratori, cit., p. 68.

[28] Corte Edu, Ilias and Ahmed v. Hungary, ricorso n. 47287/15, sentenza del 14 marzo 2017. Nel caso di specie, la Corte lamenta che l’Ungheria non avesse condotto un accertamento sull’esistenza di un rischio individuale del richiedente asilo nello Stato di destinazione (la Serbia) verso cui questi sarebbe stato allontanato. Al contrario, le autorità ungheresi si sarebbero limitate ad applicare il decreto 191/2015, tramite cui venivano individuati appositi elenchi nazionali di Stati sicuri, tra cui rientrava appunto la Serbia come Stato sicuro. Si rimanda, sul punto, al paragrafo 118 della sentenza.

[29] Così, Safe Countries: a Denial of the Right of Asylum, AEDH/EuroMed Rights/FIDH, maggio 2016 (paper reperibile online).

[30] Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del Regolamento UE 604/2013 del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentati in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (cd. Regolamento Dublino III): «Ogni Stato membro mantiene la possibilità di inviare un richiedente in un paese terzo sicuro, nel rispetto delle norme e delle garanzie previste dalla direttiva 2013/32/UE».

[31] Corte di giustizia dell’Unione europea, C-695/15, Shiraz Baig Mirza v. Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal, 17 marzo 2016.

[32] Commissione europea, proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di Paese terzo o da un apolide (rifusione), Bruxelles 4 maggio 2016, COM (2016) 270 final. Per una critica alla nuova formulazione dell’articolo 3, comma 3, lett. b), e sull’impatto che tali procedure di ammissibilità avranno sui Paesi di primo ingresso, si confronti, tra gli altri, L. Rizza, La Riforma del Regolamento Dublino: laboratorio per esperimenti di solidarietà, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, fasc. 1/2018, pp. 8-10, https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-1-2018-1/191-la-riforma-del-sistema-dublino-laboratorio-per-esperimenti-di-solidarieta.

[33] Sul tema, già in passato, si era pronunciato G. Gilbert, Is Europe Living Up to Its Obligations to Refugees? in European Journal of International Law, 2004, p. 963. A. Ackerman e M. Gattiker: Safe Third Countries: European Development, in International Journal of Refugee Law, vol. 7, 1995, p. 23.

[34] Si veda, sul punto, la decisione del Consiglio di Stato, La Cimade et O.M, decisione n. 349725 e decisione n.349726, 13 novembre 2013.

[35] Art. L. 723-11, CESEDA.

[36] A titolo di esempio, si rimanda alle decisioni del 4 marzo 2013 tramite cui il Consiglio di Stato francese ha ritirato il Bangladesh dall’elenco di Stati di origine sicuri.

[37] Il cammino verso l’esternalizzazione delle domande di asilo e del controllo delle frontiere, con le relative proposte di hotspot mobili e accordi con Stati terzi, ha trovato nuovo slancio nelle conclusioni del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018. Per un commento rapido alle conclusioni del Consiglio europeo e in merito alle cd. piattaforme di sbarco extra-europee, si veda, M. Di Filippo, Unione europea e flussi migratori, o del tramonto dello spirito comunitario: considerazioni a margine del consiglio europeo del 28-29 giugno 2018, in SIDIBlog, 9 luglio 2018 (reperibile online).

[38] Si può parlare di concetto stato-centrico per due ragioni: la prima è che si accerta, o meglio si presume, la sicurezza di uno Stato, tralasciando spesso di valutare le condizioni dell’individuo. Il secondo motivo attiene alla prospettiva da cui si accerta la sicurezza di uno Stato. Tale prospettiva è stato-centrica nel senso che la sicurezza dello Stato di provenienza dei flussi è determinata in funzione delle esigenze dallo Stato destinatario di questi flussi. Il ricorso al concetto di Stato sicuro in questi ambiti diventa così esercizio assoluto del potere di controllo degli Stati e anche espressione unica di tale potere: si registra così un’evidente e pericolosa inversione della natura originaria del concetto di “Stato sicuro” che sembra così perdere la sua valenza di concetto antropocentrico per assumerne appunto una di tipo stato-centrico.

[39] A livello internazionale il diritto di asilo non è stato codificato. Un riferimento al diritto di asilo si rinviene all’articolo 1, paragrafo 1, della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’asilo territoriale, adottata con risoluzione 2312 (XXII) dell’Assemblea Generale il 14 dicembre 1967. Tuttavia, il diritto di asilo è stato configurato ancora una volta come una concessione dello Stato e non come un diritto individuale.

[40] La mera possibilità di intravedere una protezione altrove non può far venir meno la necessità di uno scrutinio rigoroso circa la sicurezza dello Stato di destinazione, soprattutto quando la presunzione di sicurezza sia assoluta. Così, si sono espresse, seppur in termini e per ragioni diverse, sia la Corte europea dei diritti dell’uomo sia la Corte di giustizia dell’Unione europea. Cfr., rispettivamente, Corte Edu, M.S.S. v. Greece and Italy, ricorso n. 30696/09, sentenza del 21 gennaio 2011eCGUE, N.S. v. United Kingdom and M.E. v. Ireland, C-411/10 e C-493/10, sentenza del 21 dicembre 2011.

[41] Sul punto si veda, tra gli altri, R.K. Gardiner, Treaty Interpretation, Oxford, 2015, pp. 205-206.

[42] Come provocatoriamente sostenuto in dottrina, «interferring, by negative implication, that Article 33, CSR, allows for “safe” removals without limit “would suggest that no Contracting State ever has “protection obligations” to a refugee who may (on whatever basis) be entitled by law to protection by another State”. Such a principle would, however, “render the Convention self-destructive”, leading to the absurd result that the greater the number of countries that accept to protect refugees through accession to the 1951 Convention, the lesser the responsibility of any one of them to protect a particular refugee. If given full effect, this inferred exception would authorize the shuttling of refugees between multiple States ad infinitum, depriving the Convention of the “practical effect it was intended to have”». Così, V. Moreno-Lax, The Legality of the “Safe Third Country” Notion Contested: Insights from the Law of the Treaty, in G.S. Goodwing-Gill e P. Weckel (a cura di) Migration & Refugee Protection in the 21st Century: Legal Aspects, l’Aja, 2015, pp. 687-689. L’Autrice nel suo scritto offre un’interessante critica al ricorso al concetto di Stato sicuro a partire dal diritto dei Trattati.

[43] C. Favilli, L’Unione che protegge e l’Unione che respinge. Progressi, contraddizioni e paradossi del sistema europeo di asilo, in Questione Giustizia trimestrale, n. 2/2018, p. 31, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/l-unione-che-protegge-e-l-unione-che-respinge-prog_532.php.

[44] Sentenza Ilias and Ahmed v. Hungary, cit. par. 120. Come condivisibilmente osservato in dottrina, tale sentenza opera un ridimensionamento della discrezionalità degli Stati nella definizione della sicurezza di Paesi terzi ed è da accogliere con favore che la Corte abbia riconosciuto come eccessivo l’onere in capo al solo richiedente di ribaltare la presunzione di sicurezza, riconoscendo anche in seno alle autorità nazionali un obbligo di verifica della sicurezza dello Stato e della sussistenza di un rischio di refoulement. Tuttavia, tale onere sembrerebbe operare in capo allo Stato soltanto «when information about such a risk is ascertainable from a wide number of resources»(par. 118 della sentenza). Secondo l’Autrice, allora, la possibilità di ribaltare la presunzione di sicurezza lasciata al richiedente potrebbe non rappresentare sempre uno strumento sufficiente contro il rischio di refoulement, specie laddove – diversamente dal caso di specie –, non si dispongano di informazioni sulle carenze nel sistema di asilo o sulle violazioni di diritti umani nello Stato verso cui si intenda rinviare. Così, B. Gornati, Paesi terzi sicuri, respingimenti a catena e detenzione arbitraria: il caso Ilias e Ahmed, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, p. 551.

[45] Ex multis, Corte Edu, Tarakhel v. Switzerland, ricorso n. 29217/12, sentenza del 4 novembre 2015.

[46] Sulla portata delle norme di rango costituzionale come contro-limite anche al diritto europeo laddove questo, come nel caso di specie, dovesse promuovere un’armonizzazione in pejus delle discipline nazionali, si rimanda alle riflessioni emerse nel dibattito italiano con particolare riferimento all’articolo 10, comma 3, della Costituzione italiana. Sul punto, si rinvia ai contributi di L. Minniti, La Costituzione italiana come limite alla regressione e spinta al rafforzamento della protezione dello straniero in Italia, in Questione Giustizia trimestrale, n. 2/2018, pp. 7-13, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/la-costituzione-italiana-come-limite-allaregressio_530.php. Si rinvia altresì a M. Benvenuti, La forma dell’acqua. Il diritto di asilo costituzionale tra attuazione, applicazione e attualità, in Questione Giustizia trimestrale, n. 2/2018, pp. 14-27.

[47] Z. Bauman, Stranieri alle porte, Bari, 2016, p.21.

03/10/2018
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