Magistratura democratica
giustizia internazionale

Il caso dei marò: giurisdizione, immunità e luogo di esecuzione dell'eventuale condanna

di Roberta Barberini
già Sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione
Dopo gli interventi di Villoni e Rossetti, l'autrice affronta i temi della giurisdizione, dell'eventuale immunità di cui potrebbero godere i marò e del luogo ove sconterebbero l'eventuale pena
Il caso dei marò: giurisdizione, immunità e luogo di esecuzione dell'eventuale condanna

1- L’argomento relativo alla giurisdizione non era il punto più solido della posizione italiana, e, comunque, esso è stato respinto – forse irrimediabilmente - dalla Corte indiana, la quale, non è inutile ricordarlo, è anche giudice della propria giurisdizione.

La tesi poggiava, come è noto, sull’art. 97 della Convenzione di Montego Bay (Convenzione internazionale sul diritto del mare del 1982) che recependo un principio di diritto consuetudinario internazionale attribuisce la giurisdizione esclusiva allo stato di bandiera di una nave, in relazione ad ‘’incidents’’ occorsi a bordo, in acque internazionali.

Da parte indiana (fonte: The Wall Street Journal /India , 23 marzo 2013 – prof. Yoghesh Pai) si osservò che la giurisdizione esclusiva dello stato di bandiera è limitata agli ‘’incidenti di navigazione’’ che coinvolgono una nave e che, in ogni caso, l’incidente è avvenuto su di una nave indiana, in quanto lì si trovavavano le vittime.

Non può, ovviamente, azzardarsi in questa sede una interpretazione dell’art. 97. Ciò che, invece, deve sottolinearsi è che le speranze di sottrarre il caso alla magistratura indiana poggiano sul riconoscimento della giurisdizione esclusiva , e non concorrente, dell’Italia.

Ove non dovesse ritenersi che l’Italia ha, sul caso, il diritto di esercitare la giurisdizione in forma esclusiva, nessuno potrebbe impedire allo Stato indiano di processare i due marò sulla base delle proprie leggi, e, in particolare, dei propri criteri di collegamento per l’esercizio della giurisdizione.

Nel caso di specie, ove , come sostengono gli indiani, si dovesse escludere l’applicabilità della Convenzione, sia l’Italia, sia l’India, avrebbero a disposizione più di un criterio di collegamento per l’esercizio della giurisdizione: quantomeno quello territoriale, in relazione al luogo della condotta (nave italiana) e dell’evento (nave indiana), quello della nazionalità del reo (Italia) e della vittima (India).

Resta da capire se, una volta pronunciatasi l’A.G. indiana in punto giurisdizione, vi sia ancora spazio per il riconoscimento della giurisdizione esclusiva italiana.

In proposito, deve osservarsi che, nel caso di specie, ricorre indubbiamente un caso di ‘’controversia relativa all’interpretazione delle norme istabilite dalla Convenzione in materia di giurisdizione’’, (art. 288 conv.), che consentirebbe di attivare il meccanismo di risoluzione della controversia previsto nella parte XV dello strumento.

Esso prevede che entrambi gli Stati possano chiedere – ed ottenere - che una decisione vincolante sull’interpretazione delle norme rilevanti sia assunta da uno degli organi indicati all’art. 287 (Tribunale Internazionale per la legge del mare; Corte internazionale di Giustizia; tribunale speciale arbitrale) , sempre che, tuttavia, ambo gli Stati abbiano depositato, all’atto della firma o ratifica, presso il Segretariato generale delle Nazioni Unite, una dichiarazione che li vincola alla decisione dell’organo internazionale.

L’Italia lo ha fatto, indicando, con dichiarazione depositata all’atto della ratifica (26 febbraio 1997), il Tribunale internazionale, mentre l’India, con la ratifica del 29 giugno 1995, di è ‘’riservata ‘’ di farlo, in altre parole non lo ha fatto: non ha accettato un meccanismo vincolante di risoluzione delle controversie.

Questa strada appare quindi di difficile percorrenza. Ma anche ipotizzando che il governo indiano trovi un accordo con quello italiano in materia di giurisdizione sulla base della Convenzione, ed acceda alle richieste di quest’ultimo, è tutt’altro che scontato che l’A.G. indiana si ritenga, poi, vincolata dall’accordo.

Spetta infatti al giudice la decisione sulla propria giurisdizione, anche quando la fonte è un trattato internazionale.

A meno che nell’ordinamento indiano esistano nome ad hoc non si vede come una magistratura indipendente quale è l’indiana possa ritenersi vincolata da eventuali accordi assunti dal proprio governo in materia di giurisdizione.

Ciò non dovrebbe stupirci, non noi: basti pensare alla vicenda del Cermis, ove l’AG. Italiana a lungo si rifiutò di riconoscere la sussistenza della giurisdizione esclusiva statunitense sull’incidente, benchè il meccanismo previsto dal trattato riservasse la relativa valutazione ai due Stati – di origine e destinazione - del militare.

2- Un po’ più promettente, sotto il profilo del diritto internazionale, sembra essere il riferimento alla natura degli imputati, e della missione che stavano svolgendo (una missione antipirateria concertata su base internazionale).

Sul punto la partita è ancora aperta, e la difesa dei due marò può ben sperare che ai due venga riconosciuta dalla magistratura indiana la c.d. immunità funzionale.

Va ricordato che riconoscere un'immunità a carattere internazionale non significa anche, automaticamente, riconoscere il difetto di giurisdizione dello Stato che la pronuncia, e tantomeno riconoscere la giurisdizione di un altro Stato.

Non per tutti gli immuni di diritto internazionale vi è un altro Stato che esercita la giurisdizione e, comunque, l’immunità opera a prescindere da questa condizione.

Il diritto internazionale conosce due distinte forme di immunità: l’immunità personale, conferita in ragione di determinate qualità soggettive, e l’immunità funzionale, legata alla qualità di organo di uno Stato estero.In tale secondo caso, l’immunità opera solo in relazione agli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni proprie dell’organo.

Entrambe le forme di immunità sono contemplate in trattati internazionali; l’immunità personale, in aggiunta, si è almeno in un caso – quello dei Capi di Stati esteri – certamente consolidata in principio di diritto consuetudinario e va pertanto riconosciuta ai beneficiari a prescindere da norme specifiche.

L’immunità personale ha carattere processuale: il soggetto resta destinatario delle norme di carattere sostanziale, e pertanto quando cesserà di rivestire la carica o qualità sottesa all’immunità, potrà essere convenuto o citato in giudizio per condotte poste in essere precedentemente. All’immunità funzionale i trattati attribuiscono invece comunemente carattere sostanziale.

Le due forme possono coesistere nello stesso soggetto, come avviene nel caso dell’Agente diplomatico (artt. 31 e 39 co. 2 della Convenzione di Vienna del 1961).

Una parte della dottrina internazionalistica ritiene che il principio dell’immunità funzionale dell’organo dello Stato estero si sia consolidato in principio consuetudinario internazionale, e che trovi, pertanto, applicazione anche a prescindere da trattati che espressamente la riconoscano.

Esso opererebbe in rapporto ad atti compiuti, nell’esercizio delle funzioni proprie dell’organo, purchè si tratti di atti posti in essere jure imperii.

La tesi dell’immunità dell’organo si poggia, infatti, sulla riconducibilità allo Stato dell’atto compiuto da costui e quindi sulla sostanziale identificazione dell’immunità dell’organo con l’esenzione dalla giurisdizione straniera di cui godono gli Stati.

L’esistenza del principio consuetudinario è stata ritenuta dalla cassazione, nella sentenza (Sez. I, n. 31171/2008 ) che riconobbe l’immunità funzionale al militare statunitense Lozano, in relazione all’ omicidio, avvenuto in Iraq, dell’agente dei servizi italiani Nicola Calipari.

La pronuncia, che recepì gli esatti termini della posizione statunitense, e che rappresenterà un precedente non facilmente superabile nel procedimento italiano contro i marò, fu da taluni criticata, e successivamente smentita dalla sentenza confermativa della condanna degli agenti della CIA, nel processo Abu Omar.

Fu osservato, a commento della sentenza, che il riconoscimento di una immunità di tipo penale in assenza di una norma di adattamento interno pone, per l’Italia, seri dubbi di contrasto con il principio costituzionale di cui all’articolo 25 comma 2 della Costituzione; vu sottolineato, per altro verso, che buona parte della dottrina internazionalistica, in Italia e all’estero, nega che esista una norma consuetudinaria di portata generale avente ad oggetto l’ immunità funzionale dell’organo.

La prassi dimostrerebbe, al contrario, che in assenza di espressa previsione pattizia non viene, generalmente, riconosciuta all’organo l’immunità funzionale in sede penale.

Nel caso dei due marò, la speranza del riconoscimento dell’immunità funzionale poggia solo, a sua volta, sul riconoscimento dell’esistenza del principio consuetudinario in questione: è certo, infatti, che non esistono tra Italia ed India trattati che riconoscano l’immunità a militari, in situazioni come quella in cui si trovavano i due.

Pertanto, se di immunità Gironi e Latorre godono, di immunità di diritto consuetudinario si tratta.Una volta stabilito che la norma consuatudinaria esiste, i giudici dovrebbero, poi, vedere se essa possa trovare applicazione nel caso di specie.

Tanto premesso, il presupposto per il riconoscimento dell’immunità funzionale ai due militari, sarebbe rappresentato dal fatto che i due marò agivano in base alla legge n. 130 del 2 agosto 2011, adottata dal Parlamento per dare esecuzione alle Risoluzioni di contrasto alla pirateria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU; essi erano, per ciò solo, organi dello Stato italiano nell’esercizio di funzioni jure imperii.

In proposito, non può che rinviarsi a quanto osservato da Orlando Villoni circa l’impossibilità di attribuire ai militari componenti dei Nuclei Militari di Protezione della Marina, cioè ai marò, la qualifica di agenti di polizia giudiziaria abilitati a perseguire in alto mare i reati di pirateria.

Gli strumenti internazionali, a cominciare dalla convenzione di Montego bay, abilitano a catturare le navi pirata soltanto navi o aeromobili da guerra o comunque chiaramente appartenenti ad un servizio governativo o autorizzati a tale scopo.

Difficile dire che nella protezione di una nave commerciale da atti di pirateria, il militare agisca jure imperii da organo dello Stato.

3 - Ad ogni buon conto, il governo italiano ha preso le sue misure, per il caso di condanna dei suoi militari: anzitutto si è fatto dare assicurazioni che nei confronti dei marò non verrà applicata la pena di morte.

L’ eventualità, su cui si è fondata la decisione del governo di sospendere il sostegno alla latitanza dei due, era, a dire il vero, piuttosto remota. Risulta infatti (fonte: Wall Street Journal, India, cit.) che in India trova applicazione, fin dal 1983, un order della Corte Suprema (la cui autorità è massima, trattandosi di un Paese di common law), secondo il quale la pena di morte deve trovare applicazione nei ‘’rarest of the rare cases’.

Di fatto essa ha trovato applicazione in rarissimi casi, per terrorismo o omicidi particolarmente efferati, nei cui schemi non pare che il caso rientri.

Quindi l’assicurazione del governo indiano, benchè certamente non vincolante per la Corte, poggia su basi piuttosto solide.

Dall’altro lato, il governo italiano ha, ad ogni buon conto, stipulato in tutta fretta con quello indiano un Trattato per il trasferimento delle persone condannate , il 26 ottobre 2012. Pertanto, in caso di condanna, i due marò potranno scontare la pena nelle carceri italiane, e non negli istituti indiani.

LEGGI ANCHE: La vicenda dei Marò di O.Villoni / La Suprema Corte Indiana di C.Rossetti

29/03/2013
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