Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

Assunzione di lavoratori disabili e limiti del contratto a termine

di Francesco Buffa
Consigliere della Cassazione attualmente in distacco alla CEDU
Commento a Cass. 17867 del 9 settembre 2016

Nella materia delle assunzioni dei disabili vengono in applicazione da un lato la legge 12 marzo 1999, n. 68, che reca “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, e dall’altro lato il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, che dà attuazione alla direttiva del Consiglio del 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE, CEEP sul lavoro a tempo determinato.

Due discipline diverse, accomunate dal fatto che ciascuna di esse amplia le tutele dei lavoratori, ciascuna in relazione al proprio ambito specifico di operatività: la disciplina del lavoro dei disabili riguarda le assunzioni (obbligatorie) dei disabili; la disciplina del termine riguarda in generale la durata del rapporto di lavoro subordinato.

La prima disciplina, quella dettata dalla legge n. 68/1999, si occupa del lavoro dei disabili, disciplinandone gli obblighi di costituzione del rapporto ed i relativi caratteri e supponendolo a tempo indeterminato, mentre non disciplina il lavoro a termine degli stessi (all’epoca disciplinato da altra specifica normativa). Lo stesso articolo 11, co. 2, della legge, che menziona il lavoro a termine, prevede il termine nell’ambito del più ampio strumentario per favorire l’inserimento lavorativo dei disabili mediante convenzioni, mentre non detta alcuna disciplina in ordine all’apposizione del termine ed a relativi requisiti e condizioni (e quindi implicitamente richiama quella generale vigente all’epoca in materia).

La seconda disciplina, quella dettata dal d.lgs. 368/2001, prevede la regola che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro e limita i casi e le modalità di apposizione del termine; dispone, tra l’altro, in via generale, che è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato - di regola (ossia salvo che ricorrano le situazioni disciplinate dal comma seguente) - solo a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro, e che tuttavia tali ragioni devono essere indicate per iscritto (co. 2) pena l’inefficacia del termine.

Due normative, dunque, che dettano discipline diverse, dei cui benefici effetti, in modo sinergico, i lavoratori possono avvalersi cumulativamente: il lavoratore si avvale della disciplina della durata indeterminata del rapporto, sia egli disabile o meno.

La diversità delle due normative era già in parte emersa con Cass. Sez. L, n. 9658 del 26/09/1998 e poi n. 15951 del 16/8/2004, che avevano escluso la possibilità di utilizzare contratti a termine per coprire la quota di riserva (considerato che la base di calcolo della quota d’obbligo va computata sul personale stabile dell’impresa, come ritenuto pure da circ. Min. Lav. n. 4/2000). Oggi il problema che si pone, pur sempre pertinente al rapporto tra le due discipline del termine e del collocamento obbligatorio, è però diverso, riguardando l’indicazione della causale del termine.

A ben vedere, il richiamo dell’art. 11 della legge n. 68/1999 al lavoro a termine nulla dice circa le condizioni di valida ed efficace apposizione del termine, né potrebbe immaginarsi nella norma una liberalizzazione del termine con riferimento ai soli disabili: una simile interpretazione sarebbe infatti da un lato discriminatoria (per di più violando gravemente principi contenuti in strumenti internazionali ratificati dall’Italia) e dall’altro contrastante con i principi europei (del pari recepiti nel nostro ordinamento) in tema di lavoro a termine.

Noi tutti sappiamo che quando più interpretazioni sono possibili, l’interprete è vincolato a scegliere l’interpretazione che è conforme alla disciplina internazionale, europea e costituzionale: qui, però, a ben vedere sembra davvero difficile poter ritenere che il mero richiamo alla possibilità di lavoro a termine contenuto nell’art. 11 possa permettere di ipotizzare pur in astratto un’interpretazione in deroga alla disciplina generale del termine, e dunque siamo nell’ambito non della scelta tra due interpretazioni possibili, ma nell’ambito della lettura piana di una disposizione che non riguarda le condizioni di apposizione del termine.

Cass. n. 13285 del 31/5/2010 aveva inteso le due normative in rapporto di specialità, sicché la fonte normativa del 2001 non derogava alla precedente del 1999 per la specialità di quest’ultima (anche rispetto alla pregressa disciplina del lavoro a termine) ed aveva affermato che nel caso di assunzione a termine di un disabile psichico non è richiesta l’indicazione in contratto delle ragioni dell’apposizione del termine, sicché la relativa mancanza non implica la trasformazione del contratto in lavoro a tempo indeterminato.

La sentenza Cass. Sez. Lavoro n. 17867 del 9 settembre 2016 in commento, molto ben argomentata e chiara, e davvero efficace nella sua sintesi, evidenzia criticamente le conseguenze paradossali del difforme precedente:

- in primo luogo, la previsione di agevolazioni per i datori di lavoro non solo in relazione agli incentivi fiscali previsti dalla disciplina dei disabili, ma anche in riguardo alla sterilizzazione della normativa che disciplina il ricorso a termine, con effetto sinergico delle due normative, ma non a favore dei lavoratori (cui certo le due discipline sono orientate), ma solo dei datori (addirittura pagati dalla collettività per essere più potenti);

- in secondo luogo, l’attribuzione al datore di lavoro dell’inedito potere di predisporre all’interno del ciclo produttivo ordinario alcuni posti di lavoro riservati in via stabile ai disabili, godendo per di più di robuste facilitazioni da parte degli organi pubblici, sicché il meccanismo legale di agevolazione finisce, “in una perversa eterogenesi dei fini”, di perpetuare la precarietà dei disabili, escludendone l’inserimento stabile nel modo del lavoro.

La critica del precedente, condotta dalla sentenza in commento alla luce degli imprescindibili richiami alla disciplina internazionale, non poteva essere più netta, eliminando definitivamente il pericolo di assunzioni all’infinito di disabili assunti a termine e giungendo così all’inevitabile affermazione in chiave nomofilattica, e nonostante il difforme parere del procuratore generale, di un principio giusto: in caso di assunzione a tempo determinato di un lavoratore disabile ex art. 11 L. n. 68/1999 è richiesta l’indicazione nel contratto di lavoro delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificano l’apposizione del termine come previsto dal regime generale di cui al d.lgs. n. 368/2001.

 

03/10/2016
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