Magistratura democratica
Diritti senza confini

Ancora ostacoli, rimossi con provvedimento ex art. 700 cpc all’esercizio del diritto di asilo

di Alessandra Meschini
dottoressa in Giurisprudenza<br> tirocinante <i>ex</i>. art. 73 dl 21 giugno 2013, n. 69 - sez. XVIII Tribunale di Roma
Cresce il numero di ordinanze cautelari dirette a tutelare il diritto a presentare la domanda di protezione internazionale

Nel solco dell’ordinanza del Tribunale di Trieste del 22 giugno 2018 (di cui pubblichiamo il provvedimento di conferma in sede di reclamo) e di quella del Tribunale di Milano del 25 luglio 2018 già pubblicate su questa Rivista [1], i provvedimenti del Tribunale di Roma e di Palermo riportati ribadiscono come, in materia di protezione internazionale, il mancato assolvimento da parte della Pubblica amministrazione (di seguito P.A.), rappresentando un ostacolo all’esercizio di un diritto inalienabile e costituzionalmente garantito dall’art. 10 comma 3, giustifichi l’intervento d’urgenza del giudice ordinario.

Emblematico è il caso oggetto dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma in data 18 settembre 2018. Esso è relativo ad un cittadino curdo-iracheno che, pur avendo affrontato lunghissime file per presentare personalmente domanda di protezione presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma, era suo malgrado impossibilitato a farlo, poiché costantemente superato da persone più giovani e aggressive di lui. Dopo aver avanzato, tramite il suo difensore, due richieste formali di appuntamento a cui non era seguita alcuna risposta, si era visto dunque costretto ad agire per ottenere un provvedimento d’urgenza che ordinasse alla Questura di Roma la ricezione della sua domanda di protezione e, conseguentemente, il rilascio di un permesso di soggiorno per richiesta asilo.

Il Tribunale di Roma, constatata la mancata costituzione nel giudizio cautelare della Pubblica amministrazione, che non ha dunque confutato la versione del ricorrente, e tenuto conto delle prove indirette da quest’ultimo fornite (le due diffide avanzate dal difensore nonché gli articoli di giornale attestanti le difficoltà pratiche affrontate dagli stranieri intenzionati a presentare domanda di protezione presso gli uffici della capitale), ha accolto la domanda del ricorrente, fondando la decisione sulla mancata predisposizione, da parte della Pubblica amministrazione, di meccanismi idonei a garantire che i richiedenti asilo siano messi nelle condizioni di avanzare agevolmente domanda di protezione, senza incorrere in ostacoli pratici tali da impedire il compimento di quello che costituisce il primo, necessario, passo dell’iter finalizzato al riconoscimento di una forma di protezione internazionale.

Un dovere a fondamento del quale l’ordinanza pone in primo luogo l’art. 3 del d.lgs n. 25/2008 che, nel sancire la competenza delle Commissioni territoriali all’esame della fondatezza della domanda di protezione internazionale, contestualmente circoscrive quella degli uffici di polizia di frontiera e delle questure all’esclusiva ricezione di tale domanda.

Rimarcata dunque l’assenza di potere discrezionale sul merito della domanda di protezione in capo all’amministrazione convenuta, viene contestualmente dato rilievo alla legge n. 241/90, in particolare all’art.2, per sancire il suo obbligo di ricevere incondizionatamente e verbalizzare tale domanda, rilasciare un permesso di soggiorno per attesa asilo e trasmettere gli atti alla Commissione territoriale per la decisione sul merito.

Vengono inoltre richiamati tanto il contenuto dell’art. 6 par. 6 della direttiva 2013/33/UE (recepita dal d.lgs n. 142 del 2015), in cui si stabilisce che «gli Stati membri non esigono documenti inutili o sproporzionati né impongono altri requisiti amministrativi ai richiedenti prima di riconoscere loro i diritti conferiti dalla presente direttiva, per il solo fatto che chiedono protezione internazionale», quanto la sentenza Evelyn Danqua, C-429/15 della Cgue che precisa come, nel regolare le modalità procedurali relative alla ricezione della domanda di protezione internazionale, in assenza di specifica normativa europea, gli Stati devono prediligere una disciplina che non renda «nella pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione»; riferimenti normativi e giurisprudenziali da cui emerge con chiarezza una linea improntata all’agevolazione dello straniero nell’iter di richiesta d’asilo.

L’amministrazione convenuta, come evidenziato dal Tribunale di Roma, non ha assunto alcuna iniziativa volta a facilitare la presentazione della richiesta di asilo, neppure tramite la semplice predisposizione di un sistema di prenotazione in grado di evitare lunghe file notturne, determinando un impedimento concreto all’esercizio di un diritto assoluto e  giustificando dunque l’intervento d’urgenza del giudice ordinario, vista la condizione di irregolarità del ricorrente, da cui derivava il concreto rischio di espulsione, nonché la preclusione dei servizi assistenziali minimi e della ricerca di un lavoro.

Chiosando con la segnalazione del principio sancito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 20571/2013, in virtù del quale, qualora ci sia stata una violazione di regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nello svolgimento di attività soggette al principio del naeminem ledere ad opera della P.A., il privato può rivolgere al giudice ordinario una domanda di condanna ad un facere della stessa, il Tribunale ha ordinato alla amministrazione convenuta di ricevere la domanda di protezione del ricorrente.

Principi dello stesso tenore sono espressi nell’ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo in data 13 settembre 2018, ad accoglimento della domanda cautelare di un cittadino maliano, già destinatario di un provvedimento di diniego, che, in seguito all’aggravarsi delle condizioni socio-politiche del Paese di provenienza, aveva ripetutamente provato, anche tramite il proprio legale, ad avanzare una nuova richiesta presso la Questura di Palermo e, non essendovi riuscito, si era infine rivolto al giudice ordinario.

La suddetta Questura si era costituita in giudizio, negando il racconto del ricorrente e affermando di averlo invitato più volte a formalizzare la nuova richiesta d’asilo, versione confutata dalle prove documentali depositate dal ricorrente, attestanti la presenza di diversi solleciti, anche ad opera del suo legale, a cui non era mai seguita risposta.

In questo caso il Tribunale di Palermo, dopo aver premesso la sua giurisdizione, essendo oggetto della fattispecie un diritto fondamentale leso dalla condotta omissiva dell’amministrazione convenuta, e dopo aver ricordato il contenuto degli art.6 e 26 del d.Lgs n.25/2008 che designano gli uffici di polizia di frontiera e le questure del luogo di dimora del richiedente quali organi competenti alla ricezione della richiesta di asilo, ha dato rilievo alla modifica introdotta dall’art. 6, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE («Se la domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda») sottolineando dunque che, anche nell’eventualità in cui la Questura di Palermo si fosse ritenuta incompetente a ricevere la suddetta domanda, ciò non avrebbe giustificato il conseguente comportamento omissivo poiché, ad ogni modo, sarebbe stata tenuta a procedere alla registrazione dopo sei giorni dalla presentazione, nel rispetto della direttiva.

Tale considerazione, unita al richiamo dell’art. 3 del d.lgs 25/2008 («Le autorità competenti all’esame delle domande di protezione internazionale sono le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui all’art. 4.2. L’ufficio di polizia di frontiera e la questura sono competenti a ricevere la domanda, secondo quanto previsto dall’articolo 26 (…)» cfr. altresì articolo 4 dl n.13/47 conv. in legge n. 46/17) che, come già detto in precedenza, sancisce l’assenza di discrezionalità in capo alla amministrazione convenuta sul merito della domanda di protezione, ha condotto il Tribunale a ritenere illegittimo il comportamento omissivo della Questura di Palermo e dunque ad ordinarle la formalizzazione della suddetta domanda, rilevato il periculum in mora derivante dal rischio di rimpatrio dovuto all’impossibilità di procedere ad un riesame del diritto di asilo del ricorrente.

Infine, nell’ultima ordinanza presa in considerazione la Questura di Palermo aveva richiesto ad un cittadino del Bangladesh, il quale aveva già ottenuto il riconoscimento della protezione umanitaria da parte della Commissione territoriale, l’esibizione del passaporto o di documentazione equivalente per il rilascio del permesso di soggiorno. Malgrado la conseguente istanza con cui il ricorrente aveva comunicato che la produzione di tale documentazione non era necessaria, a fronte della reiterata richiesta della Questura, lo stesso si era visto costretto a ricorrere al giudice ordinario per un provvedimento d’urgenza che assicurasse gli effetti della decisione della Commissione territoriale.

Il Tribunale, in via preliminare, ha riconosciuto la propria cognizione, in virtù del diritto soggettivo perfetto sotteso alla materia della protezione internazionale e tramite il riferimento alla sentenza n. 11535/09 Cass. Civ., Sez. unite secondo la quale le controversie relative al rilascio o al rinnovo di documenti di soggiorno derivanti da una misura di protezione internazionale sono sempre devolute alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto la Questura non ha alcun potere discrezionale sul merito della questione.

Nello specifico, riscontrando la sussistenza del periculum in mora dovuto all’impossibilità di accedere ai diritti sociali che accompagnano il rilascio del permesso per protezione umanitaria, il Tribunale ha constatato l’infondatezza dell’onere aggiuntivo imposto al ricorrente dalla Questura di Palermo, mettendo in evidenza i seguenti punti:

- i riferimenti normativi sulla base dei quali l’amministrazione resistente ha effettuato la suddetta richiesta risultano irrilevanti o frutto di erronea interpretazione. L’art. 24, comma 2, del d.lgs 251/07 («Quando sussistono fondate ragioni che non consentono al titolare dello status di protezione sussidiaria di chiedere il passaporto alle autorità diplomatiche del Paese di cittadinanza, la questura competente rilascia allo straniero il titolo di viaggio per stranieri. Qualora sussistano ragionevoli motivi per dubitare dell’identità del titolare della protezione sussidiaria, il documento è rifiutato o ritirato») si limita infatti a regolare le modalità alternative con cui lo straniero che non abbia la possibilità di richiedere il passaporto alle autorità consolari del proprio Paese, può ottenere il documento di viaggio, mentre dalla ratio dell’art. 9, comma 3, lettera a) del dPR 31 agosto 1999 n. 394, è possibile dedurre che, pur non menzionando esplicitamente i beneficiari di protezione umanitaria, questi ultimi sono esentati dalla produzione di «passaporto o altro documento equipollente da cui risultino la nazionalità, la data, anche solo con l’indicazione dell’anno, e il luogo di nascita degli interessati, nonché il visto d’ingresso, quando prescritto» al pari dei «»…richiedenti asilo e gli stranieri ammessi al soggiorno per i motivi di cui agli articoli 18 e 20del testo unico e all’articolo 11, comma 1, lettera c)». A tale proposito il Tribunale di Palermo ha sottolineato come la norma, tenendo in considerazione le difficoltà oggettive e la posizione di particolare vulnerabilità dei richiedenti protezione internazionale, sia finalizzata ad esentarli dall’obbligo di esibire la documentazione sopra elencata, ed il mancato riferimento esplicito all’art. 11, comma 1, lettera c-ter) , relativo alla protezione umanitaria, sia facilmente riconducibile ad un difetto di coordinamento dovuto alla posteriore aggiunta di tale disposizione, avvenuta con il dPR 18 ottobre 2004 n. 334, tanto più che una differente interpretazione porterebbe a concludere che l’ottenimento della forma meno intensa di protezione, quale è quella umanitaria, comporterebbe un trattamento deteriore rispetto alla precedente condizione di «richiedente asilo»;

- il fatto che l’autorità di Pubblica sicurezza non abbia alcun potere discrezionale sul merito della domanda di protezione internazionale comporta che, a fronte di una pronuncia di accoglimento della Commissione territoriale, autorità investita della suddetta competenza, la questura non possa in alcun modo subordinare il rilascio del permesso di soggiorno all’adempimento di oneri aggiuntivi;

- la richiesta di produzione del passaporto o di documento equipollente non è stata determinata da un dubbio sulla corrispondenza tra la persona che richiedeva il rilascio del permesso di soggiorno e colui al quale era stata accordata la protezione umanitaria da parte della Commissione territoriale, eventualità che avrebbe giustificato la necessità di un’ulteriore identificazione, essendo questa già avvenuta al momento dell’ingresso dello straniero in Italia, al rilascio del permesso temporaneo per richiesta asilo ed infine nell’audizione innanzi alla Commissione territoriale.

La lettura di questi ulteriori provvedimenti consente di apprezzare quali difficoltà di ordine pratico o burocratico non di rado ostacolino l’esercizio del diritto alla richiesta di protezione internazionale.

 



[1] Vds. M Pipponzi, Note all'ordinanza del Tribunale di Trieste del 22 giugno 2018, in questa Rivista on-line, 5 settembre 2018, http://questionegiustizia.it/articolo/note-all-ordinanza-del-tribunale-di-trieste-del-22-giugno-2018_05-09-2018.php e Protezione internazionale, l'ordinanza del Tribunale di Milano del 25 luglio 2018, in questa Rivista on-line, 12 ottobre 2018, http://www.questionegiustizia.it/articolo/protezione-internazionale-l-ordinanza-del-tribunale-di-milano-del-25-luglio-2018_12-10-2018.php

14/11/2018
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