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Giurisprudenza e documenti

Alla Corte costituzionale il decreto-legge sulle “scarcerazioni”

di Marcello Bortolato
Presidente del Tribunale di Sorveglianza Firenze
Pubblichiamo l’ordinanza con la quale il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto ha sollevato questione di legittimità costituzionale in riferimento al decreto-legge 29/2020

L’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale che qui si pubblica ha ad oggetto il meccanismo di rivisitazione cadenzata a intervalli brevi, anzi brevissimi, delle decisioni adottate dalla magistratura di sorveglianza, in epoca di pandemia da COVID-19, emesse a partire dal 23 febbraio 2020, meccanismo previsto dal Decreto Legge 10 maggio 2020 n. 29. Tale norma nasce come risposta alle polemiche insorte dopo la scarcerazione, per differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare, di soggetti appartenenti all’area della criminalità organizzata mafiosa e camorristica.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto riguarda in particolare i profili inerenti la violazione dei diritti di difesa del condannato e l’assenza di un contraddittorio, in piena ‘parità di armi’, tra gli attori processuali nel procedimento che comporta la revoca tout court di una misura alternativa, sebbene concessa in luogo della sospensione della pena, con conseguente rientro della persona in carcere.

Acquisiti tutti i pareri obbligatori previsti dalla legge (introdotti con il dl in parola) il magistrato, dovendo ‘rivalutare’ la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria ed avendo la Procura Distrettuale antimafia competente espresso parere contrario alla protrazione della misura domiciliare circa il pericolo di reiterazione di reati - non già per comportamenti contrari posti in essere dall’interessato nelle more ma per il ruolo di rilievo da lui svolto in passato nel contesto criminale di riferimento - dubita della legittimità dell’art. 2 dl cit. nella misura in cui non prevede un formale coinvolgimento della difesa tecnica dell’interessato. Da un lato infatti non è prevista alcuna comunicazione formale dell’avvio del procedimento di rivalutazione cui partecipa viceversa, in maniera del tutto inedita, un organo requirente diverso da quello che sarebbe competente in relazione al giudice che procede (Pubblico ministero presso il giudice di sorveglianza), dall’altro l’interessato e il suo difensore restano all’oscuro degli elementi essenziali acquisiti mediante l’istruttoria e sui quali verterà il giudizio che potrebbe portare alla ri-carcerazione. Infine, a differenza dello schema procedimentale tipico che più si avvicina a questa ipotesi (sospensione della misura alternativa per comportamento ‘colpevole’ ex art. 51-ter o.p.), non è prevista alcuna conferma da parte del Collegio che, nei procedimenti di differimento della pena, è viceversa l’organo competente ad adottare il provvedimento definitivo. La previsione del termine meramente acceleratorio di 60 giorni, previsto dall’art. 47 co. 4 o.p. (in quanto richiamato dall’art. 47-ter co. 1-quater o.p.), per la conferma dei provvedimenti interinali assunti dal magistrato di sorveglianza (termine peraltro del tutto assente nello schema procedimentale dell’art. 684 c.p.p., norma applicabile in subiecta materia), non costituisce, a parere del remittente, alcuna idonea garanzia a fronte, per giunta, dell’immediata esecutività, sancita dal co. 3 dell’art. 2 dl cit., del provvedimento di revoca. Inoltre il termine ‘revoca’ sembrerebbe optare per una tendenziale definitività del provvedimento ripristinatorio della detenzione per il quale non è prevista l’incardinazione di una competenza collegiale, se non quella ‘ordinaria’ sulla richiesta di differimento avanzata dall’interessato che tuttavia, nella fissazione dell’udienza, non soggiace, come si è detto, ad alcun termine perentorio. Di conseguenza la revoca della detenzione domiciliare produrrebbe i suoi effetti immediati, con rientro in carcere del soggetto, senza il presidio di un successivo tempestivo riesame nel merito, nel pieno contraddittorio delle parti.

Il provvedimento del magistrato, assunto de plano, senza nemmeno lo schema minimo della camera di consiglio, dispiega i suoi effetti, con la privazione massima della libertà, senza che la difesa abbia potuto, a differenza dell’autorità requirente, interloquire.

In particolare la difesa non può confrontarsi con i contenuti del parere pervenuto dalla Direzione distrettuale antimafia né con le informazioni fornite dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal Presidente della Giunta regionale sull’evidenzia epidemiologica in atto nella Regione di riferimento e dunque non è in grado di fornire, se non eventualmente ed alla ‘cieca’, le proprie osservazioni.

L’ordinanza di rimessione alla Corte analizza i vari procedimenti in cui, in materia di giurisdizione penitenziaria, sussiste un contraddittorio dimidiato, differito o largamente sacrificato (art. 678 co. 1-bis e 1-ter c.p.p.; art. 51-bis o.p), in un caso già oggetto di pronunciamento da parte del Giudice delle leggi (art. 69-bis o.p. in tema di liberazione anticipata). Si tratta di ipotesi in cui il merito della decisione è legato a valutazioni con bassissimo tasso di discrezionalità (differimento obbligatorio per madri detenute o sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi) oppure è largamente maggioritaria una valutazione di segno favorevole per l’instante (declaratoria di estinzione pena, misure alternative per pene brevi per soggetti ‘liberi sospesi’) ma comunque in questi casi il diritto alla difesa tecnica è sempre garantito o dalla previsione di un termine di impugnazione durante il quale l’esecutività del provvedimento interinale è sospesa ovvero, come nel caso più grave della sospensione ex art. 51-ter o.p., è previsto un termine perentorio entro il quale, se non sopravviene la decisione di ratifica collegiale, il provvedimento perde efficacia.

L’ordinanza sottolinea viceversa l’assoluta atipicità della revoca de qua che tra l’altro dispiega i suoi effetti anche retroattivamente (stante la norma transitoria) e che si inserisce in una sequenza che ha già attraversato una fase interinale del procedimento e che dovrebbe avere il suo naturale sbocco solo nella fase collegiale a contraddittorio pieno. E ciò avviene senza che il provvedimento che incide così fortemente sul diritto di libertà personale (riportando in carcere l’interessato per fatti incolpevoli) sia soggetto ad un riesame in un termine entro il quale il provvedimento stesso conservi efficacia solo ove tale tempistica sia rispettata (secondo il meccanismo sopra ricordato dell’art. 51-ter o.p.).

A tali criticità (violazione degli artt. 24 co. 2 e 111 co. 2 Cost.) si aggiungerebbe anche la violazione dell’art. 3 Cost. nella parte in cui detta rivalutazione concerne esclusivamente i provvedimenti ammissivi connessi all’emergenza COVID-19 se riferiti ad alcune tipologie di reati, peraltro non coincidenti con quelle dell’art. 4-bis o.p.. Solo per alcuni autori di reato, con scelta della cui ragionevolezza dubita il giudice remittente, si prevede un procedimento meno garantito, con sacrificio del principio del contraddittorio e della ‘parità delle armi’, attribuendo ancora una volta alla presunzione di pericolosità derivante dalla commissione di un certo reato (presunzione già oggetto di recenti interventi ablativi della Corte cost.), in un ambito inciso tra l’altro non dai profili rieducativi o premiali ma dalla tutela di un diritto fondamentale quale quello alla salute, una specifica portata negativizzante che travalica l’apprezzamento in fatto già operato, in forma individualizzata, dal magistrato di sorveglianza.

L’ordinanza di rimessione alla Corte segnala in definitiva un fondato dubbio, pienamente condivisibile, di conformità a Costituzione di un intervento normativo assunto d’urgenza (verrebbe da dire ‘frettolosamente’) e sull’onda di polemiche mediatiche, talvolta assai fuorvianti, su presunte scarcerazioni ‘facili’ in tempo di pandemia, intervento che non ha tenuto conto non solo delle necessarie scansioni processuali e delle garanzie che generalmente assistono i provvedimenti de libertate ma anche dell’esigenza di assicurare l’indefettibile contraddittorio che è propria di qualsivoglia provvedimento di revoca delle misure alternative. A tal scopo il giudice remittente opportunamente ricorda che la legge delega 23 giugno 17 n. 103, nella parte in cui indirizzava gli interventi di modifica dell’ordinamento penitenziario in senso ‘semplificatorio’, faceva in ogni caso salvi, quale unica eccezione, proprio i provvedimenti di revoca delle misure alternative alla detenzione in cui doveva essere sempre garantita, unico caso, pienezza di contraddittorio e collegialità.

 

29/05/2020
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